Andrea Testamigna, un difensore che non mollava mai

Giocatore roccioso, per 14 anni al Sansepolcro, assoluto protagonista anche alla Pontevecchio nell’anno del “triplete” e nel Città di Castello promosso in Serie D, prima di vestire le maglie di altre squadre dell’Altotevere Umbro. Su TeverePost la storia calcistica di Andrea Testamigna

Andrea Testamigna ieri, con la maglia del Sansepolcro, e oggi

Andrea Testamigna è stato uno dei difensori più forti del nostro territorio ed ha fatto la fortuna di tutte le squadre in cui ha giocato. Giocatore roccioso e di grande carattere che ha vissuto una carriera lunga e ricca di soddisfazioni, mettendosi in mostra come uno dei terzini più forti in Eccellenza e Serie D. E’ stato uno dei protagonisti principali del Sansepolcro negli anni novanta e nelle 14 stagioni vissute in maglia bianconera si è ritagliato uno spazio importante, diventando uno dei simboli di quella compagine che più volte lottò per il successo del campionato, duellando prima con l’Arezzo e poi con il Tivoli. Terminata l’avventura biturgense, Andrea passò alla Pontevecchio in Eccellenza realizzando uno “storico triplete” (nella stessa stagione trionfi in campionato, coppa regionale e Coppa Italia Nazionale di categoria). Di ottimo livello anche l’avventura al Città di Castello con la promozione in Serie D conquistata da capitano dopo lo spareggio con il Castel Rigone e le stagioni successive vissute con le maglie di San Secondo, Madonna del Latte, Virtus San Giustino, Selci e Cerbara. La sua storia calcistica, conclusa all’età di 42 anni, è ricca di momenti importanti ed è stata segnata dalla voglia di dare il massimo e da una passione infinita. Una carriera che oggi ripercorreremo con Andrea su TeverePost.

Quando è cominciata la tua avventura calcistica?

Il calcio è sempre stata la mia passione più grande e fin da piccolissimo trascorrevo tanto tempo a giocare a pallone con i miei coetanei. A 7-8 anni iniziai il mio percorso con la Madonna del Latte dove rimasi fino alla categoria allievi. Il mio primo allenatore fu Mauro Magi, grande uomo di calcio che purtroppo ci ha lasciato qualche anno fa, poi mister Roberto Scarscelli. Il mio ruolo fu fin da subito quello di terzino preferibilmente a destra, ma anche a sinistra e ricordo che spesso e volentieri Bruno Volpe mi portava a giocare con ragazzi più grandi di me. Furono stagioni belle, caratterizzate da tanto divertimento e da tanta voglia di giocare.

Quando avvenne il passaggio al Sansepolcro?

Arrivai in bianconero nell’estate 1992. Ad inizio stagione con la juniores guidata da Ciampelli, da metà anno in poi con la prima squadra di mister Fraschetti. Facevo parte del gruppo, mi allenavo con loro in settimana e qualche volta la domenica venivo convocato. In quella stagione feci anche il mio esordio, nell’ultimo turno del campionato di Eccellenza, a Spoleto. Dovevo essere in panchina, ma Giulio Franceschini si fece male nel riscaldamento e il mister mi chiamò per sostituirlo nella formazione titolare. Fu un momento emozionante, ma la tensione se ne andò al fischio d’inizio e fu un esordio anche particolare dato che sostituendo Giulio in lista, pur giocando nel mio classico ruolo di difensore esterno, indossai la maglia numero 9. Vincemmo 1-0 e il gol decisivo fu segnato da Gaetano Boldrini.

L’anno seguente fu quello della promozione in Serie D. Come fu quella stagione per te e quanta fu la gioia per il successo finale?

Una splendida cavalcata che ci portò a dominare il campionato e a vincere con pieno merito. Con Fraschetti in panchina e con tanti giocatori forti, come ad esempio Franceschini, Lacrimini, Bruschi, Carbonaro, Rossi e Biscarini, solo per citarne alcuni. Un gruppo fantastico, come per la verità sempre ho trovato a Sansepolcro. Io ero in rosa e giocai alcune gare, ma non ero ancora un titolare fisso, anche perché non era stata inserita la regola dei sotto quota. Fu comunque una stagione molto importante per la mia crescita e soprattutto per la squadra. Spettacolare fu l’ultima giornata di campionato, a successo matematicamente già acquisito, in casa con il Torgiano. Ci presentammo in campo indossando in testa stravaganti parrucche e fu meraviglioso festeggiare la promozione assieme ai nostri tifosi.

La targa che celebra i 14 anni di Testamigna al Sansepolcro

Negli anni successivi sei diventato uno dei punti di forza del Sansepolcro. Come hai vissuto quel passaggio?

All’inizio ci alternavamo io, Tarini e Comanducci, ma poi conquistai stabilmente il posto da titolare e fu una grande soddisfazione, visto che in quegli anni in rosa c’erano tanti calciatori formidabili. Giocare in prima squadra era il mio desiderio e sentivo forte l’attaccamento alla società bianconera, vero e proprio punto di riferimento calcistico del territorio e realtà che mi ha fatto crescere tanto. È stato bello essere protagonista di quel Sansepolcro con gente come Tardioli, Bocchini, Recchi, Masi, Lacrimini, Italo e Giulio Franceschini.

I giocatori che hai citato facevano parte della squadra allenata da Trillini che nel 1995-1996 si giocò il successo in Serie D con l’Arezzo di Cosmi, nella stagione dei 14 punti di penalizzazione. Cosa ti resta di quella esperienza?

Fu un duello entusiasmante perché anche quella amaranto era una squadra molto forte. La penalizzazione si rivelò decisiva per il successo finale, altrimenti sarebbe stato tutto un altro discorso. Non discuto certo il provvedimento in sé per sé, anche perché mi sembra ci fu un precedente simile, ma la penalizzazione di 14 punti fu veramente una mazzata. All’inizio ce ne tolsero 3, poi altri 11 e questo indirizzò in modo definitivo la classifica, lanciando l’Arezzo e tagliandoci di fatto fuori dal discorso promozione, anche se continuammo il nostro percorso totalizzando ben 60 punti, che senza la penalità sarebbero stati addirittura 74. A tutti noi che vivemmo da protagonisti quell’avventura resta tanto rammarico, ma anche la consapevolezza di avere disputato una grande stagione, la migliore che ho vissuto e una delle più importanti certamente nella storia del Sansepolcro. Giocavamo un bel calcio ed eravamo un bel gruppo anche fuori dal campo. Poi quell’anno segnai anche la prima delle mie tre reti in Serie D.

Ce la racconti?

Nel derby contro il Città di Castello vinto da noi per 4-0 nella prima giornata di campionato. Io realizzai il 4° gol con un tiro di sinistro dal limite che si infilò pian piano al paletto. La sfida era già indirizzata, ma per me fu una gioia immensa anche perché in tutta la mia carriera penso di non esser arrivato a quota 10 reti.

E gli altri due gol in Serie D?

Sempre con la maglia del Sansepolcro, contro il Gualdo trovai la zampata vincente risolvendo con un tap-in una mischia in area, contro la Jesina trovai il gol tirando di destro.

In quegli anni il Sansepolcro era tra le squadre di vertice della Serie D. Particolarmente intensa fu anche la stagione 2001-2002, quella con Paolo Valori in panchina e del duello con il Tivoli. Come andò?

Un’altra bella annata e un altro duello contro una squadra fortissima che aveva tra le sue fila giocatori con un passato in categorie superiori, come ad esempio il “condor” Agostini. Noi eravamo molto più giovani di tutte le altre compagini di vertice, ma eravamo tosti. Purtroppo perdemmo 3-2 lo scontro diretto al Buitoni, gara trasmessa anche su RaiSport che rappresentò un momento decisivo nella lotta per il trionfo finale.

Testamigna è il terzo da sinistra tra gli accosciati

Sei rimasto al Sansepolcro ben 14 anni. Ti chiedo cosa ha significato per te vestire la maglia bianconera e se ci sono state delle persone, compagni o allenatori, che più di altri ti hanno aiutato a crescere.

Quella bianconera è stata come una famiglia per me. Mi sono trovato benissimo ed è stato un onore vestire per tanti anni una maglia così prestigiosa. Con Valori sono stato anche capitano della squadra e poi alla fine della mia avventura è stato bello ricevere una targa per i miei 14 anni biturgensi. Sono cresciuto tanto e per me arrivare a Sansepolcro in quegli anni è stata una grande fortuna. Ringrazio tutte le persone incontrate in questo percorso perché tutte sono state importanti. Fraschetti è stato il primo a dimostrarmi fiducia, Trillini mi ha fatto fare il salto di qualità e con Valori mi sono sentito ancora più responsabilizzato. Ho avuto un bel rapporto con tutti i compagni ed in particolare devo dire grazie a Giulio Franceschini e Giorgio Lacrimini che mi hanno preso sotto la loro ala dandomi consigli che sono stati fondamentali.

Quale il consiglio più prezioso che ti è stato dato in carriera?

Italo Franceschini mi diceva che dovevo “allenarmi sempre a duemila” se volevo andare forte la domenica. Ripeteva che quello che si fa in settimana poi ce lo si ritrova in partita ed aveva pienamente ragione. Poi era davvero un esempio perché tirava il gruppo e con il suo comportamento era uno stimolo per noi giovani. Lo stesso è valido anche per gli altri comunque. A Sansepolcro di esempi positivi da seguire ne ho avuti tanti.

Giulio Franceschini fu anche tuo allenatore nella favolosa annata alla Pontevecchio, quella del “triplete”. Ci racconti la tua soddisfazione per quella stagione?

Era il 2006-2007 e io avevo 30 anni. Lasciai il Sansepolcro dopo 14 stagioni stupende, seguendo Giulio alla Pontevecchio. Trovai un ambiente meraviglioso e una squadra fortissima. Vincemmo infatti il campionato di Eccellenza, la Coppa Italia di Eccellenza Umbra e la Coppa Italia Dilettanti a livello nazionale, trofeo che fino a quel momento nessuna formazione umbra aveva conquistato. Vincere il campionato è il coronamento di un percorso lungo un anno che insegui domenica dopo domenica e fu bellissimo, ma conquistare la Coppa Italia Dilettanti fu l’emozione più grande. Nei quarti di finale battemmo la Lunigiana ai rigori e calciai anche io dagli undici metri. Non tutti se la sentivano, io invece pur non avendo grande dimestichezza con il gol, fui designato come quinto rigorista e segnai il penalty decisivo. I compagni e lo staff mi travolsero in un lungo e significativo abbraccio. Il top fu la finale al Flaminio contro la Casertana decisa dal gol di Coresi. Quella era l’ultima partita in carriera di Nofri e ricordo il discorso da brividi che ci fece Fatone negli spogliatoi prima della gara. Ci disse che dovevamo vincere non solo per noi stessi e per la società, ma anche per Nofri e ci dette una bella carica. Meritammo il successo e a fine gara anche i tifosi avversari ci applaudirono.

La Pontevecchio festeggia il “triplete”

Poi ci fu il passaggio al Group Città di Castello. Come andò l’avventura nella squadra della tua città?

Arrivai seguendo Giulio Franceschini che era stato chiamato dalla società per allenare la squadra, ma la sua avventura in panchina durò pochissimo. Al suo posto arrivò Cornacchini, altra grande persona con la quale ho avuto un ottimo rapporto. Nella mia seconda stagione a Città di Castello arrivò il salto in Serie D alla fine di una stagione vissuta gomito a gomito con il Castel Rigone. Noi eravamo in testa, ma venimmo raggiunti e così fu necessario lo spareggio. Nei giorni precedenti lo scontro decisivo c’era tanta attesa anche da parte di noi giocatori e lì venne fuori l’esperienza di Cornacchini che ci trasmise la necessaria tranquillità. La sfida fu affrontata a viso aperto da entrambe le squadre e nonostante le occasioni terminò 0-0. Andammo ai calci di rigore e il penalty decisivo fu segnato da Missaglia. Che emozione quella vittoria! Per il gruppo e per me che da capitano della squadra della mia città mi sentivo davvero coinvolto. La gioia fu doppia!

Nelle stagioni successive sei sceso di categoria, ma hai continuato a giocare fino a 42 anni. Come valuti le tue esperienze con San Secondo, Madonna del Latte, Virtus San Giustino, Selci Nardi e Cerbara?

Tutte molto positive. Gli anni passavano, ma ho sempre avuto voglia di giocare e fisicamente per fortuna mi sono sempre sentito in forma. Dopo Città di Castello passai al San Secondo e con mister Bogliari in panchina vincemmo il campionato di Prima Categoria. Una stagione dominata grazie anche a un gruppo composto da tanti giocatori forti, a partire da Barontini. Poi 2 buone stagioni alla Madonna del Latte in Promozione, 1 in Promozione con la Virtus San Giustino, 3 in Prima Categoria al Selci Nardi e 3 ancora in Prima con il Cerbara, sempre con l’obiettivo di mettere la mia esperienza a disposizione del gruppo e aiutare i giovani a crescere. In ogni realtà ho dato tutto me stesso, continuando a mettere in allenamento ed in partita la mia grande passione per il calcio. A Cerbara per un paio di anni ho allenato anche nel settore giovanile ed alcuni di quei ragazzi fanno adesso parte della prima squadra. Purtroppo ho dovuto lasciare l’incarico a causa di impegni lavorativi, ma allenare i giovani è stata una bellissima esperienza.

È stato difficile dopo tanti anni “appendere le scarpette al chiodo”?

Ho cercato di rimandare più possibile quel momento perché giocare a calcio mi ha sempre dato felicità, ma sapevo che prima o poi sarebbe arrivato e l’ho affrontato con serenità. Nelle ultime partite avevo emozioni contrastanti: da una parte il dispiacere per un ciclo giunto alla fine, dall’altra però la consapevolezza di aver dato tutto quello che potevo. Oggi devo dire che mi manca il campo, ma più ancora mi manca la sensazione che si prova nel vivere il gruppo.

Ci sono ex compagni con cui si è creato un particolare rapporto di amicizia?

Con molti di loro a dire il vero. In particolare direi con Massimo Mercuri, De Min, Gaggioli, Morelli, Giulio Franceschini e Giorgio Lacrimini. In generale però nella mia carriera sono andato d’accordo con tutti.

Quali sono state secondo te le tue caratteristiche migliori?

Ero un difensore esterno bravo in marcatura, ma anche in fase di spinta soprattutto nei primi anni. Ho fatto il terzino per quasi tutta la mia carriera, poi negli ultimi tempi ho giocato anche da centrale. Non essendo molto dotato a livello tecnico, ho sempre cercato di dare tutto me stesso negli altri aspetti. Sotto il profilo agonistico e caratteriale ad esempio. Non ho mai avuto infortuni seri e questo mi ha permesso di allenarmi sempre bene e di allungare gli anni di attività. A volte protestavo un po’ troppo magari e questo mi ha portato a prendere qualche cartellino rosso che avrei potuto evitare.

Tipo?

Ad esempio a Sansepolcro nell’anno dei 14 punti di penalizzazione contro la Recanatese in casa nel 3° turno quando vincevamo già nettamente. Protestai con l’arbitro, venni espulso e a fine partita negli spogliatoi mi beccai un rimprovero diciamo bello tosto dai compagni più esperti. Un’altra che mi ricordo fu sempre nella stessa stagione contro la Sangiovannese, quando venimmo espulsi io e Budruni, tra l’altro uno dei rivali più forti che ho affrontato. Vivevo le partite con una certa adrenalina, ma sono stato un difensore corretto.

Come valuti la tua carriera calcistica?

Sono felice di quanto ho fatto, pur non avendo mai giocato nei professionisti. Quando ero a Sansepolcro mi cercò il Montevarchi in Serie C, ma non se ne fece niente. Comunque non ho rimpianti e sono fortunato ad aver giocato così tanti anni e in campionati importanti, togliendomi belle soddisfazioni. Ho dato il massimo e sono stato fortunato perché ho militato sempre in società serie e conosciuto persone che mi hanno fatto crescere. Il calcio mi ha insegnato moltissimo e credo di aver vissuto proprio una bella avventura.

Exit mobile version