Dai dilettanti al calcio professionistico: la storia del preparatore Lorenzo Bubbolini

Un avvio di carriera nei campi di provincia, poi l'approdo a Gubbio e l'abilitazione professionale a Coverciano. L'intervista di TeverePost al 33enne pievano

Lorenzo Bubbolini a Coverciano

Lorenzo Bubbolini, 33 anni, è un personaggio conosciuto in Valtiberina per la sua attività nel centro di Pieve Santo Stefano, dove da alcuni anni gestisce il pub del paese, ma anche per il suo costante impegno nel mondo dello sport e in particolar modo quello del calcio.

Una passione che ha saputo trasformare in lavoro attraverso un percorso formativo avviato a Perugia, con la laurea magistrale in Scienze motorie preventive e adattative, e culminato a Coverciano con l’abilitazione come preparatore atletico professionista.

Il preparatore atletico è una figura che si occupa di curare e migliorare la condizione fisica e le prestazioni degli atleti. Questi professionisti trascorrono gran parte del loro tempo in palestra o sul campo, ma spesso ne passano altrettanto a pianificare i programmi, analizzare i report e impostare i carichi di lavoro. 

Lorenzo ha raccontato a TeverePost quello che è stato il percorso che lo ha portato a lavorare a tempo pieno nel calcio professionistico.

Come tanti tuoi colleghi, immagino che le tue prime esperienze nel mondo del calcio siano state dentro il rettangolo di gioco.

Esatto. Quello con il calcio è un amore nato fin da piccolissimo. Ho dato i primi calci al pallone alla Sulpizia, poi ho fatto tutto il percorso delle giovanili al Sansepolcro fino alla juniores nazionale con Maurizio Falcinelli, che è stato per me una grande figura di riferimento anche dopo aver appeso gli scarpini al chiodo. Grazie a lui, assieme al fatto che non sono mai stato un fan della corsa, ho compreso che la mia carriera nel calcio era indirizzata a bordo campo: preferisco di gran lunga entrare nella testa delle persone e stimolarle a faticare e a migliorarsi. Durante gli studi universitari ho avuto una parentesi a Selci, dopodiché sono tornato a giocare a Pieve anche per comodità. In quel periodo ho avuto un importante infortunio al ginocchio dopo il quale ho scelto di lasciare progressivamente il calcio giocato per puntare verso un’altra direzione, legata soprattutto alla prevenzione degli infortuni e alle altre tematiche legate al mio percorso universitario.

Poi è arrivata la prima esperienza importante da preparatore.

Sì. Sono stato contattato subito dal Sansepolcro, dove ho iniziato il mio nuovo percorso come preparatore atletico inizialmente in parallelo agli studi. Falcinelli mi contattò chiedendomi di occuparmi degli allievi e dei giovanissimi. Nonostante fossi a corto di esperienza, è stata un’annata importante culminata con la finale nazionale a Roma, nella quale abbiamo perso contro lo Sporting Club allenato da Baronio, attuale vice di Pirlo alla Juve. Un’annata fin sopra le mie iniziali aspettative, essendo al tempo ancora un novizio.

Dopo cos’hai scelto di fare?

Conclusa l’università, per un breve periodo mi sono concentrato soprattutto sul lavoro in palestra e al locale. Poi nel 2016-17 sono stato ingaggiato dal Selci, dove avevo giocato per due stagioni tra Promozione e Prima, grazie al ds Marco Briganti, mio vecchio compagno di squadra che era in cerca di un preparatore nell’ambito di un rinnovamento dello staff. Conoscendo bene l’ambiente e le persone, a partire dalla presidente Elena Nocchi, mi si è subito riaccesa la scintilla perché Selci per me è sempre stata una seconda famiglia. Qui ho avuto l’opportunità di lavorare con Federico Barontini, oggi allenatore della Baldaccio, con cui ho maturato un rapporto anche extra calcistico. Quella del 2017-18 è stata una stagione ricca di soddisfazioni. Innanzitutto perché è stata la mia prima esperienza nello staff di una prima squadra, e poi perché siamo riusciti a vincere un campionato difficile assieme a tanti giocatori importanti come Marinelli, Bartolo, Ceccarini, Tifernati, Grasso. Tra l’altro non si sono registrati infortuni gravi e questo è stato certamente un altro elemento positivo.

Come hai vissuto il salto di categoria?

Ho continuato ad aggiornarmi e a studiare perché ho captato sempre più la possibilità di intraprendere un percorso di crescita. Il primo anno in Promozione è stato certamente più difficile, con l’obiettivo dichiarato della salvezza, ma alla fine grazie allo spirito di gruppo e al lavoro del mister siamo riusciti ad ottenere quello che volevamo. Con lo stesso entusiasmo di sempre ero pronto ad affrontare la nuova stagione 2019-20, ma ad agosto è arrivata una chiamata dal Gubbio, società di LegaPro, che ha cambiato le carte in tavola.

In che modo sono arrivati a te?

A fare il mio nome sono stati Maurizio Falcinelli e Diego Giorni attraverso la Tiferno. La società era in cerca di un preparatore per la Berretti ed io sono rimasto quasi spaesato dalla possibilità di lavorare in un ambiente professionistico. Un’opportunità che non potevo lasciarmi sfuggire, ma al tempo stesso non potevo lasciare Selci alla vigilia della stagione. Dopo un colloquio con la società sono riuscito ad incastrare entrambi gli impegni, visti i diversi orari in cui si svolgevano gli allenamenti e le partite. Con qualche sacrificio sono riuscito a ‘sdoppiarmi’ e a mantenere entrambe le cose.

A Gubbio come ti stai trovando?

Molto bene. Qui ho avuto l’opportunità di conoscere un altro allenatore a cui sono rimasto molto legato che è Lorenzo Bazzucchi, già vincitore di un campionato Promozione col Gualdo Casacastalda, che quest’anno ha lasciato il posto a Leonardo Argentina, altro tecnico preparato e molto conosciuto nell’ambiente col quale mi sto trovando molto bene. Proprio di recente ci siamo trovati tutti e tre per parlare del nostro lavoro e condividere esperienze e pareri.

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Arriviamo quindi alla tappa chiave del tuo percorso professionale, ossia il corso a Coverciano dello scorso anno. Cosa o chi ti ha spinto a provarci?

È stata la società che verso ottobre dello scorso anno mi ha proposto di tentare questa strada. Ero consapevole che non sarebbe stato semplice, con circa 40 posti disponibili, di cui 4-5 spesso riservati a società di alto blasone, a fronte di centinaia di domande inoltrate ogni anno. Quindi mi sono rimesso a studiare, anche se fortunatamente tante cose già le avevo apprese all’università, e mi sono presentato alla selezione a Coverciano, un posto ovviamente bellissimo e ricco di significati per chiunque ami il calcio. Al test eravamo circa 300-400 candidati, e dopo aver svolto la prova abbiamo dovuto attendere due settimane per sapere i risultati. Quando ho scoperto di essere tra i selezionati il cuore si è riempito di gioia, e forse è stata la soddisfazione più bella ottenuta sul lavoro in questi anni.

Questo risultato ti ha quindi permesso di svolgere il corso da professionista.

Esatto. Dieci giorni dopo la comunicazione sarebbero cominciati i corsi. Le lezioni si tenevano dal lunedì al giovedì, quattro ore al mattino e quattro il pomeriggio, tutti i giorni per cinque settimane. Mi sono organizzato al meglio che potevo per non trascurare gli altri impegni professionali durante questo mese abbondante di lezioni, nel quale ho pernottato assieme ad altri colleghi di corso in una struttura della zona. 

Com’è stato tornare sui libri?

Il clima era molto universitario: all’inizio ti spiegano subito il programma delle materie, dopodiché sei tu che devi organizzarti e preparare i diversi argomenti. Le materie erano legate alla metodologia di allenamento, utilizzo di strumentazioni quali cardiofrequenzimetro e gps, ma anche fondamenti di psicologia, medicina, comunicazione, e poi le singole discipline, calcio a 11, a 5, femminile. La terza settimana abbiamo svolto una sorta di stage a Peschiera del Garda dove abbiamo assistito agli allenamenti dell’Hellas Verona con Ivan Juric. Nello specifico abbiamo assisito alla parte atletica in compagnia di fior fior di preparatori che ci spiegavano il loro lavoro. E’ stata un’esperienza bellissima perché capisci davvero quanto sia alto il livello in certi ambienti. A fine gennaio si è infine tenuta l’ultima parte del corso e la prova finale, strutturata come un classico esame universitario, e fortunatamente è andato tutto per il meglio. Un risultato gratificante, ma di lì a poco purtroppo sarebbe arrivato il Covid a guastare la festa.

In che modo questa emergenza sanitaria ha influito nel tuo lavoro?

Il lockdown è arrivato proprio quando mi ero appena dotato di nuove strumentazioni per svolgere l’attività professionistica. A causa delle restrizioni, la stagione è finita con l’amaro in bocca e non ho neanche avuto modo di salutare i ragazzi. Quest’anno ho iniziato a lavorare nel modo in cui speravo, seppure con tutti i disagi legati a controlli sierologici, allenamenti a gruppi alterni, docce contingentate, variazioni del calendario e molto altro. Ora però la situazione non sembra evolversi bene, coi contagi che stanno crescendo anche nelle categorie minori. Anche quest’anno non sono sicuro che riusciremo a lavorare con tranquillità, anche se ovviamente ci spero essendo questo ormai il mio impegno principale, tra gli allenamenti al campo e il lavoro di analisi e studio che svolgo sugli atleti una volta a casa. Una situazione che spero si risolva presto in primis per le tante persone che lavorano in questo settore e poi ovviamente per i ragazzi e i tifosi che grazie anche alla partita al campo sotto casa riescono a trovare un prezioso momento di svago.

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