Gol e potenza: semplicemente Riccardo Del Vecchio

Su TeverePost la storia calcistica del centravanti milanese che nell’estate 1995 arrivò alla Baldaccio Bruni e in biancoverde segnò gol a raffica, vivendo stagioni memorabili. E dopo la carriera da giocatore per lui belle soddisfazioni anche come allenatore

Riccardo Del Vecchio sulla panchina del Montalcino nel 2009-2010. Foto di Paolo Rossi

Se chiedi a un qualsiasi tifoso della Baldaccio Bruni che abbia più di 20 anni chi è stato l’attaccante più forte della storia recente biancoverde la risposta è, con ogni probabilità, sempre la stessa: Riccardo Del Vecchio. I suoi gol sono impressi nella memoria di tutti gli sportivi, la sua potenza è stata un incubo per i difensori che se lo trovavano di fronte. Un centravanti completo e dalle spiccate doti realizzative, dal carattere forte, per certi versi anche un po’ ribelle, un bomber di razza che a suon di reti trascinò la Baldaccio Bruni dalla Prima Categoria fino all’Eccellenza. La carriera calcistica di Riccardo inizia a Milano, ma vive gli anni più intensi ad Anghiari, squadra in cui arrivò, quasi per caso, nell’estate del 1995, quando per amore lasciò la Lombardia e si trasferì a Sansepolcro. La maglia biancoverde ha caratterizzato la sua storia calcistica per ben 10 stagioni, le prime 7 in campo e le successive 3 in panchina, con il merito di aver fatto esordire in prima squadra tanti giovani calciatori del paese. Immarcabile o quasi sul rettangolo di gioco, per potenza e capacità di vedere la porta, preparato e scrupoloso da allenatore con anche in questo caso importanti risultati conquistati. Fino a pochi anni fa ha continuato a giocare nei campionati amatoriali, mantenendo il “fiuto del gol”, oggi allena in Seconda Categoria Umbra l’US San Giustino. Con la stessa passione di quando a Milano tirava i primi calci al pallone. Una storia intensa che con Riccardo ripercorriamo su TeverePost.

Come è cominciata la tua avventura nel calcio?

Sono nato e cresciuto a Milano ed abitavo in zona San Siro, non lontano dallo stadio, quindi il calcio forse è sempre stato nel mio destino. Ho iniziato a giocare nella Comina, a due passi da casa. Una squadra piccola, ma organizzata in cui sono rimasto fino agli allievi. Ero già abbastanza bravo e segnavo con continuità, ma non ero l’unico. Con me c’erano ottimi giocatori, come Musazzi che venne preso dall’Inter e Franceschetti che passò al Milan e che poi giocò in Serie A con il Padova. Comunque anche io fui notato dagli osservatori di Inter e Milan e con entrambe le squadre effettuai un provino. Eravamo tanti e c’erano in continuazione partite 11 contro 11 in cui venivamo visionati. Finito i primi 22 toccava ad altri 22 e così via. Dall’Inter non seppi niente, mentre con il Milan la situazione fu particolare, diciamo anche sfortunata.

Con la maglia della Comina, la prima squadra di Del Vecchio

In che senso?

Probabilmente avevo destato una buona impressione e quindi fui ricontattato. Non c’erano i cellulari e così mi chiamarono al telefono di casa, solo che rispose mia madre, a cui di calcio non interessava nulla e che di pallone non sapeva proprio niente. Fatto sta che chiamarono e che chiesero di me. Lei rispose “Riccardo in questo momento non è in casa e poi adesso non può giocare perché ha un braccio ingessato”. Ovviamente non chiamarono più e persi quella possibilità. Forse non sarebbe cambiato nulla, però penso che un altro provino me lo avrebbero fatto fare. Tolto il gesso ricominciai a giocare e a segnare e la Comina mi cedette al Lombardia Calcio, la terza squadra di Milano, che ai tempi militava in Promozione.

Cosa ricordi di quella esperienza?

Mi presero da allievo, ma debuttai quasi subito in prima squadra e da quel momento in poi giocai solo con gli adulti. Ero giovane, ma segnavo spesso e mi facevo rispettare, dagli avversari e dai compagni. Ai tempi i calciatori più esperti facevano portare la borsa ai giovani oppure gli facevano lavare le scarpe, ma con me non funzionava. Mi chiamavano “giovane anziano” o “giovane ribelle” perché non mi facevo mettere sotto e a volte me ne andavo dagli allenamenti. Non si dovrebbe dire, ma era così. Avevo un carattere particolare e non sempre andavo d’accordo con tutti, ma segnavo e alla fine tutto si risolveva. Ricordo anche la nebbia che accompagnava le nostre partite. A volte dalla panchina si accorgevano che avevo fatto gol solo quando correvo esultando verso di loro. A fine anno passò un altro treno importante, ma non lo presi e con il sennò di poi riconosco che quello fu un grande errore!

Al Lombardia Calcio

Cosa accadde?

Mi voleva la Vogherese in Serie C1 e il direttore sportivo del Lombardia Calcio mi accompagnò in macchina a parlare con l’allenatore. Mi disse che aveva due punte esperte e che io sarei stato il terzo attaccante. Una bella opportunità per un giovane di 17 anni, ma io rifiutai perché volevo giocare titolare e perché l’offerta a livello economico non mi convinceva. Cercarono di farmi cambiare idea in tutti i modi, ma non ci fu nulla da fare e così rimasi al Lombardia Calcio. Una scelta sbagliata, perché come terza punta avrei avuto i miei spazi e giocando in C1 avrei avuto maggiore visibilità.

Con il Magenta

Quali le tappe successive della tua carriera in terra lombarda?

In pochi anni cambiai diverse squadre. Dopo il Lombardia Calcio passai al Magenta con cui vinsi i campionati di Prima Categoria e di Promozione trovandomi bene e segnando tanti gol. Due stagioni positive, a parte il dialetto stretto che faticavo a capire. Quando negli spogliatoi parlava mister Colombo mi facevo tradurre le sue parole dal mio compagno Marnati. L’allenatore mi chiamava “Del Vecio” ed io capivo solo quando mi diceva di passare la palla. In effetti non aveva tutti i torti, però che risate! Negli anni seguenti giocai al Rho, al Cinisello con cui vinsi il campionato e all’Aurora Desio in Eccellenza. In ogni avventura realizzai tante reti, poi nell’estate del 1995 decisi di smettere con il pallone.

Del Vecchio all’Aurora Desio

Davvero? Raccontaci un po’…

Avevo conosciuto Sabina e per amore il 29 maggio 1995 venni ad abitare a Sansepolcro. Un cambiamento radicale per me dato che arrivavo in un posto nuovo dove a parte lei, che poi è diventata mia moglie, non conoscevo nessuno. L’idea era lavorare il tabacco per la sua azienda di famiglia e pensai che la mia storia calcistica fosse finita. Ma per fortuna non fu così. Camillo e Riccardo Olivieri mi chiesero infatti se volevo giocare un torneo a San Leo di Anghiari con la loro squadra, il Santa Fiora. All’inizio dissi di no, poi cambiai idea. Fu uno spettacolo! Rimasi impressionato dal numeroso pubblico. Mai avrei creduto che ci potessero essere così tante persone ad un torneo amatoriale. In Lombardia neanche in Eccellenza c’era tanta gente. Segnai 3 gol bellissimi e quel torneo cambiò davvero la mia vita sportiva.

Arrivò in quella circostanza la chiamata della Baldaccio Bruni?

Proprio così. Tra gli spettatori c’era anche Maurizio Lacrimini, presidente della società biancoverde. Mi vide e mi propose di giocare ad Anghiari. Arrivarono anche offerte da altre squadre della Valtiberina, ma in quel periodo io e Sabina uscivamo assieme a Claudio Meoni e sua moglie e fu proprio lui, anghiarese doc, a dirmi che la Baldaccio era una società seria e affidabile. Accettai e quella scelta fu la migliore che potessi fare. Ad Anghiari ho giocato 7 anni togliendomi tante soddisfazioni e poi rimasi 3 anni da tecnico. Le cose andarono bene fin da subito.

Stagione 1995-1996, la tua prima in biancoverde, con il salto di categoria dalla Prima alla Promozione. Non male.

Fu un’annata bellissima coronata dalla vittoria nello spareggio a tre con Rosia e Castellina che ci permise di salire in Promozione. La Baldaccio inseguiva quel risultato da un po’ di tempo e fu straordinario riuscirci per me al primo tentativo. In panchina c’era Fernando Chiasserini, in campo tanti giocatori forti che hanno fatto le fortune della Baldaccio anche negli anni a seguire. Compagni e amici. Io segnai 18 gol e il mio compagno d’attacco era Aldo Giovagnini, in arte “Quaglina”, attaccante fortissimo con cui ancora adesso gioco negli “over 40”. Al Saverio Zanchi veniva tanta gente e c’era grande entusiasmo. Verso la squadra e verso di me perché c’era curiosità di vedere all’opera il Del Vecchio arrivato da Milano. Ad Anghiari sono stato molto bene, ho fatto il capitano per tante partite, mi sono sentito un calciatore importante e ho sentito forte il senso di appartenenza. Per questo ringrazierò sempre dirigenti, staff tecnico, compagni e tifosi. Gli anni alla Baldaccio mi fecero conoscere in tutta la Toscana e nel 1998-1999 vincemmo la Promozione portando il team anghiarese per la prima volta in Eccellenza, tra l’altro nell’anno del centenario.

Del Vecchio in azione nella stagione 1998-99. Foto di Paolo Rossi

Quanta gioia per quello “storico” traguardo?

Tantissima. Eravamo forti e consapevoli di esserlo, vincemmo il campionato davanti al Tegoleto e la partita decisiva fu mi sembra quella casalinga contro il Pontassieve. Fu il coronamento di una stagione memorabile per la squadra e anche per me visto che segnai anche in quel caso tanti gol. I tifosi mi dicevano “se saliamo in Eccellenza ti facciamo una statua e la mettiamo in piazza al posto di Garibaldi”. Che roba!

Quanti gol hai segnato con la maglia della Baldaccio?

Tanti anche se non saprei dirti il numero esatto e nemmeno quale fu il più bello. I gol per me sono stati tutti importanti e vinsi più volte anche il titolo di capocannoniere. Un attaccante vive per aiutare la squadra, per vincere e per segnare. Il gol era un’emozione che si rinnovava ogni volta che il pallone entrava in porta, ma vorrei sottolineare anche le “battaglie” che caratterizzavano le mie partite. Più i duelli con i miei marcatori erano intensi e più mi galvanizzavo. A Monteriggioni litigai ad esempio con tutti i difensori, ma faceva parte del gioco. Ho sempre avuto rispetto e sono sempre stato rispettato. A fine gara ci sono stati arbitri che si complimentavano con me. Gratificazioni enormi che oggi mi fanno ancora più piacere. Il mio carattere su certe cose mi ha forse danneggiato, ma su altri aspetti mi ha aiutato: in campo non sentivo la pressione e non mi preoccupavo degli avversari. Giocavo, mi divertivo, e davo l’anima per vincere.

Del Vecchio nel 2000. Foto di Paolo Rossi

Stagione 2000-2001. Annata amara per la Baldaccio che retrocesse dall’Eccellenza e prima esperienza in panchina per te. Ci racconti?

Il campionato andò male e a 5 partite dalla fine mister Chiasserini si dimise. Io e altri giocatori andammo a casa sua per convincerlo, ma ormai aveva deciso, così visto che io allenavo già la juniores, furono proprio i miei compagni a chiedermi di rivestire il doppio ruolo di tecnico-giocatore. La società era d’accordo e così provammo l’impresa, ma i 5 punti raccolti nelle ultime 5 gare non bastarono per salvarci. In una di queste perdemmo 1-0 in casa con la Sansovino di Sarri che proprio ad Anghiari festeggiò la promozione in Serie D. La sfida fu decisa da due rigori: io sbagliai, loro segnarono. A fine match Sarri, che già mi conosceva come giocatore, si avvicinò e si complimentò con me come tecnico. Una bella soddisfazione.

Riccardo Del Vecchio nel 2005 sulla panchina della Baldaccio. Foto di Paolo Rossi

Dopo la stagione di Gallastroni, iniziò a tutti gli effetti il tuo percorso da tecnico in prima squadra. Come furono i 3 anni nella panchina biancoverde?

In un certo periodo allenavo prima squadra e juniores e quindi mi capitava di essere al campo tutti i giorni. Furono 3 stagioni intense con altrettante salvezze conquistate in Promozione e con molti giovani di Anghiari lanciati da me in prima squadra. Avevo fiducia nei ragazzi che venivano dalla juniores e sono felice di aver dato a molti di loro la possibilità di vestire la maglia della Baldaccio.

Amichevole Baldaccio-Perugia nel 2000. Foto di Paolo Rossi

Negli anni successivi come si è evoluta la tua avventura da tecnico?

Mi chiamarono a Soci con la squadra ultima in Prima Categoria e noi, oltre a salvarci, vincemmo la Coppa Toscana salendo in Promozione. Nella stagione seguente ci salvammo nel ritorno nella sfida play out dopo aver cambiato modulo a gara in corso e grazie alla doppietta di Cusimano. Due anni molto belli. Al Grassina in Eccellenza l’inizio fu positivo, ma non ci fu mai il giusto feeling, alla Poliziana in Promozione fui esonerato nonostante fossimo nei piani medio-alta in classifica, ma poi mi richiamarono perché la squadra era ultima. Facemmo 7 punti in 5 gare e ai play out ci salvammo con il Levane vincendo entrambe le sfide. Poi un’altra impresa sfiorata con il Montalcino in Eccellenza. Mi chiamarono in una situazione quasi compromessa, battemmo ai rigori il Barberino nello spareggio per evitare l’ultimo posto con una tensione incredibile, ma poi arrivò un play out che mai avrei voluto, contro la Baldaccio. Ho affrontato più volte la mia ex squadra, ma ai play out era un’altra cosa. Pareggiammo entrambe le sfide e a salvarsi fu la Baldaccio per il miglior piazzamento. Il direttore del Montalcino dopo la retrocessione mi ringraziò per quanto fatto. Tornai a Soci in Eccellenza e dopo smisi lavorando a tempo pieno o quasi nell’azienda di famiglia.

Una considerazione la meritano anche altre due esperienze da tecnico: alla Capresana prima e con l’US San Giustino poi.

Quello con la Capresana fu un progetto intrigante con la volontà di riportare il calcio giocato in un paese in cui la squadra mancava da tanti anni. Ripartimmo da zero, con una realtà organizzata, un gruppo unito e di qualità e con grandissimo entusiasmo. Vincemmo i play off di Terza Categoria con il Chitignano centrando la promozione e nella stagione seguente in Seconda iniziammo bene, anche se poi tutto finì. Lo scorso anno mi ha contattato l’US San Giustino in Seconda Categoria e ho trovato un bell’ambiente. Ci impegniamo e ci divertiamo. Lo scorso anno ad esempio prima del derby con il Pistrino siamo stati in ritiro dormendo la sera prima al Borgo Hotel, come una squadra vera e la domenica abbiamo vinto.

In conclusione come valuti la tua storia calcistica?

Mi sono divertito molto e continuo a divertirmi anche ora. Questa è la cosa più importante. Sono contento di quanto ho fatto in tutti questi anni, in campo e in panchina. Quando giocavo ero spensierato e ho vissuto stagioni bellissime, da allenatore molto varia a seconda dei risultati e spesso se le cose non vanno ci rimette l’allenatore. Fa parte del gioco. Io ci metto tutto me stesso e cerco sempre di dare organizzazione e serietà, affrontando ogni momento con massima professionalità. Spero che si possa ripartire perché il calcio manca. Ho voglia di ritrovare le sensazioni del campo e, perché no, anche di rifare qualche partitella!

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