Leonardo Magnani: “Cultura della pace, una lente d’ingrandimento per leggere la realtà”

“Agire localmente e pensare globalmente: oggi c'è una città che dialoga ed è inserita in un contesto”. TeverePost ripercorre quasi trent'anni di attività con il presidente dell'Associazione Cultura della Pace

Leonardo Magnani

Abbiamo incontrato ieri il presidente dell’Associazione Cultura della Pace Leonardo Magnani, con cui abbiamo ripercorso quelli che tra poche settimane saranno ben trent’anni di attività. La prima riunione risale infatti al 24 gennaio 1991. L’anno successivo nasce il Premio Nazionale Cultura della Pace, che viene conferito ogni due anni ed è arrivato alla 15esima edizione (proprio ieri sono stati resi noti i nomi dei finalisti). Le prime cinque edizioni sono state accompagnate da uno speciale premio “alla memoria”, dal 2002 sostituito dal Premio Nazionale Nonviolenza.

Ma torniamo all’inizio, al 1991. Come è nata l’idea?

L’associazione allora aveva un’altra denominazione, quella di Comitato promotore per l’obiezione di coscienza. Era nata per aiutare tutte quelle persone che non volevano fare il servizio militare e volevano scegliere l’obiezione di coscienza. Il comitato era a disposizione, preparava le lettere per richiedere l’obiezione e seguiva la procedura, che era molto complessa e soprattutto poco pubblicizzata. Avevamo quasi 300 contatti l’anno di persone che assistevamo gratuitamente per aiutarle a iniziare l’iter.

Nel 2000 arriva l’abolizione del servizio militare obbligatorio.

Esatto. A quel punto era chiaro che si doveva fare una scelta: interrompere l’attività perché l’obiettivo era stato raggiunto oppure continuare con un’altra formula. Decidemmo di andare avanti come Associazione Cultura della Pace, dato che nel 2000 eravamo già a cinque edizioni del premio e ritenevamo che potesse essere un buon progetto culturale.

Il premio infatti era nato fin da subito.

La prima edizione si era tenuta il 7 novembre 1992. L’idea era quella di dare un contenuto culturale all’attività. Ci ponevamo la questione di costruire una cultura di pace, un concetto che abbiamo ripreso dalle Edizioni Cultura della Pace di padre Ernesto Balducci, morto il 25 aprile 1992 e primo premiato “alla memoria”. Dicemmo: bene, facciamo un premio che si occupi proprio di questo, non tanto della pace ma della cultura della pace.

Spieghiamo meglio questa differenza.

È una differenza sostanziale, perché la pace la agognano tutti, anche Jack Ripper nel film Il Dottor Stranamore lavora per la pace. La pace naturalmente è un obiettivo, ma c’è bisogno dei mezzi per arrivarci, perché il mezzo condiziona l’obiettivo, lo influenza, in positivo o in negativo. Oggi il sistema militare lavora per la pace, però bisogna vedere con quali metodologie: se la metodologia è bombardare allora qualcosa non torna, anche perché poi si vede che non si risolvono i problemi. Per lo meno non i nostri, i loro forse li risolvono benissimo. Quindi la cultura della pace è un modo per fare una riflessione sulla pace e sulle metodologie per giungere alla pace. A noi interessano le procedure, che poi sono quotidiane e magari sono anche maggioritarie rispetto alla cultura della guerra, sennò saremmo in fiamme. Riuscire a leggere la realtà con questa lente di ingrandimento permette di capire dove si sbaglia e dove si possono creare delle crisi, perché la cultura della guerra è una cultura molto forte. D’altra parte se non si lavora per la pace si lavora per la guerra.

Non ci sono vie di mezzo.

Ahimé no. Quindi la nostra idea è quella di fare un disegno narrativo. Uno dei complimenti più belli che sono arrivati all’associazione, proprio ultimamente, sottolineava come sei anni fa, premiando il regista Emanuele Crialese sul tema dell’immigrazione, avessimo anticipato una questione diventata in seguito molto attuale. Ecco, noi abbiamo questa idea piccola, modesta, di provare a leggere la realtà, a darne un’interpretazione. Se non si fa questo si va a rimorchio della realtà. Magari non andare a rimorchio ci è costato un po’ di notorietà, ma un’associazione che si occupa di queste cose secondo me deve anticipare le tematiche. Come quando Fabio Salviato, allora presidente della Banca Etica, già nel 2004 spiegò che a breve ci sarebbe stata una notevolissima crisi finanziaria perché c’era poca economia e troppa finanza. Ne parlò espressamente al premio qui a Sansepolcro. Il premio insomma è un posto dove uno deve venire non a fare le foto, ma a prendere appunti. Tornando al 2014 e a Crialese, c’era anche Giovanna Vaccaro di Borderline Sicilia Onlus, un’associazione che si occupa dei diritti dei migranti, e fu trattato il problema del business che viene fatto sugli immigrati. Se qualcuno avesse preso appunti magari in seguito sarebbero state fatte scelte politiche più efficaci.

Tra i tantissimi incontri legati alle attività dell’associazione quali sono quelli che ricordi con più piacere o che ritieni più significativi?

Sono tantissimi. Certamente i più importanti sono stati e sono ancora oggi gli incontri con le scuole. A livello di personaggi, be’, ricordo il premio dato a Tullia Zevi. Eravamo alla Badia Fiesolana, al centro di Balducci, con Fioretta Mazzei, che era la segretaria di La Pira, don Luigi Di Liegro, monsignor Bona, presidente di Pax Christi, Fabrizio Fabbrini, uno dei primissimi obiettori di coscienza italiani. Fu un elemento di grande forza. Poi mi vengono in mente Marco Paolini, una figura straordinaria di grandissima generosità, Zanotelli, lo stesso Massimo Cirri di Caterpillar. Sono personaggi di livello alto, lo si vede anche dal fatto che sono umanamente contentissimi di ricevere questo premio, che è certamente locale, però ha la pretesa di pensare in modo globale. Questo è importante, agire localmente e pensare globalmente. Il rischio è fare il contrario, ed è peggio. Ancora, Carlotta Sami, testimonial della borsa di studio “Angiolino Acquisti”. Anche questo è un progetto significativo.

Parliamone.

L’idea venne da Giovanni Acquisti che mi chiese di pensare a una borsa di studio per ricordare suo padre. Scegliemmo il tema della nonviolenza. Ecco, Sansepolcro oggi vanta in biblioteca trenta tesi specialistiche dedicate alla nonviolenza, stampate e disponibili a tutti. Sono tesi certificate dallo Stato italiano, dal valore scientifico assolutamente rilevante, che riguardano la nonviolenza sotto lo spettro ampio della cultura della pace, perché ci sono tesi di giurisprudenza, di letteratura, di pedagogia. Quest’anno ci è arrivata una tesi di musicologia, cioè su come la musica possa creare una cultura di pace. Due anni fa invece arrivò una tesi di architettura, su come costruire una città per evitare conflitti. Questa per Sansepolcro è una ricchezza e credo che sapendola sfruttare bene potrebbe diventare un tesoro enorme, perché se in tre o quattro edizioni abbiamo avuto trenta tesi, nell’arco di dieci edizioni ne potremo avere più di cento. È un tesoro che può essere messo in collegamento con altre realtà. Fra l’altro tutte le persone che hanno vinto hanno anche operato sul campo, in Palestina, in Jugoslavia, hanno lavorato nei centri nevralgici. Ecco, questi sono elementi arricchenti.

Questo è un esempio evidente dei frutti del lavoro dell’associazione. Quali altri ritieni i più importanti?

A Sansepolcro i ragazzi da quando sono nati sanno che qui c’è un premio che si occupa di cultura della pace e di nonviolenza. Sentono parlare di nonviolenza in modo assolutamente naturale. Quando abbiamo iniziato non si parlava di nonviolenza, si parlava al limite di pace in senso generale, ma parlarne in senso generale non credo che abbia utilità, fa molto comodo a chi non la vuole. Secondo me il frutto più grande è che c’è una cittadina che dialoga ed è inserita in un contesto. Per esempio grazie all’impegno dell’amministrazione e dell’associazione siamo in contatto con Rovereto, che è l’unica “città della pace” per legge dello Stato italiano, ed è legata a Sansepolcro. Siamo in contatto con la Fondazione Olivetti, quindi potremmo fare una riflessione sull’imprenditorialità di Olivetti, rispetto a cui vedo pochi esempi di imitazione. Poi una delle cose più belle che ci sia successa quest’anno è che un comune in provincia di Lecco, Monte Marenzo, ha visto il manifesto che noi realizziamo ogni anno in occasione del 4 novembre e lo ha voluto dare a tutti i bambini delle scuole elementari. Avevamo iniziato a fare i manifesti per il 4 novembre per fare una riflessione, tra l’altro prendendo anche una denuncia per vilipendio allo Stato. Oggi a Lecco ci chiedono l’autorizzazione per usare il nostro manifesto. È una cosa bellissima, e vuol dire che agire localmente e pensare globalmente ha avuto un frutto. Inoltre pensiamo ai soci onorari dell’associazione, che monitorano il territorio avendo dei punti di osservazione ampi. David Sassoli, oggi presidente del Parlamento Europeo, è diventato nostro socio onorario quando era giornalista del Tg1, per il rapporto che aveva con monsignor Di Liegro, con cui il fratello aveva fatto l’obiezione di coscienza. Mao Valpiana è il presidente del Movimento Nonviolento e collabora con Sansepolcro. Le attività che fa l’associazione non le fa per sé ma per Sansepolcro, e quindi ci piace che Sansepolcro sia stata inserita dal Movimento Nonviolento in quel bell’itinerario – Perugia, Assisi, Sansepolcro, Fiesole, Firenze – che parte da Capitini e arriva a don Milani. Ci onora il fatto che sia stata inserita anche Sansepolcro, che è la città di Piero della Francesca ma è anche la città della cultura della pace.

Exit mobile version