“Non ero entusiasta ma il sentore di un buon risultato c’era fin da Sanremo”

Eurovision, il voto del pubblico premia i Måneskin con una canzone lontana dall'immagine della musica italiana all'estero. Su TeverePost il commento dell'esperto Giorgio Fusberti

Il logo dell'Eurovision a Kiev in occasione dell'edizione 2017 (dall'archivio di G. Fusberti)

A distanza di 31 anni l’Eurovision Song Contest tornerà in Italia grazie alla vittoria dei Måneskin con la canzone Zitti e Buoni, già prima al Festival di Sanremo lo scorso marzo. Da buon frequentatore del pianeta eurovisivo sono contento del ritorno di questo evento in Italia. Lo sono soprattutto per le tante persone che da quando il nostro Paese ha ricominciato a partecipare all’ESC ci hanno sempre creduto. Chi ha lavorato per questo da dentro la Rai, i fan della rassegna musicale raccolti dentro all’Ogae Italia, i giornalisti di piccole radio o realtà editoriali, tra cui ricordiamo Errevutì e ValdichianaOggi, che hanno seguito in questi anni un evento che spesso era snobbato dalle grandi testate. Personalmente non ero entusiasta della partecipazione dei Måneskin. Non lo ero già durante la loro esibizione a Sanremo e per questo non salirò ad ogni costo sul carro dei vincitori, come non rinnego le mie opinioni espresse alcuni mesi fa, quando comunque sulle prestigiose pagine social di Ma noi non ci Sanremo dissi che avevano tutte le potenzialità per ben figurare in Europa. Il sentore di un buon risultato c’era, soprattutto da quando il pezzo ha cominciato a girare nelle radio estere già prima dell’Eurovision. La prova è che le giurie popolari di tutti i paesi presenti a Rotterdam lo hanno inserito nella top 10, ovvero nelle posizioni che assegnano punti. I quattro romani si erano difesi bene anche sul voto delle giurie di qualità, rimanendo nella parte alta della classifica. La differenza l’ha fatta il voto da casa, che ha permesso ai Måneskin di mettere in riga Francia, Svizzera, Islanda e Ucraina. Ai primi cinque posti cinque canzoni diversissime tra loro. Questo è il bello (o il brutto) dell’Eurovision, dove una canzone classica e una rock, e relativi diversissimi interpreti, si sono contese il trionfo per una manciata di voti.

Tre volte campioni

Per l’Italia è il terzo trionfo all’Eurovision Song Contest. Di norma una vittoria ogni trent’anni, con una storia iniziata nel 1964 quando la sedicenne Gigliola Cinquetti cantando Non ho l’età dopo aver vinto Sanremo sbancò l’edizione di Copenaghen, permettendo alla Rai di ospitare l’Eurofestival a Napoli. Era invece il 1990 e Zagabria era la seconda città più importante della Jugoslavia quando Toto Cutugno vinse l’edizione che fino a due giorni fa era l’ultima vittoria italiana. La canzone Insieme permise nel 1991 a Roma di ospitare l’evento. La Rai per molti anni si allontanò da quella esperienza decidendo di non prendervi parte e neppure di trasmetterla. Con fatica e tante perplessità gli appassionati dell’ESC dentro e fuori la tv di Stato riportarono l’Italia a partecipare. La vittoria era nell’aria visti i secondi posti di Rafael Gualazzi (2011) e Mahmud (2019) e il terzo posto de Il Volo (2015). Buoni i risultati anche di Francesco Gabbani, sesto, e del duo Fabrizio Moro ed Ermal Meta, quinti, rispettivamente nel 2017 e 2018.

L’edizione 2021 si è svolta a Rotterdam, in Olanda, dopo che nel 2020 l’evento fu cancellato per Covid. Per l’Italia doveva esserci Diodato e anche per lui c’erano i favori dei pronostici per un pezzo che piaceva molto oltre confine. Il destino beffardo per il cantautore vincitore del Festival di Sanremo 2020 è stato amico dei Måneskin che hanno avuto la possibilità di esibirsi e vincere sullo stesso palcoscenico. Ha vinto il rock, tra l’altro con una canzone ben lontana dall’immagine stereotipata che può esserci all’estero della musica italiana. Probabilmente un aiuto alla giovane band italiana è arrivato anche dall’assenza, Finlandia esclusa, di avversari che si esibivano sullo stesso genere. Il buon risultato del voto popolare anche per gli scandinavi lasciava ben sperare che il pubblico europeo quest’anno volesse premiare i suoni forti.

Musica e geopolitica

L’Eurovision Song Contest non è solo un evento dedicato alla musica, ma anche un terreno di confronto sociale e spesso anche politico. In Italia, almeno finora, i cuori non si sono mai troppo scaldati in occasione dell’ESC e mai sono nate particolari rivalità, ma la stessa cosa non si può dire per alcuni dei Paesi figli di sembramenti o guerre come nel caso degli stati eredi della Jugoslavia o dell’Unione Sovietica. Al contrario esistono consolidate amicizie e scambi di voti tra paesi simili, come Grecia-Cipro, Romania-Moldavia o tra baltici o scandinavi. Infine c’è il fattore Russia: amata o odiata, più volte si sono create dinamiche “internazionali” per bloccarne il successo. A tal proposito è sempre interessante osservare il voto delle giurie di qualità, nominate dalla Tv di Stato e quindi con legami con i governi nazionali, penalizzare Mosca mentre negli stessi paesi il voto popolare la premia. Esempio di questo è il voto delle giurie di Ucraina, Lettonia o Estonia e allo stesso tempo la risposta nel voto popolare della consistente minoranza russofona che vive nelle stesse nazioni. Lo stesso fenomeno avveniva anche tra gli Stati ex jugoslavi quando i governi si davano battaglia mentre le persone votavano vicendevolmente le performance slovene, croate o serbe.

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