Polonia e Bielorussia, una crisi prevedibile

Le migliaia di persone accampate nei pressi del confine dell’Unione Europea sono la punta dell’iceberg di un fenomeno in corso da molti mesi. Il punto nella rubrica Oltre il Tevere

Foto di Raimond Spekking (CC BY-SA 4.0)

Siamo abituati a pensare che chi scappa dalle guerre o dalla povertà arrivi in Europa con barche e gommoni dalla Libia oppure dal Marocco, cercando di entrare nelle enclavi spagnole di Ceuta e Melilla. Negli ultimi anni attraverso la Turchia abbiamo cominciato a fare i conti con la rotta greca e con coloro che invece che attraversare il mare risalivano i Balcani. Fino ad oggi i Paesi più direttamente colpiti dal fenomeno erano l’Italia, la Spagna e la Grecia, e solo come terre di passaggio l’area dell’ex Jugoslavia e dell’Ungheria dove non sono mancate di recente costruzioni di sbarramenti atti a bloccare i flussi migratori. Oggi se ne comincia a parlare anche in Polonia, Lituania e Lettonia, dove sono in costruzioni sbarramenti simili, dato che è in corso da qualche anno il sistematico attraversamento di quei confini da parte di disperati che cercano di raggiungere Germania, Francia o Gran Bretagna, viste come la Terra Promessa.

Il confine

Nei boschi tra Polonia e Bielorussia, le ultime foreste dove ci sono ancora i bisonti europei allo stato brado, sono accampate persone provenienti da Kurdistan, Siria, Iraq, Afghanistan e altre realtà della regione medio-orientale. Prevalentemente nazioni e popoli che negli ultimi trenta anni hanno visto la parte di mondo progredita cercare di esportare democrazia con risultati spesso peggiori del livello di partenza.

La rotta percorsa è prevalentemente aerea perché alle persone che arrivano da questi Paesi non servono particolari procedure burocratiche per atterrare a Minsk o – come sostengono a Bruxelles – perché sarebbe in atto una vendita di viaggi della speranza da parte delle autorità bielorusse. Dalla capitale bielorussa si spostano verso i confini dell’Unione Europea che in questa area sono oltre mille chilometri difficili da presidiare in modo costante. La Lituania (502 km di confine condiviso) ha già provveduto da alcuni anni a costruire una rete di sbarramento con la Bielorussia proprio per arginare questo fenomeno. La Lettonia (141 km) ha appena cominciato lo stesso tipo di attività, idem la Polonia (407 km), che fino a poco tempo fa minacciava di costruire la barriera non per i migranti ma proprio per dividersi fisicamente dall’area di influenza russo-bielorussa.

In ogni caso in fretta e furia Varsavia sta allestendo il “muro” metallico, tenuto conto di oltre ventimila violazioni del confine dall’inizio dell’anno. La Polonia insiste perché sia l’Unione Europea a finanziare quest’opera dato che il confine difeso è quello di tutta la Comunità. Oltre al consistente gruppo vicino a Kuznica, prevalentemente famiglie, ci sono molti piccoli gruppi che stanno tentando o sono già riusciti ad entrare lungo le maglie del vasto confine tra Polonia e Bielorussia. Il fenomeno si è intensificato a fine estate, ma solo adesso si comincia a parlarne.

Triplice confine tra Polonia, Lituania e Russia. Sulla destra la recinzione installata dai lituani che separa dall’enclave russa di Kaliningrad

Più pesi più misure

Quello che sta accadendo alle porte della Polonia è un tema ben conosciuto alla opinione pubblica italiana da almeno trent’anni. In tre decenni non è stata trovata una soluzione europea alle dinamiche in atto se non quelle puramente temporanee di finanziare stati terzi per bloccare i profughi o per fare il lavoro sporco che le istituzioni europee non possono fare. Questo è quanto accaduto con la Libia di Gheddafi e che si ripete anche oggi senza di lui. Situazione simile in Turchia dove l’Europa paga perché Ankara si trattenga i profughi scappati dalla Siria in dieci anni di guerra. La Spagna ha invece blindato con altissime reti e sistemi di controllo evoluti i propri confini terrestri con il Marocco rendendo quasi impossibile valicarli in modo non regolare. Anche parte del confine terrestre tra Grecia e Turchia ha un proprio muro mentre il mare è più difficile da presidiare.

Oggi in Polonia esplodono tutte le contraddizioni di una gestione del problema da sempre approssimativo. Succede in un paese fortemente cattolico e nonostante il numero dei profughi sul fronte polacco non sia neppure paragonabile a quello che interessa quasi quotidianamente l’Europa mediterranea. La linea dura dello stato polacco e la probabile strumentalizzazione del fenomeno da parte bielorussa fanno parlare del tema. I primi chiedono l’aiuto dell’Unione senza che a propria volta siano stati disponibili ad aiutare chi era in prima linea fino ad ieri, i secondi giocano sulle contraddizioni di Bruxelles per mettere in crisi la capacità delle istituzioni europee di gestire il problema.

Il ministro dell’interno polacco Mariusz Kamiński riferisce sulla crisi al confine con la Bielorusso lo scorso 31 agosto. Foto gov.pl (CC BY 3.0 PL)

Rapporti tesi

Al momento siamo alla fase delle minacce poiché l’Europa accusa il presidente bielorusso Lukašenko di giocare al trafficante di uomini e promette nuove sanzioni, mentre quest’ultimo avvisa che potrebbe chiudere il gasdotto che attraversa la Bielorussia e fare schizzare ulteriormente in alto il costo del metano se la Polonia decidesse di chiudere il confine. Il presidente bielorusso provoca i vicini polacchi, che nel recente passato non si sono mai fatti grossi problemi a dare asilo a coloro che a Minsk manifestavano contro il risultato elettorale delle scorse elezioni presidenziali. Probabilmente Lukašenko spera di ottenere dall’Unione Europea alcuni dei vantaggi avuti da Erdogan e dalla Turchia se si impegnasse a fermare il flusso.

Se siamo arrivati al punto in cui chiunque può ricattare le istituzioni europee giocando sui migranti ci sarebbe da chiedersi perché tutte le strategie di contenimento del passato non abbiano mai funzionato. Non si è riusciti a bloccare i flussi pagando i paesi confinanti, non si è riusciti ad aiutarli “a casa loro”, si continua a destabilizzare i paesi da dove i profughi scappano. Forse sarebbe il momento di fare una profonda riflessione ed intervenire con altre modalità.

Naturalmente la partita non si gioca unicamente sulla pelle di qualche migliaio di profughi e non solo negli ettari di terreno attorno alla cittadina polacca di Kuznica, ma in ballo ci sono anche Russia e Nato alle spalle dei propri alleati. Sembra che tutti auspichino non meglio specificati incidenti alla frontiera probabilmente per distogliere l’attenzione da altri tipi di problemi che sia Polonia e Bielorussia hanno in casa propria. Al momento i profughi cercano di abbattere il filo spinato usando alberi tagliati e tronchesi, i polacchi rispondono con gas urticanti rimanendo all’interno dei propri confini. Polizia ed esercito di Varsavia hanno abbondantemente superato le quindicimila unità mentre sull’altro lato ci sono i militari bielorussi che osservano, si tengono pronti ad eventuali sconfinamenti, portano acqua e cibo ai migranti e forse li sconsigliano di provare a tornare indietro. L’inverno si avvicina e nonostante le tende e la legna che brucia tutto il giorno non sarà possibile resistere a lungo in questa situazione. Tra i migranti non mancano bambini ed anziani che avrebbero bisogno di tutto meno che della possibilità di soggiornare all’aperto nei boschi dell’Europa orientale. Tutti giocano sulla pelle di qualche migliaio di disperati, ma nessuno riesce né vuole fare una bella figura agli occhi del mondo.

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