Premio Cultura della Pace, durante la cerimonia momenti toccanti e tanti spunti di riflessione

Al Teatro Dante la consegna a Enrico Ghezzi e alla redazione di Blob. Leonardo Magnani: “Sansepolcro centro nevralgico della discussione sulla cultura della pace e della nonviolenza in Italia”

Il palco del Teatro Dante durante la cerimonia

Come avviene ormai da tre decenni a questa parte, la cerimonia di conferimento del Premio nazionale Cultura della Pace – Città di Sansepolcro ha dato anche quest’anno occasione ai presenti di assistere ad un appuntamento di grandissimo valore, grazie alle testimonianze di chi quotidianamente si dedica, in ambiti e da punti di vista diversi, alla costruzione di una società in cui la nonviolenza e la stessa cultura della pace possano trovare uno spazio più ampio rispetto a quello marginale a cui sono spesso relegate.

Il Premio, come annunciato nelle scorse settimane, è stato assegnato con decisione unanime del comitato tecnico alla trasmissione di RaiTre Blob, riuscita “a mettere insieme immagini e significati, significanti e messaggi, attraverso ciò che fa vedere la televisione, tra finzione e realtà, rappresentando in modo unico e originale la realtà, con particolare attenzione alla guerra e alla violenza della vita quotidiana, dimostrando come la sequenza di immagini possa essere decisiva nel raccontare una storia e creare sensibilità e cultura”. Sul palco del Teatro Dante con Leonardo Magnani dell’Associazione Cultura della Pace e con il conduttore dell’iniziativa Michele Casini c’erano tre redattori del programma televisivo, Simona Buonaiuto, Cristiana Turchetti e Vittorio Manigrasso. Nonostante i gravi problemi di salute ha voluto essere presente a Sansepolcro anche lo storico ideatore di Blob Enrico Ghezzi, che ha seguito la cerimonia dalla platea e in conclusione è stato premiato dal vicesindaco di Sansepolcro Paola Vannini. “Un’icona della televisione italiana – lo ha definito con ragione Leonardo Magnani – un intellettuale di primo livello che ci ha fatto il regalo di voler essere qui con noi”.

L’appuntamento è stato l’occasione anche per conferire il Premio nazionale Nonviolenza, che ha eccezionalmente visto una doppia assegnazione per celebrare il trentennale dell’Associazione Cultura della Pace: destinatari Rondine-Cittadella della Pace, con il presidente Franco Vaccari premiato dall’assessore alla cultura Marconcini e dal consigliere delegato Del Bolgia, e la Rete italiana per la Pace e il Disarmo: la presidente dell’Associazione Cultura della Pace Elisa Celicchi ha consegnato il riconoscimento a Sergio Bassoli e Francesco Vignarca.

Tanti gli spunti di grande interesse, come il racconto dell’attività di Rondine che, a partire dal progetto di convivenza e collaborazione tra giovani ceceni e russi durante il primo conflitto del 1997, lavora oggi con ragazzi di 30 nazionalità che, come ha spiegato Vaccari, condividono la quotidianità con coetanei di popolazioni “nemiche”, “fanno l’esperienza meravigliosa di scoprire nel nemico la persona” e vogliono “tornare nei rispettivi Paesi per provare davvero a cambiare le cose”. Il presidente di Rondine-Cittadella della Pace ha sottolineato quello che ha definito il “dramma” di questo tipo di esperienza: “Convivere col nemico significa chiedersi quotidianamente: Ma io sto tradendo la mia parte? Sto tradendo il dolore, i lutti, la tragedia del mio popolo? Con che diritto tendo la mano a uno di quelli là? Per cui è un passo enorme quando i ragazzi riescono a trovare la ragione di superare questa difficoltà e di capire che un futuro nuovo può essere possibile, e non è un tradimento, ma è anzi il rispetto più profondo di chi è morto inutilmente per la guerra”.

Sergio Bassoli ha invece descritto la riflessione alla base della Rete pace e disarmo, che lega insieme circa 70 organizzazioni: “L’idea del pacifismo che scende in piazza dopo che è scoppiata una guerra è importante ma non è sufficiente”, ha detto. “Occorre fare un passo in avanti, costruire le condizioni per una società che rispetta i diritti umani, che opera per la pace e la convivenza nei confini nazionali e oltre i confini nazionali, nel rispetto del potenziamento di quello che è stato il grande sogno della costruzione del sistema delle Nazioni Unite. La pace non è l’assenza di guerra – ha aggiunto – ma è una società giusta, che rispetta l’altro, che agisce in modo nonviolento, che applica, per esempio, la nostra Costituzione. La Rete vuole essere quella parte che porta la nostra società e le nostre istituzioni a rispettare la Costituzione e ad essere attori di pace”. Per questo occorre un costante lavoro di mediazione e confronto che in questo periodo si traduce tra l’altro nella formulazione di una serie di proposte legate al PNRR. Tra cui quella di un canale televisivo del servizio pubblico dedicato a diffondere messaggi di pace: “Noi non abbiamo una società che cresce preparata alla pace, perché dove li troviamo dei messaggi di pace e di nonviolenza?”, si è chiesto Bassoli. “Non c’è una cultura di questo tipo diffusa nelle nostre istituzioni e nelle nostre comunità, e questa di Sansepolcro è una bellissima eccezione, perché è una comunità intera che ci accoglie, un messaggio bellissimo che ci riportiamo ciascuno a casa nostra”.

Francesco Vignarca ha ricordato alcuni dati “che servono a trasformare quella che è un’ispirazione, una scintilla, in una scelta di cambio di sistema”. Ha citato quindi le 13.000 testate nucleari tuttora esistenti, spiegando che “vogliamo disarmare non perché siamo buoni, ma perché abbiamo visto che senza disarmo la gente muore e i conflitti degenerano”. Per agire in questo senso servono “competenza e studio”, che si traducono in un’attenta analisi degli scenari. Un esempio legato all’attualità: “Sembra che l’Afghanistan fino al 14 agosto fosse la Svizzera e il 15 fosse diventato il Paese peggiore del mondo – ha spiegato – invece negli ultimi tre anni è stato all’ultimo posto del Global Peace Index, gli ultimi tre anni sono stati quelli col maggior numero di vittime civili e in particolare nei bombardamenti della coalizione ci sono stati oltre 3.000 morti all’anno, di cui il 40% sotto i 14 anni. Se non riusciamo a cogliere le vere dinamiche non possiamo capire la situazione, e così sembra che i Talebani siano arrivati di colpo, quando già nel 2017 avevano più territorio che nel 2003 quando siamo andati a portare la democrazia. Le guerre infinite dal 2001 in poi – ha aggiunto Vignarca – hanno portato a un aumento della spesa militare mondiale del 90%. Evidentemente c’è qualcuno che vuole il conflitto, ad esempio le grandi aziende di produzione militare, che nei 20 anni di guerre cosiddette contro il terrorismo hanno visto crescere il loro ritorno azionario dell’872% e il loro fatturato del 30-35%”.

Spazio quindi alle testimonianze dei redattori di Blob. Tra loro Vittorio Manigrasso, che ha descritto il processo di “tenere insieme e far interagire gli estremi, gli opposti, mantenendoli vivi entrambi e mostrando il conflitto, sempre cercando di non scadere nella retorica e nel moralismo. Mostrare il conflitto – ha detto – è un’operazione pacifica, disarmata e paradossale. Credo che la chiave essenziale – ha aggiunto – sia proprio quella di fare quasi un passo indietro, lasciando allo spettatore l’impegno e la responsabilità, semmai, di prendere posizione”. I commenti degli autori si sono alternati ad alcune significative clip di grande impatto emotivo, come quella che affiancava scene con protagonisti i naufraghi dell’Isola dei Famosi e immagini provenienti da un campo profughi.

Partendo invece da una clip sulla prima guerra del Golfo l’occasione di riflettere su modalità diverse di raccontare i conflitti: “Abbiamo sempre cercato di mostrare – ha detto Cristiana Turchetti – che la guerra non è una cosa pulita, spettacolare, che non è un film, ma è sangue, morti innocenti, case distrutte, vite distrutte. Ci siamo resi conto che la cronaca che veniva fatta nei canali istituzionali anche da giornalisti bravissimi e coraggiosi non corrispondeva a quello che vedevamo per esempio in diretta sui canali arabi. C’è stata una sorta non dico di censura, ma forse di protezione nei confronti del telespettatore, perché si temeva che alle 8 di sera potesse dare fastidio entrare nelle case delle persone con tanta violenza. Invece noi lo abbiamo fatto e siamo contenti di averlo fatto. Dobbiamo tantissimo ad Enrico – ha sottolineato con riferimento a Ghezzi – perché si è assunto la responsabilità grande di mandare alle 8 di sera quelle immagini”.

Sul palco del Teatro Dante è salito inoltre l’artista biturgense Marco Graziotti, che ha donato agli autori di Blob un proprio dipinto raffigurante una giraffa, simbolo dell’Associazione Cultura della Pace, in Piazza Torre di Berta. Sono poi intervenuti per una saluto anche due dei membri del comitato scientifico della stessa associazione, Luigina Di Liegro e Mao Valpiana, quest’ultimo presidente del Movimento Nonviolento. L’occasione odierna ha insomma riunito a in Valtiberina moltissime esperienze e realtà di primo piano, tanto da spingere Leonardo Magnani a sottolineare in conclusione che “Sansepolcro è oggi centro nevralgico della discussione sulla cultura della pace e della nonviolenza in Italia. Credo che sia compito delle istituzioni preservare il lavoro che altri hanno fatto”.

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