Ruby Mearini: corsa, grinta e quel sogno realizzato

In carriera ha ricoperto più ruoli, giocando terzino, centrocampista e difensore centrale, e ha messo il cuore in ogni avventura. Foiano, Sangiovannese, Arezzo, Sansepolcro e Baldaccio le squadre con cui ha vissuto i momenti più belli in un calcio fatto di determinazione e di sogni

Ruby Mearini in acrobazia con la maglia della Sangiovannese

Una storia calcistica vissuta sempre al massimo, fatta di passione, determinazione e voglia di vincere che gli ha permesso di lasciare il segno in ogni squadra in cui ha militato. Ruby Mearini era uno di quei giocatori su cui potevi contare, duttile e di sicuro rendimento, in difesa o a centrocampo, capace di dare il suo apporto in campo e nello spogliatoio. Nato e cresciuto ad Arezzo, ha coronato il sogno di vestire la maglia amaranto e ha vissuto il giorno più bello della sua carriera nel 1998 a Pistoia nella finale play off di C2 vinta contro lo Spezia. Un pomeriggio indimenticabile per la città, per la società e per chi come lui da piccolo andava ogni domenica allo stadio. Ruby è stato uno dei giocatori simbolo di quel gruppo così come lo è stato negli anni di Foiano, Bibbienese, Sangiovannese, Sansepolcro, Poggibonsi, Baldaccio Bruni Anghiari e Sulpizia. Non si è mai risparmiato, ha respirato ogni istante di questa avventura e si è tolto tante belle soddisfazioni. Oggi su TeverePost ripercorreremo con lui questo intenso percorso.

Quando hai iniziato a giocare a calcio?

Ho cominciato da ragazzino nel vivaio del San Domenico, poi nel 1981-1982 l’Arezzo fu promosso in Serie B e, dopo l’affiliazione tra i due settori giovanili, passai in amaranto. Per me, aretino a tutti gli effetti, fu una prima grande soddisfazione. Con la maglia dell’Arezzo completai la trafila del settore giovanile e tra i vari allenatori ricordo in particolare Micelli, Taluso e Duranti. Il mio ruolo era quello di terzino sinistro e Micelli ad esempio mi diceva sempre “non devi superare mai la metà campo”. Tanti i momenti belli di quegli anni: i gol segnati quando militavo negli allievi nazionali o le partitelle del giovedì contro la prima squadra allenata dal grande Angelillo. In porta con noi giovani c’era sempre Pellicanò. Nei primi minuti gli davamo spesso filo da torcere, ma i valori poi venivano fuori. Io davo massimo per mettermi in mostra, ci tenevo tantissimo.

Quando hai esordito tra gli adulti?

Nel 1985-1986 con la maglia del Foiano in Prima Categoria, società che voleva risalire dopo qualche annata difficile. Giocai in Coppa con la Monterchiese e in campionato debuttai a Scarperia. Pareggiammo 0-0 e io disputai una buona gara, ma a fine match avevo un mal di piedi incredibile. Il motivo? Il mister voleva che noi difensori giocassimo sempre e comunque con le scarpette a 6, quelle con i tacchetti di ferro. Così feci, solo che il campo era in terra battuta e il fondo duro. Strinsi i denti e nonostante il dolore rimasi in silenzio. A fine campionato arrivammo al 2° posto e ai play off ottenemmo il pass per salire in Promozione. Obiettivo centrato e grande soddisfazione. Anche l’anno dopo, in categoria superiore, prima con Talusi in panchina e poi con un giovane Indiani, giungemmo secondi.

Un buon inizio, direi. Quali le tappe successive del tuo percorso?

L’anno dopo passai alla Bibbienese in Serie D con Castronaro allenatore. La rosa era giovane, ma di livello. Dovetti saltare per una ingiusta squalifica qualche partita, poi rientrai e feci bene. Centrammo la salvezza con un ottimo girone di ritorno, grazie anche all’arrivo di Malotti che portò esperienza in mezzo al campo. L’anno dopo tornai a Foiano in Promozione e chiudemmo al 2° posto dietro al Chianciano. Stagione bella, anche se per me faticosa dato che ero militare ad Albenga. Tornavo giù nel weekend per la partita, con la macchina che la società mi mise a disposizione. Una dimostrazione di fiducia che ripagai dando il massimo, come sempre. Nell’annata seguente giungemmo primi pari merito con la Sangiovannese, ma perdemmo 2-0 lo spareggio giocato allo Stadio di Arezzo. Svanì la possibilità di accedere alla fase nazionale che metteva in palio un posto in Serie D, ma centrammo comunque la promozione nella neonata Eccellenza. I 4 anni a Foiano furono molto belli e in amaranto realizzai anche il 1° gol tra i grandi.

Ce lo racconti?

In un derby con il Monte San Savino. Stoppai il pallone per calciare di sinistro, ma anche a causa del campo bagnato, il controllo non fu come lo immaginavo. Fui quindi costretto a tirare di destro che non era il mio piede naturale e calciai di forza, quasi con rabbia per lo stop sbagliato. La palla si infilò all’incrocio e venne fuori un gran gol.

Finita l’avventura a Foiano cosa accadde?

Andai in Serie D, alla Colligiana con Braglia allenatore, in una squadra costruita per fare bene. Dovetti fare i conti con la pubalgia, ma fu una stagione fondamentale per la mia crescita. Merito del mister e della cura che metteva nella parte tattica. Fino a quel momento avevo giocato sempre da terzino, preoccupandomi solo del mio compito, mentre con lui imparai a ricoprire più ruoli. A fine anno Braglia andò via e la società era in difficoltà, così non rimasi. Un giorno mi chiamò Franco Baldini, che aveva chiuso la sua carriera alla Colligiana proprio in quella stagione e che è poi diventato uno dei dirigenti più importanti nel mondo del calcio, per dirmi che la Sangiovannese mi voleva. Accettai, perché la società era ambiziosa e perché dopo essermi sposato ero venuto ad abitare a Sansepolcro. Fu la scelta giusta e in azzurro giocai 5 anni.

Quali i momenti più belli della tua esperienza valdarnese?

Arrivai in Eccellenza, stagione 1992-1993. All’inizio non riuscivo a rendere secondo le mie possibilità ed ero molto dispiaciuto, poi a gennaio nacque la prima delle mie tre figlie e dentro di me scattò una molla. Feci un ottimo girone di ritorno contribuendo alla vittoria del campionato. In estate arrivò Braglia. Andammo in ritiro e pensavo che il mister non mi facesse giocare perché era stata inserita la regola dei sotto quota e nel mio ruolo era stato acquistato un giovane. Chiesi di essere venduto, ma il presidente mi disse “resti e te la giochi”. Feci bene a rimanere e fu una delle annate più belle della mia carriera. Ci piazzammo al 3° posto e segnai anche un gol. Le tre stagioni successive furono con Sorbi in panchina. Nel primo campionato ci fu il cambio dirigenza e non facemmo benissimo, nel secondo arrivammo al 2° posto dietro l’Arezzo, nell’ultimo arrivammo ad un soffio dal successo, in una stagione molto particolare.

In che senso?

Chiudemmo il girone di andata in testa alla classifica, senza aver mai perso, ma nel ritorno non riuscimmo a mantenere quel ritmo e oggi mi sento di dire che forse ci mancò la necessaria personalità. Il campionato lo vinse il Castel San Pietro, squadra contro cui fui protagonista, nel male e nel bene. A novembre giocai pochi giorni dopo aver perso mio padre e non ero tranquillo, tanto che venni espulso, al ritorno però segnai dopo uno scambio in velocità con Budruni, calciando all’incrocio.

Nel 1997-1998 ci fu il passaggio all’Arezzo. Possiamo definirlo il coronamento di un sogno?

L’Arezzo mi contattò e accettai subito, perché era la squadra della mia città e perché avevo la possibilità di giocare finalmente in Serie C2. Era da poco entrata in vigore la Legge Bosman che consentiva di liberarsi per andare nei professionisti. Avevo 30 anni e la maturità per provarci. Graziani presidente, mister Cosmi, una squadra giovane e forte in cui io e Pilleddu eravamo i “vecchietti” e l’entusiasmo di tutta la città. Un sogno. Facevo ogni allenamento come se fosse la finale di Champions League, tanto era l’impegno che ci mettevo. Una stagione iniziata non bene, ma finita alla grande con la promozione in C1 centrata dopo la memorabile partita di Pistoia.

Ci racconti quella cavalcata?

Nella prima di campionato a Macerata conquistai prima un rigore, che tra l’altro sbagliammo, poi mi feci male al ginocchio cadendo dopo aver saltato di testa a centrocampo. Aspettai a operarmi, ma l’intervento al menisco fu necessario. Devo ringraziare il preparatore Francesco Bulletti, mio ex compagno di squadra a Foiano, perché mi permise di recuperare in soli 40 giorni. Rientrai nel 2° tempo con il Teramo in casa, gara che perdemmo 5-0. Cosmi fu decisivo nel farci superare il periodo più negativo e nel darci fiducia. Era unico sotto l’aspetto caratteriale. Tornai titolare nel girone di ritorno a Imola, partita vinta. Fu la svolta anche nel modulo, con il passaggio al 5-3-2. Arrivammo ai play off e centrammo la finale con lo Spezia. Una gara e un giorno che non dimenticherò mai.

Quali sensazioni e quale il momento più bello di quella giornata?

Sentivo quella partita come non mai e prima di scendere in campo ero davvero molto teso. Il primo pallone che toccai su un rinvio del loro portiere lo calciai al volo spedendolo lontano. Mi dissi “Ruby stai calmo, così non va bene”. Poi mi tranquillizzai e tutto andò per il meglio. Si respirava un’atmosfera unica e i nostri tifosi arrivati in massa da Arezzo ci sostennero per 120 minuti. Uno spettacolo! La partita fu ricca di emozioni con il tacco di Balducci, il loro pareggio e alla fine del 2° tempo supplementare il penalty che ci dette la certezza della promozione. Al fischio finale i tifosi invasero il campo e mi ritrovai in costume, ma presi il bandierone amaranto e mi misi a correre per il campo. Correvo e piangevo, travolto da tante emozioni: per la vittoria e perché pensavo a mio babbo che non c’era più. Lui era stato un grande tifoso, andava sempre allo stadio e portava anche me. Mi aveva trasmesso la passione per l’Arezzo e sarebbe stato orgoglioso, della squadra e soprattutto di me. Fu una grande emozione e anche oggi ripensandoci mi vengono i brividi. Fu il momento più intenso della mia vita sportiva, così come furono belli i festeggiamenti successivi.

Rimanesti anche l’anno dopo, in C1. Altra storia che merita di essere raccontata.

Perdemmo le prime 2 partite con Carpi e Carrarese, così Cosmi tornò alla difesa a cinque. Il 3° match di campionato fu in trasferta con il Cittadella e a fine 1° tempo anche Graziani venne a parlare con la squadra dicendo che dovevamo avere più coraggio e salire in più giocatori sui corner a nostro favore. Sul 2-2 decisi di andare a saltare in area, invece di rimanere ultimo uomo come facevo sempre e segnai di testa, anzi di spalla, il gol vittoria. Esultai come un pazzo schivando i compagni che venivano ad abbracciarmi. Fu il mio primo gol in amaranto e nel pullman, al ritorno, ero ancora euforico. Ebbi anche il privilegio di indossare la fascia da capitano, mi sembra a Saronno. Un altro sogno realizzato.

Finita l’avventura in amaranto passasti al Sansepolcro in Serie D. Un altro importante capitolo della tua carriera immagino.

Arrivai nel 1999 e trascorsi 4 anni in bianconero sotto la guida di Paolo Valori che era stato mio compagno alla Sangiovannese. La squadra era giovane, ma forte, composta da tanti ragazzi del posto che si stavano mettendo in luce. L’annata più bella fu nel 2001-2002, quella del duello contro il Tivoli. Ci giocammo tutto nello scontro diretto del Buitoni, trasmesso in diretta Rai, di fronte a un pubblico super. Io giocai prima in difesa, poi a centrocampo e conquistai il rigore trasformato con lo “scavetto” da Pazzaglia che valse il pari. Sfiorammo anche il vantaggio, ma sul ribaltamento di fronte subimmo la rete del definitivo 3-2. Il sogno svanì e alla fine piansi per la delusione. Tanti i momenti belli vissuti a Sansepolcro con giocatori fortissimi come Consorte, il bomber per eccellenza a mio avviso, ma anche Pazzaglia, Mercuri e tanti altri. Stavamo fisicamente molto bene e questo fu merito del preparatore, il “Cino” Faraglia. Ricordo anche una vittoria per 4-2 a Monterotondo con la mia partecipazione in tutte le nostre reti e il gol siglato con il Todi quando, dopo aver lanciato Pazzaglia in verticale, corsi fino all’area avversaria, segnando di testa.

Ricca di soddisfazioni anche la tua avventura alla Baldaccio. Quali i ricordi più belli di quel quadriennio?

Nel 2003-2004 prima di arrivare in biancoverde giocai in Eccellenza con il Poggibonsi assieme a Consorte e dominammo il campionato vincendolo in netto anticipo. Quell’anno presi anche il patentino di allenatore a Coverciano. Alla Baldaccio giunsi nell’estate 2004 in Promozione e al 3° anno vincemmo il campionato con Bendini in panchina. Avevamo anche prima una rosa forte, ma l’arrivo in attacco di Crispoltoni ci dette la spinta decisiva. Una gioia immensa, ottenuta a 40 anni e da titolare, in una società a cui sono molto legato. Restai anche in Eccellenza, però feci tante panchine. Volevo chiudere la carriera da protagonista e così nel 2008-2009 giocai un ultimo anno con la Sulpizia in Seconda Categoria e arrivammo quinti. Dopo ho anche allenato per qualche anno, ma poi ho detto basta. Forse la panchina non faceva per me.

Come valuti la tua carriera e quali sono state le tue caratteristiche migliori?

Sono felicissimo di quanto ho fatto e ringrazio le società, gli allenatori e i compagni di squadra incontrati in questo percorso. Tutti, indistintamente. Non sono mai retrocesso e sono orgoglioso di questo. All’inizio ho trovato giocatori esperti che mi hanno insegnato tanto e poi giovani che mi hanno ascoltato. Vivevo per la famiglia e dopo anche per il calcio, volevo giocare sempre e odiavo perdere. Le mie qualità? Corsa, grinta, concentrazione, spirito da agonista. Nei 22 anni di carriera ho dato tutto, ci ho messo passione e voglia di vincere, mi sono tolto tante soddisfazioni e ho coronato i miei sogni: giocare nei professionisti e vestire la maglia dell’Arezzo. Direi che non mi posso lamentare!

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