“Citti, so’ del Borgo”. Conferita la cittadinanza onoraria ad Alessandro D’Alatri

Cerimonia ieri sera a Palazzo delle Laudi. Il regista racconta il suo legame con Sansepolcro e promette: “Potrete sempre contare su di me”

L'intervento di Alessandro D'Alatri durante la cerimonia nella sala del Consiglio comunale

È stato accolto in pompa magna da una Sansepolcro vestita a festa, proprio nei giorni delle Feste del Palio, il regista Alessandro D’Alatri, a cui ieri sera è stata conferita la cittadinanza onoraria deliberata nelle scorse settimane con il voto unanime del consiglio comunale. A fare gli onori di casa a Palazzo delle Laudi il sindaco Mauro Cornioli insieme all’assessore alla cultura Gabriele Marconcini, mentre la Società Balestrieri, per mano del presidente Stefano Tarducci, ha omaggiato D’Alatri di una freccia.

Il regista ha ringraziato Sansepolcro definendo la cittadinanza onoraria “il riconoscimento più bello che abbia mai ricevuto, perché non attiene a un film o a una sceneggiatura ma a un fatto di vita, e la vita vince sempre su tutto”. D’Alatri ha raccontato il proprio legame con la città della madre (“mio padre era un pittore, veniva qui a fare dei quadri, un giorno stava in mezzo ai campi, ha visto questa biondina e sono arrivato io”) e ha ricordato i tanti soggiorni dalla famiglia materna: “Venivo qui da bambino, spesso da solo: mia madre mi metteva sul pullman a Piazza Esedra e io a quattro anni, una cosa oggi impensabile, viaggiavo vicino all’autista Peppino che si prendeva cura di me. Poi arrivavo qui e c’era mio zio in motocicletta che mi portava in Gragnano”.

“Ho vissuto e respirato tutto l’affetto di questo territorio pur essendo romano – ha raccontato – Era una Roma diversa da oggi, senza traffico, ma quando venivo qui venivo in un’altra dimensione, completamente differente e di grandissima civiltà. Ho avuto la fortuna di avere, oltre a una famiglia meravigliosa, anche il patrimonio più ricco che si può dare a un bambino, che è quello di vedere l’ultimo sprazzo della civiltà contadina. In quel periodo ho assorbito il rispetto per le cose, le persone, gli animali, l’onestà del lavoro, la fatica, il non lamentarsi mai ed essere sempre soddisfatti di quello che si sta facendo”.

“Questo luogo è stato per me un luogo d’amore – ha detto ancora il regista – dove si amava il territorio, il cibo, la cultura: ero figlio di una famiglia di contadini e venivo portato a vedere Piero della Francesca, me ne parlavano in un casale colonico di mezzadri. E poi c’erano i balestrieri, che erano il mio mito”. Da Sansepolcro, ha spiegato D’Alatri, sono arrivati racconti “che erano la storia di questo Paese: mia nonna Italia e la sua gemella Libera, figlie di patrioti del Risorgimento, i nastri con la voce di mio nonno che racconta la vita di trincea della prima guerra mondiale, mia madre e mia zia salvate da mia nonna durante la seconda”. Nelle parole del regista c’è stato ancora spazio per la pasta spezzata e i biscotti Nipiol, le merende nel bosco, i bagni all’Afra, la ciaccia fritta. E per “l’insegnamento più importante: quello di un’etica morale, perché ho visto un luogo di lavoratori onesti, di grandi lavoratori. Questo me l’hanno passato, sono diventato un lavoratore maniacale, e nel mio lavoro, anche quando non parlo della Valtiberina, c’è sempre il rispetto per le vite degli altri, che è la cosa più bella che si possa apprendere”.

“Questo momento ufficiale è stata una prima occasione d’incontro, ma contate sempre su di me, non fatevi scrupolo per qualsiasi collaborazione, partecipazione o contributo”, ha detto infine il regista, prima di accantonare l’accento capitolino per concludere con un emblematico: “Citti, so’ del Borgo!”

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