Giancarlo Montuschi: una vita sognando l’America… e non solo

Intervista al pittore che, partito dalla Pop Art, ha saputo costruirsi uno stile personale che lo ha reso famoso a livello internazionale

Giancarlo Montuschi

“Quest’anno compio settant’anni di vita e cinquanta di pittura”, esordisce Giancarlo Montuschi. “Ho frequentato l’istituto d’arte alle medie, poi il liceo artistico di Bologna, dove insegnavano gli stessi professori dell’Accademia di Belle Arti. A diciannove anni ho cominciato a esporre. Poi ho lavorato per una casa editrice, che mi ha permesso di girare un po’ tutta l’Europa, visto che ci occupavamo di opere piuttosto strane. Dopo un paio d’anni ho vinto una cattedra all’allora Istituto d’Arte, oggi Liceo Artistico, di Sansepolcro.

In risposta alla domanda sul perché la sua scelta sia ricaduta proprio sulla Valtiberina, Montuschi risponde immediatamente: “Ero indeciso fra Piemonte e Toscana, ma ho scelto quest’ultima per via del clima. Anche la vicinanza alla mia città natale, Faenza, ha influito. A Sansepolcro ho insegnato per quarantadue anni. È stata un’esperienza stimolante, perché intorno a te ci sono sempre delle novità”.

Osservando le opere di Montuschi, si può notare come si tratti di un artista eclettico, la cui produzione è sempre cambiata nel tempo, anche in maniera repentina. Una però è l’influenza che spicca sopra tutte le altre: “Nei primi anni ho lavorato con gli artisti della Pop Art, che in Italia è durata dal ’58 al ’78. Io ho lavorato nella Pop Art a partire all’incirca dal ’72 e quindi ho avuto grandi maestri. Poi ovviamente mi sono spostato e ho intrapreso vari percorsi e cicli diversi. Alcuni artisti durano per una carriera a fare sempre la stessa cosa; io così non mi diverto. Ogni tematica nasce della mia vita; non faccio altro che raccontare me stesso. A un certo unto ti viene un’altra fissa e cambi”.

Dai più noti volti di Hollywood che fanno capolino nei quadri alle più iconiche marche americane riprodotte su tela, è evidente il grande amore di Montuschi per la cultura statunitense: “Ho sempre amato l’America. Mi sarebbe piaciuto anche trasferirmici, ma mia moglie e mia figlia non erano dello stesso avviso. L’ispirazione può venire da un film, dalla musica o da qualsiasi altra cosa. Le mie ultime opere si rifanno chiaramente ai film di fantascienza anni ’30 e ’40”, afferma Giancarlo parlando del suo ultimo ciclo artistico: “Astropop”.

Incontrandolo nella sua casa immersa nelle campagne anghiaresi, ricolma di opere di grandi pittori amici, si può notare come Montuschi ami quasi più discutere degli autori che ama rispetto al parlare di sé stesso. E in particolare del padre della Pop Art: “Da ragazzo sono riuscito anche a conoscere Andy Warhol, quando in Italia non era ancora molto famoso. Persona squisita; ha anche regalato a tutti una serigrafia che ho ovviamente perduto. Dopo Warhol non è esistita una corrente che possa avere la stessa importanza della Pop Art. Tutte le provocazioni fatte successivamente si rifanno inevitabilmente al suo lavoro”.

Oggi, dopo cinquant’anni di attività, Montuschi è un artista apprezzato a livello internazionale e le sue opere sono state esposte e vendute in tutto il mondo. “Le prime mostre le ho fatte con artisti importanti della mia zona, poi Milano, Londra, New York, Parigi, che per anni è stata la capitale dell’arte europea. I quadri li portavo a Roma e poi partivano per Manhattan, dove venivano venduti. Uno l’ho anche rivisto in un film, ma non ricordo quale. Nel complesso ho realizzato circa quattromila opere, che sto faticosamente cercando di catalogare. Ho lavorato soprattutto con mercanti d’arte, che sono una cosa un po’ diversa dalle gallerie. Sposano una decina di artisti e li portano avanti per tanti anni. Per anni non ho mai dato esclusive mentre ora, avendo una certa età, mi sono dovuto arrendere”.

Nonostante una lunghissima attività alle spalle, l’arte di Montuschi continua a essere ambita dalle mostre e grandi marchi desiderano collaborare con lui: “Al momento ho opere esposte in due fiere, una a Bergamo e una a Milano, e il 9 aprile avrò una mostra personale al Palazzo del Podestà di Montevarchi. Inoltre, dentro la Mole Antonelliana c’è una mostra su Diabolik, a cui ho partecipato con altri quattro artisti. Ho disegnato cento icone del ‘900 che saranno protagoniste di una prossima esposizione. Dovrei fare anche un lavoro per Aston Martin, con dei modellini che saranno chiusi in dei box assieme alle mie opere”.

Parallelamente a queste, Montuschi sta portando avanti anche la realizzazione di una serie di dipinti di grandissimo formato: “Li ho fatti appositamente due metri per due: molto grandi. Difficilmente entrerebbero in una casa. Per questo motivo i mercanti non li amano molto, ed è per questo che mi piace farli. Si tratta anche di un progetto dispendioso in termini di soldi. I miei colori acrilici, a cui mi sono avvicinato perché odiavo l’odore di quelli a olio, li prendo direttamente dagli Stati Uniti, perché trovo ci sia una differenza di qualità abissale. Un barattolo può costare anche centoventi dollari, ma la qualità bisogna pagarla. Quando si guarda un’opera non ci si pensa, ma anche la spesa può essere uno scoglio per un’artista, una volta non mi sarei potuto permettere questi colori. Gli artisti sono persone un po’ strane, ma anche questo è un lavoro. Alla fine, per sfondare nel nostro mondo sono essenziali le tre C: costanza, carattere e culo”.

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