Nilo Venturini: “Seguire tutti gli accorgimenti per non rischiare un nuovo lockdown”

Seconda parte dell'intervista di TeverePost al direttore del presidio ospedaliero: “Riprogrammare le attività in modo completamente differente. Necessario non abbandonare i territori e limitare la circolazione di persone negli ospedali”

Nilo Venturini

Immagine tratta da Facebook

Nella prima parte dell’intervista al dottor Nilo Venturini, pubblicata ieri, abbiamo esaminato le misure messe in campo dall’ospedale e dai servizi territoriali della Valtiberina per fronteggiare l’emergenza. In questa seconda e ultima puntata ci concentriamo invece sulle prospettive future, analizzando i comportamenti individuali, i cambiamenti nell’organizzazione della sanità e le scelte politiche che dovranno tra l’altro prestare attenzione ad evitare il ritorno a un eccessivo afflusso di persone dentro gli ospedali.

Quale scenario si presenterà con la progressiva rimozione delle restrizioni?

Dobbiamo sapere che dovremo convivere per un periodo con il virus. Dobbiamo agire con accortezza, quindi determinate abitudini bisogna modificarle. I grandi assembramenti sono da evitare, la mascherina va tenuta, non tanto per non infettare chi la porta quanto per non infettare gli altri. Se siamo a distanza di due metri non c’è bisogno, ma se siamo in un contesto in cui non si possono mantenere queste distanze, sicuramente va tenuta. Bisogna cercare di utilizzare quanto più possibile lo smart-working. Dovremo cercare anche noi operatori sanitari di lavorare in maniera differente rispetto al passato, avere meno ansia di fare numeri e più ansia di fare qualità. Tutti, dagli operatori sanitari ai singoli cittadini, dovranno rispettare certi comportamenti sia nel lavoro che fuori. Se sarà così, allora molto probabilmente anche se a un certo momento ci sarà un aumento dei numeri – e lo vedremo tra 15-20 giorni – questi saranno sempre compatibili con la possibilità che il sistema sanitario non vada in ingolfamento. E quindi si potrà continuare a curare in maniera adeguata tutti coloro che si dovessero infettare. Certamente non possiamo pensare che con la fine del lockdown finisce il problema del coronavirus. Dobbiamo ripartire con tutte le accortezze e seguire determinati atteggiamenti per far sì che non ce ne sia un altro, di lockdown.

E l’organizzazione della sanità come dovrà adeguarsi a questa situazione?

La ripresa, anche nell’ambito del nostro ospedale, dovrà comportare un’analisi degli spazi, un’analisi dei flussi delle persone che entrano in una determinata struttura per riprogrammare le attività in una misura completamente differente da quella che era. L’appropriatezza delle prestazioni dovrà essere rivalutata. Non è pensabile che 10 giorni fa un pronto soccorso fosse vuoto e ora si debba riempire come una volta di persone in sala d’attesa. Occorre in primo luogo senso civico, perché non si va al pronto soccorso per un mal di denti. Ci dovrà essere un sistema di medicina di base che deve funzionare in maniera differente, le Case della salute dovranno dare le risposte per cui sono nate, e dovremo implementare la telemedicina. Oggi con una app da scaricare l’operatore sanitario può entrare in relazione con il paziente al proprio domicilio e fare una visita tranquillamente. Esempio: un paziente diabetico, dopo una prima visita e una serie di analisi, fa controlli successivi che consistono nel vedere determinate analisi e nel fare un’intervista. Questo può essere fatto con la telemedicina, e il medico può dire perfettamente come modificare la terapia. Non ti sposti da casa, non vai in ospedale, non prendi la macchina, non cerchi parcheggio. La stessa cosa vale per un paziente che è stato operato e deve venire al controllo il terzo o quarto giorno a far vedere la ferita: la posso vedere benissimo da smartphone. Noi dovremo riuscire a prendere da questo periodo delle accelerazioni che altrimenti non avremmo potuto ottenere. In condizioni normali siamo pigri a modificare gli atteggiamenti, ma questa necessità ci permetterà di fare passi avanti dal punto di vista della tecnologia.

A proposito di questo, che tipo di interventi di politica sanitaria dovrebbero essere intrapresi dalla Regione o da altre istituzioni?

Questo è uno sconvolgimento che ha travolto tutto, il mondo del lavoro, l’intimità delle persone e ogni altro aspetto della vita e della società. Nell’ambito sanitario va fatta un’analisi di tante cose. Perché si ingolfano i pronto soccorso? Perché nell’80% dei casi si tratta di prestazioni improprie. Perché ci sono le liste di attesa? Se io adesso chiamo dieci persone per fare un esame, una su dieci mi risponde di sì e nove dicono che vogliono aspettare. Vuol dire che non c’era l’urgenza. Quindi occorre appropriatezza nella diagnostica. Non è pensabile che si possano prescrivere con facilità esami impegnativi e pesanti anche per il paziente stesso se non sono necessari. Bisogna ritornare a una cultura dell’essenziale.
D’altra parte in Toscana e in altre zone se abbiamo tenuto bene è perché abbiamo una rete territoriale che funziona. Di conseguenza, sarebbe bene che i territori non fossero abbandonati. Non si deve ritornare a una situazione sic et simpliciter com’era prima, perché il cigno nero prima o poi ritorna. La questione della limitazione delle persone che circolano dentro un ospedale non è un problema legato al coronavirus, è un problema legato a tutte le infezioni ospedaliere che ammazzano milioni di persone nel mondo ogni anno. Dovute a una promiscuità e a iper-afflussi che sono inaccettabili dentro un ospedale. La gente andava a passeggio dentro gli ospedali, intere famiglie, amici, gruppi, a volte dentro una camera non riuscivi a entrare da quanta gente c’era. Prima della penicillina questo era improponibile, ma non è che con l’utilizzo degli antibiotici si deve pensare che un ospedale sia una sala giochi. Bisogna ritornare agli orari, a un modo corretto di approcciarsi nei confronti di una struttura che non può permettere libertà di quel tipo, che portano nocumento agli altri.
Insomma è necessario ripensare una politica dei territori e una politica degli ospedali. Guardiamo la nostra montagna, che è stata colpita maggiormente dal coronavirus. Se lì non avessero avuto punti di riferimento sul territorio per seguire i pazienti a domicilio cosa sarebbe successo? Sarebbero stati tutti caricati nell’ambulanza e scaricati a frotte al San Donato o in un altro centro hub di riferimento. In quel modo ingolfi qualsiasi sistema. Il territorio deve essere gestito con organizzazione e armonia, questo è il ripensamento che la pandemia deve far fare da un punto di vista di politica sanitaria e non.

Leggi la prima parte dell’intervista:
Nilo Venturini: “Così evitiamo che il virus penetri nell’ospedale”.

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