Il decennio da incubo della diga di Montedoglio

Il crollo del 29 dicembre del 2010 ha sancito l’inizio di una lunga odissea fatta di sequestri, indagini e processi. La storia dell’invaso dalla costruzione alle ultime vicende di cronaca

La diga di Montedoglio nel maggio 2020 (foto gentilmente concessa da Ente Acque Umbre Toscane)

Un decennio di timori, burocrazie e problemi ancora non completamente risolti. La diga di Montedoglio celebra oggi un anniversario tutt’altro che felice. Sono infatti trascorsi dieci anni esatti da quel surreale 29 dicembre del 2010, quando la notizia del collasso dello scarico di superficie dell’invaso lasciò col fiato sospeso l’intera comunità.

Furono ore di grande paura a causa di un incidente eclatante che colse un po’ tutti di sorpresa. Rivedendo le immagini e i reportage di quella notte è facile intuire quale fosse lo stato d’animo della popolazione altotiberina di fronte ad una potenziale catastrofe per il nostro territorio. Catastrofe che fortunatamente si è concretizzata soltanto in parte – le esondazioni del Tevere pur causando ingenti danni e disagi non provocarono vittime – ma che tuttavia ha fatto da apripista ad una fase complessa (e tuttora in corso) per quelle che sono state le operazioni di ripristino e gestione della struttura.

Da questo episodio si è infatti originata una tortuosa vicenda giudiziaria fatta di sequestri, indagini e processi, alla quale va ad aggiungersi l’altrettanto un articolato iter burocratico terminato solamente nell’ottobre del 2019 con l’avvio delle opere per il ripristino della struttura danneggiata. L’emergenza Covid e il sequestro del cantiere dello scorso maggio da parte della Procura aretina sono stati la ciliegina sulla torta di un decennio davvero da dimenticare per la diga, luogo dalle enormi potenzialità non solo per l’approvvigionamento idrico ma anche per il turismo e le attività outdoor.

In occasione di questa amara ricorrenza, vogliamo ripercorrere le fasi salienti della storia di questa struttura, una delle più grandi d’Europa del suo genere: dalla realizzazione all’imminente (si spera) ripristino della piena funzionalità. Per farlo, ci siamo avvalsi del materiale storico e tecnico disponibile sul sito ufficiale www.digadimontedoglio.it e di una serie di immagini di repertorio gentilmente concesse dall’Ente Acque Umbre Toscane.

Perché è stata costruita la diga

L’idea di realizzare l’invaso prende vita negli anni sessanta a seguito di una serie di studi condotti da un team di esperti dell’Ente Autonomo per la Bonifica, l’Irrigazione e la Valorizzazione Fondiaria nelle provincie di Arezzo, Perugia, Siena e Terni. Nel 1991 l’ente si trasforma in “Ente Irriguo Umbro-Toscano” prima di assumere nel 2011 la denominazione attuale di “Ente Acque Umbre Toscane (EAUT)”. La realizzazione del lago artificiale di Montedoglio rientrava dal “Piano Irriguo per l’Italia Centrale”, il cui obiettivo era quello di supportare l’agricoltura garantendo l’approvvigionamento idrico alle campagne coltivate, anche e soprattutto durante i periodi di siccità.

Progettato dal professor Filippo Arredi e dall’ingegner Ugo Ravaglioli nel 1971, l’invaso ha una capacità di 150 milioni di metri cubi di cui 100 utilizzabili per programmi di restituzione al fiume. Una galleria di valico entro i monti della Libbia, con sbocco in località Chiaveretto, del diametro interno di 3,60 metri, è destinata a convogliare nei mesi estivi una portata continua di 14,2 mc/sec.

Le fasi di realizzazione

La costruzione dell’invaso è iniziata nel 1978 ed è stata completata nel 1993. La struttura si sviluppa dalla stretta della collina di Montedoglio per una lunghezza di 7,5 km estendendosi alle valli del fiume Singerna da una parte e del torrente Tignana dall’altra, coprendo una superficie di oltre 800 ettari.

Oltre alla diga principale, situata nel territorio comunale di Anghiari, è stato necessario costruire uno sbarramento secondario in località San Pietro in Villa, nel comune di Sansepolcro, posto pressoché di fronte a quello principale e a ridosso della strada statale che porta a Pieve Santo Stefano ad una quota inferiore rispetto al livello di massimo invaso.

A supporto di queste strutture, sono presenti anche una serie di opere ‘minori’ per l’accumulo e il trasporto delle acque tra cui dighe, tubazioni, gallerie, canali e laghetti. In particolare, sono stati costruiti piccoli bacini, dalle quali i singoli fondi agricoli attingono direttamente per le loro coltivazioni.

29 dicembre 2010: la notte del crollo

Alle 21:30 circa il cedimento di due conci dello scarico di superficie della diga causò un’ingente fuoriuscita di acqua dall’invaso che si è riversata sul fiume Tevere comportando numerose esondazioni ed inevitabili allagamenti.

“La segnalazione di problemi agli sfioratori della diga di Montedoglio è arrivata al Centro Situazioni della Provincia alle ore 21.45. Immediatamente si è attivata la protezione civile. Alle ore 21.51 l’Ente Irriguo Umbro Toscano ha comunicato che la portata in uscita dalla diga risultava di 600-700 mc/sec. È stata attivata Sala Operativa in Prefettura, mentre Vigili del Fuoco di Arezzo e forze dell’ordine si sono recate nelle zone interessate. Il primo provvedimento ha riguardato la chiusura del ponte sul fiume Tevere, lungo la Due Mari. Successivamente, su disposizione della Sala Operativa, i sindaci di Anghiari e Sansepolcro hanno disposto l’evacuazione preventiva della popolazione presente nelle zone a rischio idraulico, per un totale di circa 450 persone, di cui 150 nel comune di Anghiari – nelle frazioni di Motina e Viaio – e 300 nel comune di Sansepolcro. Nel corso della notte si è registrato l’allagamento dell’area a sud di Gricignano, dell’area di Trebbio e di Vannocchia.”

da un comunicato stampa della Prefettura di Arezzo del 30/12/2010

Il crollo di parte del muro laterale della diga di Montedoglio avvenne mentre i tecnici dell’Ente Irriguo Umbro-Toscano (Eiut) stavano ultimando un collaudo per portare l’acqua al massimo livello dell’invaso, pari a 150 milioni di metri cubi. Vi fu un cedimento della parete di 20 metri circa. “In pratica hanno ceduto due blocchi di cemento armato, realizzati intorno alla fine degli anni Settata – spiegò tempo addietro l’ex direttore dell’Ente Diego Zurli – Si tratta di “elementi laterali”, più in basso rispetto al livello massimo del bacino e separati dal ‘muro’ dell’invaso: lo scarico di superficie, infatti, data la struttura a ‘materiali sciolti’ è indipendente dalla diga, che non ha riportato danni, costituita da un nucleo centrale in terra.”

La frattura nello sfioratore della diga, da cui uscivano circa 250 metri cubi di acqua al secondo, portò all’esondazione del Tevere in più punti. Tutti i ponti lungo il fiume da Sansepolcro a Città di Castello furono chiusi per precauzione. In quei giorni furono riversati a valle circa 55 milioni di metri cubi d’acqua.

2 / 8

Dal 2011 ad oggi, in sintesi

Nelle giorni successivi al crollo, la Procura di Arezzo aprì un fascicolo per fare chiarezza sulla vicenda nel quale furono inseriti tutti i documenti relativi alla progettazione della diga. L’accusa formulata fu quella di disastro ambientale aggravato.

Il processo ha avuto il via nel 2017: a presentarsi sul banco degli imputati furono Diego Zurli, ex direttore dell’Ente Irriguo Umbro Toscano e Stefano Cola, ingegnere che lavorava all’epoca dei fatti per il medesimo ente. Secondo l’accusa, i due furono responsabili di aver scarsamente vigilato sull’infrastruttura sottovalutando la crepa che si aprì in uno dei conci a partire dal 2006. Nel 2018 arrivò l’assoluzione per entrambi gli imputati, per i quali il pm aveva chiesto pene rispettivamente di 16 e 8 mesi.

Nello stesso anno l’allora ministro Riccardo Nencini annunciò lo stanziamento di oltre un miliardo di euro per una serie di interventi su alcune infrastrutture locali, tra cui la diga di Montedoglio. Sempre nel 2018, a dicembre, la diga venne ufficialmente dissequestrata.

Il primo step della ricostruzione ebbe luogo nel marzo del 2019 con la pubblicazione di un bando regionale da 6 milioni e mezzo di euro per il rifacimento dei conci crollati: obiettivo principale, riportare la capacità di invaso utile a 135 milioni di metri cubi. Sei mesi dopo, il 3 settembre, arrivò l’assegnazione dei lavori a una ditta di Terni: il 23 ottobre, alla Motina, si tenne la cerimonia di consegna del cantiere. I lavori di ripristino sono ancora in corso d’opera anche a causa di sopracitati imprevisti quali l’emergenza Covid e il sequestro del cantiere del maggio scorso.

Exit mobile version