“La parte più produttiva della Valtiberina ancora priva dell’acqua di Montedoglio”

TeverePost ha parlato con Carlo Masala dei problemi dell'agricoltura, dovuti in primo luogo all’assenza della politica e alla distanza fra centri decisionali e territorio

Carlo Masala

Carlo Masala

Per fare il punto sulla situazione dell’agricoltura in Valtiberina abbiamo incontrato Carlo Masala, imprenditore specializzato nella coltivazione del tabacco con un passato nella politica della città di Sansepolcro. Nella conversazione con TeverePost ha affrontato i principali problemi del settore e ha indicato alcuni dei possibili obiettivi su cui convogliare l’interesse dei centri decisionali. In primo luogo, Masala ha messo in evidenza quella che appare la sofferenza maggiore di una grossa fetta delle aziende agricole valtiberine, cioè il fatto che l’acqua dell’invaso di Montedoglio non raggiunge tutto quel territorio che si trova a sud della via Senese Aretina fino al confine con l’Umbria: “La Valtiberina ha messo a disposizione tanto terreno per la diga e non ha ricevuto in cambio quello che sarebbe stato normale ricevere, cioè l’irrigazione della parte più produttiva dell’intera vallata, dove si produce l’80% del tabacco e una grande quantità di grano. A volte i politici si sorprendono quando gli viene fatto notare che ancora una gran parte della Valtiberina non riceve l’acqua di Montedoglio, che intanto viene mandata in Valdichiana. Quindi più che altro è mancato, come manca ancora, che qualcuno si interessasse concretamente al problema”.

L’irrigazione del territorio con un’acqua pulita come quella di Montedoglio sarebbe uno dei presupposti utili per andare verso una riconversione delle colture che oggi appare necessaria: “Tra le campagne contro il fumo e il fatto che nella sigaretta elettronica si impiega meno del 30% del prodotto che andava nelle sigarette normali, in Italia siamo arrivati a dimezzare le 450.000 tonnellate di tabacco che venivano prodotte dieci anni fa”, spiega Masala, “quindi si tratta di una pianta che non può continuare ad essere redditizia come è stata per due secoli. Le colture vincenti per il futuro saranno quelle ortive, riguardo alle quali noi abbiamo sia il vantaggio di trovarci in una zona non inquinata, sia quello di essere molto vicini ai principali mercati ortofrutticoli, come Cesena, Bologna, Firenze. Invece il mercato è riempito da prodotti che vengono da terreni inquinati, che ormai ripetono da tanti anni le stesse colture e non hanno la valenza che potrebbero avere i nostri terreni, dove si potrebbe facilmente garantire alternanza e rotazione tra l’ortivo e le colture tradizionali a tabacco e cereali, che potrebbero essere in parte mantenute”. Insomma nel nostro territorio ci sarebbero tutti i presupposti per fare un’agricoltura di qualità, in grado di tenere conto anche dell’impatto ambientale: “Per cinque anni”, puntualizza l’imprenditore, “abbiamo avuto degli incentivi per favorire il cosiddetto agroambiente, una misura della Comunità europea che imponeva una serie di azioni: la rotazione dei terreni, la diminuzione di azoto e fosforo, l’azzeramento degli anticrittogamici, il risparmio di acqua tramite gli impianti a goccia. Questo è andato avanti fino al 2018, poi è finito e in Regione nessuno l’ha riproposto, fermando un lavoro che poteva essere il passaggio naturale verso un’agricoltura biologica”.

Il viale della fattoria di Gricignano

Si entra così nel tema chiave dell’assenza di un’azione di coordinamento e di indirizzo, che oggi è difficile individuare anche per l’eccessiva lontananza tra il centro decisionale, che è la Regione, e la singola azienda. Manca infatti dal lato istituzionale un ruolo attivo della politica locale, a maggior ragione dopo la soppressione della Comunità montana, che in passato gestiva la delega all’agricoltura su una dimensione territoriale ottimale. E sull’altro fronte non ci sono realtà in grado di aggregare i coltivatori: “Le associazioni di categoria aiutano nella gestione della parte burocratica, che oggi è diventata molto importante anche per le aziende agricole, ma manca il momento progettuale. È vero che il mondo agricolo è un mondo difficile”, ammette Masala, “perché ha provato per due o tre volte a fare delle cooperative e sono andate tutte a finire male, però è necessario unirsi per fare fronte a carenze che qui sul territorio sono anche strutturali. A partire da un mercato coperto dove la gente possa andare a vendere i propri prodotti, anziché farlo in quel piccolo spazio all’aperto il giovedì mattina. Si è parlato del Foro Boario, dell’ex Magazzino dei Tabacchi, ma non se ne è fatto niente”, spiega Masala, che poi aggiunge che “ci vorrebbe una piattaforma, come l’ex Molino Sociale, con figure qualificate in grado di commercializzare i prodotti che i coltivatori vi farebbero confluire. Un consorzio che, con il dovuto supporto, le nuove generazioni potrebbero mettere in piedi superando le brutte esperienze del passato e un certo individualismo che ha frenato il settore”. Ma anche per andare in questa direzione serve una regia di carattere politico-istituzionale: vediamo se in vista delle imminenti elezioni regionali il tema sarà all’ordine del giorno della campagna elettorale delle varie forze in competizione.

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