La strage del Venerdì Santo del 1944

Nel libro "Vittime e carnefici" i tragici episodi in Valmarecchia fulcro della violenza nazifascista tra Toscana, Marche ed Emilia Romagna

Lo Sturm Bataillon OB SW in una pausa del rastrellamento a Zonca di Casteldelci

Storia e attualità sono emersi, come non sempre accade, nella presentazione del volume Vittime e colpevoli. Le stragi del 1944 a Fragheto e in Valmarecchia, a cura di Antonio Mazzoni (Viella, Roma). Ciò è avvenuto a Fragheto – il “Borgo della Pace” – nel comune di Casteldelci, il 9 aprile scorso. A presentare il volume, che si avvale anche di una premessa di Patrizia Di Luca, direttrice dell’Istituto per la storia della Resistenza e dell’Italia contemporanea della Provincia di Rimini, davanti ad una platea di storici e di cittadini ancora attoniti, Miro Gori, presidente provinciale Anpi di Forlì-Cesena, e Andrea Speranzoni, avvocato di parte civile al processo di Verona, il traguardo raggiunto finalmente per condannare gli artefici dei plurimi eccidi. Presenti gli autori: il curatore A. Mazzoni, gli storici e ricercatori M. Renzi, E. Cantoni, E. Gardini, L. Valenti, A. Cominini, D. Susini. Non era casuale neanche una grande bandiera, con la scritta “Pace”, collocata tra i vecchi edifici testimoni dell’eccidio del Venerdì Santo del 1944, con ancora l’impronta dei proiettili.

Gli autori in occasione della presentazione

Quel venerdì santo di 78 anni fa fu il fulcro della violenza delle stragi nazifasciste perpetrate tra Toscana, Marche ed Emilia Romagna. A ridosso della Linea gotica, i tedeschi avevano costruito bunker, trincee, fortini con nidi di mitragliatrici, sbarramenti. Ma le condizioni tedesche, nel frattempo, si erano fatte critiche, perché tallonati dagli Alleati e dai partigiani. Calanco, Capanne, Fragheto, Ponte degli Otto Martiri sono località dove più che la guerra sono le crudeltà dei soldati e dei comandanti a rastrellare, fucilare, dilaniare donne, uomini, anziani, bambini.

“Poco distante da Fragheto – riassumono i relatori – ci fu una battaglia tra gruppi partigiani provenienti dalla Romagna e la Wehrmacht, con un numero consistente di caduti di parte tedesca. La reazione, seguendo le strategie prestabilite, si scatenò nei confronti della popolazione inerme di questa piccola borgata, vicina al luogo dello scontro: 30 vittime. In gran parte donne, bambini, anziani – dentro le loro case, davanti ad esse – che non c’entravano nulla con la guerra”. Al Ponte degli Otto Martiri l’ultima tragedia: otto giovani fucilati dal Battaglione Venezia Giulia, tutti militari provenienti da quella parte d’Italia. Fu catturato anche un giovane studente sull’uscio di casa e l’aretino Fedinando Tacconi”. L’aggressione nei confronti dei civili fu una scelta drammatica, assurdamente attuale – perché ci ricorda le tragedie quotidiane dell’Ucraina – per incutere terrore e per far ricadere sui patrioti la colpa”.

Disegno che ricorda la strage di Fragheto

Queste stragi sono rimaste nell’ombra fino al 2004, quando il giovane ricercatore Marco Renzi, affiliato all’allora Istituto interregionale della Civiltà Appenninica, con sede in Sestino, scoprì nell’“armadio della vergogna”, a Roma, filze di documenti intonsi. La scoperta dette ali a nuove ricerche in Italia e all’estero e uscì un primo volume, L’Appennino del ’44. Eccidi e protagonisti sulla linea gotica, a cura di Ivan Tognarini (Le Balze, 2005).

Tutto ciò portò a una serie di straordinarie attività e soprattutto all’apertura di un processo per stragi da parte del tribunale militare di Verona, con il quale collaborarono, l’avv. Lorenzo Valenti, di Pennabilli; Marco Renzi, come consulente tecnico d’Ufficio presso la Procura Militare di detta città; e Andrea Speranzoni, avvocato di parte civile presso la stessa Procura.

“Siamo a parlare del processo di Verona – è stato ancora il commento di Speranzoni – grazie a studi e alla scoperta di tanti nuovi documenti anche in Germania, ma inquieta che ciò si debba celebrare, come per il caso di Fragheto, così tanti anni dopo la loro realizzazione. Ma ci può consolare – ha ribadito – che sono stati individuati i responsabili e portati in tribunale i 17 militari trovati ancora attivi, anche se poi il tempo dei dibattimenti ha chiuso le loro vite e la possibilità che scontassero le pene. Per la prima volta in Italia veniva citata in giudizio una Nazione: la Germania. Uno Stato i cui militari uccidono è responsabile. Dopo Verona ora è possibile – ha chiuso l’avv. Speranzoni – citare lo Stato dei macellatori. È una tutela di grande modernità: anche questo è il senso di questa odierna celebrazione a Fragheto. Proiettiamo nel presente le sofferenze di quel mondo contadino così complesso e così umano, per non dimenticare lo sguardo del simili”.

Lo Sturm Bataillon OB SW in rassegna

Questo pullulare di ricerche, per alcuni filoni ancora in corso, grazie a nuovi documenti emersi in Germania, ha destato negli anni vari interessi. Ne sono state partecipi, ad esempio, le scuole di Fragheto e di Badia Tedalda, in tempi diversi ma con stimolanti profili pedagogici. Più volumi di M. Renzi hanno “fruttato” l’interesse di scrittori di letteratura, che hanno prodotto romanzi storici innervati sulle terre e l’umanità di quei tragici fatti: l’italo-tedesca Silvia Di Natale pubblicò L’ombra del cerro, Giuliano Pasini Venti corpi nella neve, testi premiati in concorsi a livello nazionale.

Papa Francesco ha chiesto “una Pasqua di pace”. L’umanità non demorde: siamo nei giorni di Pasqua e dobbiamo leggere e riflettere e ricordare che la strage di Fragheto fu perpetrata il giorno del venerdì santo del 1944. “Il libro di Fragheto – che poi riguarda direttamente anche Badia Tedalda – ci pone il problema di proporci altre domande, riflettere su un passato che non passa mai, come dimostrano anche gli eccidi contemporanei in Ucraina”, è stata l’amara riflessione dell’incontro.

La copertina del libro
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