Lorenzo Fuligni presenta il suo noir d’esordio “Il manicomio degli angeli”

Il romanzo, disponibile in libreria e nelle piattaforme digitali, si ispira a fatti realmente accaduti con un avvincente intreccio di storie tra Torino e Sansepolcro

Lorenzo Fuligni

Nato a Torino nel 1970, Lorenzo Fuligni vive ad Anghiari insieme alla moglie Paola e al figlio Jacopo. Attualmente lavora come funzionario commerciale presso una nota azienda della Valtiberina, e in questi anni, parallelamente alla carriera professionale, ha coltivato la passione per i libri e la scrittura. La sua prima fatica letteraria è il romanzo intitolato “Il manicomio degli angeli”, edito da LuoghInteriori, col quale ha partecipato all’edizione 2020 del Premio Letterario Città di Castello classificandosi al terzo posto nella categoria Narrativa. L’autore ce l’ha presentato nel corso di una piacevole conversazione.

Come è entrato in contatto con la casa editrice?

Il libro è edito da LuoghInteriori, una realtà locale ma molto dinamica, collegata al Premio Letterario di Città di Castello, giunto quest’anno alla 15esima edizione. LuoghInteriori crede molto negli scrittori emergenti, in linea con la mission del premio, che oltre alla narrativa inedita, tratta anche saggistica e poesia. Dopo il positivo risultato ottenuto, mi hanno offerto la possibilità di stampare il mio romanzo. Il volume è già in distribuzione e si può trovare in qualsiasi libreria, ma è anche possibile ordinarlo su Amazon, Ibs, Mondadoristore ed altre piattaforme digitali.

In quale genere ci muoviamo?

“Il manicomio degli angeli” è un noir con una forte componente onirica ed introspettiva. La trama si sviluppa su tre distinti filoni temporali che accompagneranno i lettori fino ad una conclusione che credo li sorprenderà. È una storia romanzata, ma ispirata a fatti realmente accaduti, una vicenda in particolare, quella di un manicomio per bambini di nome Villa Azzurra, chiuso grazie al clamore mediatico sollevato da uno scoop uscito su L’Espresso nel luglio del 1970. Una volta entrato all’interno della struttura, situata a Collegno alle porte di Torino, il reporter de L’Espresso documentò questa realtà descrivendola come un vero e proprio lager, dove i bambini venivano sottoposti a trattamenti disumani.

Come si inserisce la tua storia in questo contesto?

Sulla base di questa vicenda, che al tempo fece scalpore, ho costruito un possibile risvolto che vede un uomo trasferito per caso (?), proprio dentro questo manicomio. Angelo Ferri, questo è il suo nome, è il primo adulto a guardare dentro l’inferno. Angelo ha da tempo rinunciato a vivere, la sua esistenza è trascorsa ai margini della società, segnata dalla malattia e dalla solitudine, ma dopo quanto ha visto non potrà più girarsi da un’altra parte. Questo romanzo, che ci tengo a precisare è un noir ma senza degenerazioni splatter, si concentra soprattutto sul percorso dei personaggi e sulle loro personalità.

Una trama particolare dove non mancano i riferimenti al territorio valtiberino…

Ho scelto di ambientarlo fra Torino e la nostra Sansepolcro, dove vive uno dei personaggi principali, un insolito custode di cimitero e “lettore di anime”, che con un’empatia tutta sua riesce a cogliere particolari determinanti nelle storie di persone tragicamente scomparse. C’è poi il figlio di Angelo Ferri che gli chiede di indagare sulla morte del padre, indagine che lo porterà fino a Torino, una città immersa nella nebbia, sfondo perfetto per un viaggio allucinato e tormentato. Un bell’intreccio di vicende che fino alla fine non permette di capire realmente come la storia andrà a concludersi. Ogni capitolo, poi, è una storia che ha un suo sviluppo.

In che senso?

Ai capitoli del romanzo ho voluto dare un titolo, perché se letti anche separatamente, godono di una propria autosufficienza narrativa. C’è anche un inatteso grado di poeticità e una serie di momenti onirici, tutti caratterizzati dall’uso del corsivo. Oltre alla componente introspettiva dei singoli personaggi, il romanzo gira intorno al tema della memoria. Il cimitero è il luogo dove i corpi trovano riposo, ma anche e soprattutto la tomba delle esperienze e del vissuto di persone che non ci sono più, il capolinea di innumerevoli storie che vengono interrotte ma che, a voler cercare, lasciano sempre qualcosa in sospeso che possiamo riesumare.

Ha già idee in cantiere per nuove pubblicazioni?

Sto meditando di sviluppare una serie proprio intorno alla figura del giovane custode di cimitero. Credo che la sua capacità di far riemergere storie altrimenti sepolte, veicoli una componente simbolica molto potente. Il romanzo è un tributo alla memoria, in tutte le sue forme. I lasciti di chi ci ha preceduto in questa comune esperienza terrena, possono servirsi di svariati mezzi per giungere fino a noi. Possono essere lettere, oppure cartoline, scritte da un padre a suo figlio. Le stesse epigrafi, che possiamo leggere sulle lapidi dei morti, sono le estreme sintesi di esistenze a noi altrimenti sconosciute. C’è un mondo, oltre quello che quotidianamente pretende la nostra attenzione, abitato da storie sospese che attendono solo l’arrivo di qualcuno che sappia leggerle o raccontarle.

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