Nicola Cestelli: “Non è tardi per puntare sul turismo, Arezzo insegna”

L'imprenditore di Sansepolcro: “Fare rete con le zone limitrofe, con umiltà ma consapevoli che anche gli altri hanno bisogno di noi”

Nicola Cestelli

Per esaminare lo stato dell’arte e le prospettive dell’economia del territorio abbiamo incontrato Nicola Cestelli, imprenditore specializzato nel settore del merchandising turistico e “padre” del famoso cinghiale Bruno di Io vivo in Toscana.

Dal tuo punto di osservazione qual è la situazione dopo oltre un anno di pandemia?

Nella nostra zona la pandemia ha impattato fortemente, e sono veramente poche le aziende che possono averne avuto effetti positivi, se così si può dire, a parte qualcuna alimentare o dei trasporti. Anche nell’edilizia il lavoro c’è stato, elettricisti, idraulici, impiantisti hanno lavorato. La maggior parte delle aziende però sono state toccate in maniera molto pesante, ma per fortuna ho visto che negli spazi di “liberi tutti” sono ripartite abbastanza velocemente: quando ci sono state le riaperture dell’anno scorso a livello manifatturiero hanno ripreso a lavorare subito, e anche adesso, da quando ci sono zone gialle diffuse, tante aziende sono ripartite a pieno ritmo. Questo fa ben sperare.

Cosa dobbiamo attenderci dal prossimo futuro?

Credo che questo sia l’ultimo banco di prova. Siccome con il blocco dei licenziamenti nessuno ha ancora perso il lavoro, se ripartono i consumi ripartono anche le aziende, e di conseguenza nessuno perde lo stipendio e quindi consuma. Ma se questo non avviene, se si arriva a un’altra chiusura o comunque i consumi non ripartono, allora credo che appena ci saranno i licenziamenti i problemi arriveranno. A quel punto è un cane che si morde la coda, perché poi chi perde il lavoro non consuma. Questo insomma è l’ultimo momento utile per poter ripartire veramente.

Cosa dovrebbero fare le istituzioni per favorire la ripartenza?

Si può fare sempre di più, ma io penso che non sia stato fatto poco, nel senso che sono stati presi provvedimenti importanti come aver bloccato tutti i mutui alle aziende o aver dato la cassa integrazione in deroga. È chiaro che se un’azienda è entrata in questo periodo già in difficoltà non ce l’ha fatta di sicuro, ma un’azienda sana grazie agli aiuti che ci sono stati ha potuto superare il momento difficile. Naturalmente indebitandosi, perché tutti ci siamo indebitati, però l’alternativa era chiudere, invece siamo riusciti a stare aperti. Quello che non è stato fatto sono semmai i controlli, e forse proprio per questo abbiamo dovuto richiudere più volte. Al “tutti liberi” non c’è mai stato un controllo nelle attività, nelle aziende, nelle strade: dopo essere stati sei mesi chiusi in casa tutti hanno fatto un po’ quello che volevano, ci siamo lasciati andare ad atteggiamenti che, se evitati, magari ci avrebbero permesso di non richiudere.

Come vedi in particolare il settore turistico?

Il settore turistico ha risentito fortemente come altri settori, ma questo è avvenuto a macchia di leopardo, perché alcune zone hanno sùbito tratto giovamento dalle riaperture, come il mare, che riaprendo d’estate si è riempito immediatamente e ha dato la possibilità agli operatori turistici di lavorare. Lo stesso non è avvenuto in città, perché nessuno d’estate va a farsi un giro a Firenze, a Siena, a Milano o a Venezia, per cui le città, svuotate dallo smart working e prive di turisti stranieri, non sono mai ripartite e tuttora fanno fatica. La montagna non ha fatto la stagione invernale, e dopo che aveva attuato grossi investimenti per poter riaprire è rimasta molto penalizzata. A metà giugno ha riaperto un po’ tutto nelle Dolomiti e nel resto dell’arco alpino, però con grandi difficoltà perché l’italiano predilige il mare e di stranieri ancora ce ne sono pochi.

Nel nostro territorio, atteso tra l’altro da importanti appuntamenti elettorali, su cosa devono puntare le amministrazioni locali?

Per deformazione professionale parlo sempre del mio settore, che è quello che conosco meglio. In ambito turistico non è mai troppo tardi per intraprendere una strada nuova. Ce lo insegna Arezzo, che si è lanciata verso una vocazione turistica nel 2014-2015, quindi con un ritardo di 30-40 anni su tutto il resto della Toscana. Eppure ha avuto grandissimi risultati, e questo mi fa sperare che anche partendo ora potremmo comunque beneficiare di bei riscontri e mi fa dire che il turismo è un settore su cui puntare. Alla luce di quello che è successo nell’ultimo anno e mezzo ancora di più, perché abbiamo visto che il turista cerca il piccolo borgo, il ritorno alla natura, il trekking, tutti gli sport legati all’outdoor, e nella nostra valle con la natura potremmo campare tutti. È importante fare rete con tutti i comuni limitrofi, perché purtroppo sappiamo da decenni che da soli non si va da nessuna parte. Dobbiamo interagire prima di tutto con la provincia di Arezzo e le altre vallate, ma essendo a due chilometri dall’Umbria mi sembrerebbe stupido non andare a interfacciarci anche con Città di Castello, Montone, il lago Trasimeno. L’unione fa la forza, noi abbiamo bisogno di loro e loro hanno bisogno di noi, tutti possono giocare un ruolo importante per arrivare a dei risultati significativi che in Valtiberina, a livello di numeri turistici, non ci sono mai stati.

Perché questa possibilità di fare rete in passato non si è mai concretizzata?

Probabilmente bisognerebbe essere più umili e al tempo stesso avere più fiducia in noi stessi. Avere più fiducia in noi stessi pensando che, come dicevo, anche gli altri hanno bisogno di noi. Ma essere umili nel capire che possiamo anche copiare da chi ha fatto bene fino a oggi, andare a parlarci e vedere se per caduta ci arriva qualche briciola, che è sempre meglio di niente. Ci sono tantissimi piccoli interventi che andrebbero fatti. È inutile pensare a grandi opere irrealizzabili che richiedono 30 anni per farle, che nessuno farà mai e di cui non c’è neanche bisogno. Servono invece piccole cose possibili, come per esempio un percorso lungo il fiume Tevere che ci colleghi a Città di Castello. Sarebbe una piccola grande opera, perché per noi potrebbe anche essere una grande opera, che sarebbe forse possibile cercando sponsor o utilizzando i soldi che sicuramente arriveranno dal Recovery Fund.

Un tema da tempo al centro del dibattito è la riqualificazione dell’area ex Boninsegni, qual è la tua opinione in merito?

Non conosco la questione a livello tecnico e giuridico, sono a conoscenza solo delle chiacchiere di paese, che sono state tante. Non mi sento quindi di dare pareri, ma certo andrebbe visto quello che per legge è possibile fare, dopodiché non si può contrastare con le chiacchiere un Piano strutturale approvato anni fa. Casomai sarebbe da intavolare una trattativa sull’opportunità di fare certe cose o certe altre, però è anche vero che è difficile andare a sindacare su quello che l’imprenditore deve fare, anche perché parte della cordata che ha acquistato l’ex Boninsegni è composta da imprenditori della vicina Umbria che già in passato avevano proposto grossi investimenti nella parte sud di Sansepolcro per un centro turistico-maneggio, ma l’operazione era stata vietata. Se si inizia a dire di no a ogni iniziativa imprenditoriale gli imprenditori scappano. Bisogna poi vigilare che non vengano fatti abusi, grattacieli e quello che non serve, ma questo va fatto a priori quando si intavolano le regole di un Piano strutturale, è inutile farlo dopo quando la gente vuole realizzare quello che può realizzare. Da cittadino auspico a questo punto che almeno in quell’area commerciale ci vadano grossi marchi della grande distribuzione, in modo che facciano concorrenza ai propri pari e non ai piccoli esercenti. Se ci andassero marchi importanti magari graviterebbe anche gente da fuori Sansepolcro che poi potrebbe usufruire dei nostri ristoranti e del centro storico e portare giovamento all’economia locale, oltre che assumere persone. Vorrei insomma sperare che non aprano piccoli negozi che in questo panorama non vivrebbero, ma grossi marchi che non danneggino il piccolo commercio locale.

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