Anni cinquanta, San Marino sull’orlo della guerra civile

In piena Guerra fredda una pagina buia della storia della Repubblica in cui l’Italia ha avuto un ruolo poco edificante

Propaganda elettorale democristiana (informazioni sul copyright dell'immagine a fine articolo)

Nell’estate del 2004 per la prima volta ebbi modo di visitare il Museo della Cosmonautica di Mosca. Assieme ai tanti interessanti reperti in esposizione c’era una mostra temporanea dedicata a come i giornali nel mondo raccontarono le imprese spaziali sovietiche. Il risalto nei media dell’epoca riservato allo Sputnik 1, primo satellite artificiale lanciato dai sovietici il 4 ottobre 1957, fu maggiore dell’attesa impresa di Gagarin del 1961. I giornali americani ed inglesi sembravano seriamente preoccupati dall’evento che metteva i nemici ideologici nella posizione di controllare lo spazio, cosa militarmente inaccettabile. Anche le prime pagine dei giornali italiani dedicarono i titoli d’apertura al “bip bip” proveniente dal cielo, ma accompagnando questa notizia con un altro evento legato alla guerra fredda. La crisi costituzionale nella Repubblica di San Marino stava per far precipitare la piccola repubblica ubicata nel cuore dell’Italia e dell’Europa occidentale in una guerra civile tra comunisti e filo-americani, con l’Italia, arbitro della vicenda, incaricata di fare un lavoro sporco con una regia d’oltre oceano. Sentii il bisogno di capire di più su questo episodio storico per me fino ad allora sconosciuto ed ebbi modo di documentarmi sia con le rassegne stampa del 1957, sia grazie a libri e raccolte fotografiche uscite in occasione dei vari anniversari di questa vicenda poco nota anche agli stessi abitanti della Repubblica di San Marino. Ma come si arrivò ad una situazione di tensioni internazionali che vide il coinvolgimento diretto della diplomazia degli Stati Uniti, una dichiarazione pubblica dell’Unione Sovietica attraverso l’agenzia di Stampa Tass e a un ruolo politico e militare poco edificante per l’Italia? Cercheremo di raccontarlo attenendoci a resoconti scritti all’epoca, interpretazioni successive a anche ai documenti dell’ambasciata americana desecretati a metà degli anni ‘90.

Dopoguerra sammarinese e prime libere elezioni

Come raccontato nell’articolo della scorsa settimana, San Marino uscì dalla sua parentesi di fascismo locale in modo meno cruento rispetto all’Italia ma con difficoltà economiche notevoli. Il bombardamento inglese del 1944 aveva distrutto l’infrastruttura ferroviaria utilissima per portare turisti sul Monte Titano e con le sue forze il piccolo stato doveva ricominciare a vivere attraverso i percorsi democratici che caratterizzavano l’Europa del dopoguerra. Le prime elezioni libere si tennero nel marzo del 1945 e videro contrapporsi due coalizioni: il Comitato per la Libertà, comprendente comunisti e socialisti, e l’Unione Democratica Sammarinese, composta dalla Democrazia Cristiana locale e dalle altre forze di ispirazione non comunista. Il diritto di voto spettava solo ai cittadini maschi che avessero compiuto almeno 24 anni. Due terzi dei voti andò ai social-comunisti, che si accaparrarono 40 dei 60 seggi in palio. Negli anni successivi le elezioni italiane del 1946 e del 1948 segnarono l’appartenenza della neonata Repubblica Italiana al mondo occidentale e all’alleanza militare ed economica con gli Stati Uniti d’America, mentre i risultati elettorali del 1945 nella Repubblica di San Marino erano in linea con quelli dei comuni italiani della rossa Romagna. Nonostante il fatto che il governo del Titano non intraprenda alcuna nazionalizzazione, collettivizzazione o altre politiche tipiche dei paesi comunisti – se non un rafforzamento del sistema sanitario e pensionistico oltre al potenziamento dell’attività sindacale – l’Italia e gli Stati Uniti non vedono di buon occhio l’esistenza di una nazione a guida social-comunista all’interno della penisola italiana.

Elezioni del 1949, attriti con l’Italia e prima chiusura del confine

In un clima nel quale la guerra tra le grandi potenze mondiali monopolizzava i principali dibattiti politici si svolsero le elezioni politiche del 1949. Le coalizioni in campo erano le stesse di quattro anni prima ma il risultato elettorale vide i social-comunisti prevalere con uno scarto minore. Alla fine i seggi furono 35 contro 25 e il socialista Gino Giacomini conservò la guida della Segreteria agli esteri del Congresso di Stato, ruolo che in Italia equivale al quello di Capo del Governo. Il mantenimento della maggioranza rossa non era affatto scontato dato che erano in atto le prime ritorsioni da parte dell’Italia nei confronti del piccolo stato che rischiava la bancarotta economica. Le riforme sanitarie e pensionistiche promosse dal governo di sinistra incidevano molto sulle finanze sammarinesi. Il mondo occidentale conosceva bene questo particolare e l’Italia cominciò a pagare sempre più in ritardo ed evitò di adeguare il canone doganale previsto dagli accordi bilaterali. Tuttora oggi San Marino percepisce un indennizzo dalla Stato Italiano in cambio della rinuncia a monopoli sul tabacco, accise sui carburanti, installazione di stazioni radio o televisive senza l’accordo con l’Italia. Questa fonte di reddito è ancora importante per San Marino, ma negli anni successivi alla Seconda guerra mondiale era fondamentale per le casse dello stato. In tutto questo si deve aggiungere una politica italiana tendente a consigliare alle banche di non fare prestiti a San Marino e il mancato pagamento da parte inglese dei danni di guerra successivi al bombardamento del 1944. Infine, nonostante fosse prevista da un accordo la ricostruzione a carico dell’Italia della vecchia ferrovia che collega San Marino e Rimini, i lavori non partirono mai. San Marino si decise a forzare la mano decidendo in modo unilaterale di aprire un casinò che attraesse turisti e denari dalla riviera romagnola. La cosa non fu gradita all’Italia e questo portò ad un blocco dei confini. L’Italia rese impossibile per auto e bus il raggiungimento non solo del casinò ma anche di qualsiasi destinazione all’interno della repubblica. Fu il tracollo economico, con aziende che serrarono i battenti, perdita di occupazione, la chiusura della casa da gioco e la caduta del governo rosso, costretto ad una fase di unità nazionale con i democristiani e ad anticipare le elezioni di due anni.

Le elezioni del 1951

Questa volta invece che due coalizioni presero parte alla consultazione popolare quattro partiti. Da una parte c’erano il Partito Comunista e il Partito Socialista, dall’altra la Democrazia Cristiana e l’Associazione Patriottica Indipendente del Lavoro, che aveva in passato preso parte all’alleanza social-comunista. L’ottimismo tra i “democratici” svanì al momento del risultato elettorale. La DC risultò il partito di maggioranza relativa con 26 seggi, i patrioti presero 3 posti al Consiglio Grande e Generale mentre i Comunisti (18) e i Socialisti (13) mantennero la maggioranza per un soffio. Come nelle migliori tradizioni non mancarono le accuse di brogli. Il quadriennio tra il 1951 e il 1955 proseguì nel solco degli anni precedenti. La forte disoccupazione e le politiche sociali del governo tennero il debito pubblico molto alto. Cominciò un’epoca di vicinanza con i paesi dell’Est europa, anche se più legata ad occasioni di amicizia che alle trasformazioni del sistema politico. Anche sul fronte democristiano si lavorava per il futuro stringendo legami sempre più saldi con l’Italia e gli Stati Uniti, e si arrivò ad ipotizzare strategie per ribaltare l’esito elettorale. La DC sammarinese si fece portavoce dell’estensione del diritto di voto alle donne (appare paradossale che in un paese dove il divorzio esiste dagli anni ’50, le donne avrebbero potuto votare per la prima volta solo nel 1964) e di quello per posta ai tantissimi sammarinesi residenti all’estero. Molto degli emigrati da San Marino in Belgio, Francia o Germania, in maggioranza di sinistra, riuscivano a recarsi alle urne di persona in occasione del voto, mentre quelli che vivevano negli Stati Uniti erano spesso non comunisti, ma avevano evidenti difficoltà a tornare sotto il Titano per le elezioni.

Il simboli della DC e del PC nelle schede elettorali dell’epoca

Le elezioni del 1955 e la scissione tra i socialisti dopo i fatti d’Ungheria

Esattamente come in Italia prese vita un partito di ispirazione socialista che si orientò verso la Democrazia Cristiana. Il PSDI di Saragat a San Marino si chiamò Partito Social Democratico Sammarinese ed ebbe lo stesso compito dei “compagni italiani”, ovvero portare voti di sinistra in progetti politici anticomunisti. Nonostante la speranza che un simile cavallo di Troia potesse scalfire la maggioranza social-comunista, alla loro prima elezione nell’agosto del 1945 i socialdemocratici presero due seggi che si andarono a sommare ai 23 dei democristiani. I comunisti ebbero 19 consiglieri e i socialisti 16, di conseguenza rinnovarono la fiducia al governo di Gino Giacomini in carica dal 1945. Non bastarono i circa duecento sammarinesi arrivati dagli Stati Uniti a ribaltare il risultato. Si racconta che gli Usa aiutarono questi emigranti a tornare a casa per sostenere la Democrazia Cristiana, ma che poi molti di loro non avevano denaro per poter tornare indietro. Sembra che alcuni dovettero mettersi a lavorare per potersi pagare il viaggio di ritorno. Naturalmente scoppiarono polemiche sulla data estiva del voto e sui presunti ennesimi brogli a favore del governo uscente. I democristiani cominciarono un’intensa serie di scambi di informazioni con i colleghi italiani e con il Consolato statunitense di Firenze al fine di individuare una strategia per fermare una volta per tutte l’esperienza social-comunista di San Marino. Il 1956 si rivelò un anno ricco di criticità nel mondo comunista. Le politiche di destalinizzazione volute dal nuovo leader sovietico Nikita Chruščëv e le rivolte prima in Polonia e poi in Ungheria aprirono una crisi all’interno della componente socialista. Si arrivò allo scontro tra il Segretario agli esteri Gino Giacomini e il Segretario del partito Alvaro Casali. Il primo continuava a ritenere giusta e utile l’alleanza con i comunisti, mentre il secondo si fece interprete di coloro che avrebbero voluto che il Partito Socialista intraprendesse una strada diversa. Intanto si alzò anche l’asticella delle aspirazioni politiche del governo rosso. Oltre all’apertura di un Consolato dell’Unione Sovietica sul Titano, presero vita idee finalizzate alla nascita di una Costituzione di San Marino (tuttora assente) e uno sviluppo dell’economia collettivistica e statale, visto e considerato che già in quel momento la metà della popolazione era in qualche modo a carico dello Stato. Tutto questo portò alla rottura nel Partito Socialista con la vittoria della linea di Giacomini. Casali ad inizio 1957 si dimise anche dal governo e assieme ad altri quattro consiglieri diede vita al Partito Social Democratico Indipendente Sammarinese. I membri della nuova forza politica in un primo momento non si collocarono tra le file dell’opposizione, permettendo l’elezione dei Capitani Reggenti programmata a marzo per il semestre aprile-settembre e non creando particolari ostacoli ai lavori del parlamento sammarinese.

Scendono in campo gli Stati Uniti d’America

Durante l’estate del 1957 l’attività diplomatica fu frenetica. Il Console americano a Firenze visitò in forma privata Federico Bigi, leader della Democrazia Cristiana, ignorando il governo ufficiale di San Marino. Bigi fu ospite al Consolato di Firenze poco dopo, ma soprattutto trascorse un mese negli Stati Uniti con Pietro Giancecchi, allora Sergretario del Partito Socialdemocratico Sammarinese. Il viaggio americano ebbe i suoi frutti e questo può essere affermato con certezza grazie ai documenti statunitensi desecretati, che hanno messo la parola fine a molti dubbi che circolavano all’ombra del Titano alla fine di quell’estate. Il Documento “029”, scritto il 24 settembre 1957 dal Console statunitense a Firenze e indirizzato al Dipartimento di stato a Washington faceva un riassunto della vicenda, sottolineando che con la scissione socialista la situazione vedeva il Consiglio diviso tra due blocchi di 30 consiglieri, e che era quindi necessario trovarne un altro per ribaltare la maggioranza. Nei primi giorni di settembre Bigi informò il consolato di due situazioni in corso. La prima riguardava un iscritto al Partito Comunista disponibile ad allontanarsi dal Consiglio in cambio di denaro, mentre nel secondo caso un indipendente eletto nella lista comunista sarebbe stato pronto ad abbandonare la maggioranza rossa per unirsi all’opposizione. Quest’ultima opzione fu quella dove si pensò di lavorare, intuendo che l’altra possibilità, quella dell’iscritto al Partito Comunista, potesse essere una trappola per smascherare eventuali tentativi di corruzione. Il Console scrisse che la richiesta dell’indipendente era la possibilità di emigrare negli Usa qualora il tentativo di ribaltare l’esito elettorale fosse fallito. Questa assicurazione non poteva essere data dalla diplomazia americana e questa cosa fu comunicata a Bigi assieme al consiglio di insistere con altri argomenti.

La nuova maggioranza e lo scioglimento del Consiglio Grande e Generale

In base alle leggi sammarinesi in un giorno della seconda decade di settembre il Consiglio Grande e Generale è chiamato ad eleggere i nuovi Capitani Reggenti che entreranno in carica dal primo ottobre per il semestre successivo. A causa della situazione politica del 1957, i Reggenti avevano ridotto al minimo le attività consiliari, ma la seduta programmata per il 19 settembre non poteva essere evitata. Il giorno precedente i capigruppo della minoranza si recarono in udienza dai Capitani Reggenti Giordano Giacomini e Primo Marani, annunciando che i loro trenta consiglieri non avrebbero votato la proposta della maggioranza. Il tutto fu accompagnato da un documento con trenta firme, la metà esatta della composizione del Consiglio. I socialisti e comunisti immaginavano una soluzione di compromesso con l’elezione di un Capitano per parte, ma si sbagliavano. Il giorno 19 pomeriggio era in programma la riunione che avrebbe dovuto eleggere i nuovi reggenti e durante la mattinata ebbero luogo una serie di eventi che avrebbero causato seri problemi istituzionali. In una nuova udienza di fronte ai Capitani Reggenti gli oppositori dei social-comunisti comunicarono che Attilio Giannini, indipendente eletto nella lista comunista, aveva deciso di abbandonare la compagine governativa e di conseguenza era costituita una nuova maggioranza che intendeva eleggere i nuovi Reggenti e poi prendere le redini del governo nazionale. I social-comunisti risposero con le dimissioni di 34 dei 35 consiglieri eletti come maggioranza nel 1955. Le lettere di dimissioni portavano la data del 19 settembre 1957, e figurarono come dimissionari anche quattro dei cinque transfughi socialisti oltre allo stesso Attilio Giannini. Le dimissioni della metà più uno dei membri del Consiglio portò allo scioglimento dello stesso e all’indizione di nuove elezioni. I Reggenti in carica annullarono l’assemblea pomeridiana, ordinarono alla gendarmeria di chiudere il Palazzo Pubblico e fissarono per il 3 novembre le nuove elezioni.

I Capitani Reggenti comunicano lo scioglimento del Consiglio (immagine in pubblico dominio)

La nuova maggioranza accusa di golpe i social-comunisti

Come è possibile che, oltre ai ventinove consiglieri social-comunisti, Giannini e quattro dei cinque ex socialisti si possano essere dimessi poche ore dopo aver comunicato il cambio di casacca? Problemi di coscienza legati al fatto di essere stati eletti in un progetto politico per poi abbracciarne un altro? Firme estorte durante la lunga mattinata del 19 settembre? Nulla di tutto questo. Il trasformismo non è una moda solo odierna, ma seppure in misura decisamente minore era diffuso anche in passato. Era pertanto uso nelle forze politiche, non solo tra i comunisti e i socialisti, creare un vincolo diretto tra partito ed eletto, con quest’ultimo che doveva fare quanto deciso dal partito, soprattutto in occasione di voti importanti. Onde evitare cambi di squadra o tradimenti politici tutti i candidati ad una elezione lasciavano un documento di dimissioni con firma autenticata e data in bianco nelle mani del segretario del proprio partito. Per una svista i documenti in possesso dei responsabili socialisti e comunisti erano 34 e non 35, ma comunque sufficienti a sciogliere il Consiglio. Se da una parte i Reggenti, anch’essi dimissionari dal ruolo di consiglieri, prendono atto di trentaquattro lettere di dimissioni con firma autenticata, e quindi valide, allo stesso tempo è comprensibile che coloro che si ritrovano dimissionari contro la propria volontà – Giannini e quattro dei cinque ex socialisti – gridino al golpe. Certamente la loro firma in un atto autentico ma senza data è una forzatura da parte di comunisti e socialisti, dall’altra lo spostamento di sei consiglieri è un tradimento della volontà popolare espressa appena due anni prima. Se questo tipo di cose in un consiglio comunale italiano non avrebbero portato a particolari conseguenze, quando c’è in ballo la guida di uno stato tutto cambia. Bigi, Casali e Giancecchi, alla guida dei trentuno consiglieri della nuova maggioranza, si riunirono nel sagrato della Pieve di San Marino mentre i simpatizzanti comunisti e socialisti occuparono il Pianello, la piazza dove ha sede il Palazzo Pubblico. Democristiani, socialdemocratici ed ex socialisti accusarono i Capitani Reggenti e la vecchia maggioranza di aver fatto un colpo di stato. I Reggenti autoprorogarono il proprio mandato, cosa mai successa prima nella storia della repubblica, e allo stesso modo avrebbero peccato di parzialità essendo a conoscenza dell’impossibilità di una reale volontà di dimissioni dei consiglieri ex socialisti e di Giannini. Dalla Reggenza e dalla ex maggioranza si rispose che un regolare svolgimento delle elezioni programmato per il 3 novembre avrebbe potuto restituire la sovranità agli elettori e stabilire i corretti equilibri tra le forze politiche. Nel corso della serata la situazione si stemperò e nei giorni successivi tutti allacciarono contatti con le parti politiche italiane. Naturalmente i comunisti e i socialisti italiani si schierarono con il governo in carica, mentre Democrazia Cristiana e Partito Socialdemocratico con gli omologhi sammarinesi. Si tennero consultazioni anche con il Consolato americano di Firenze e naturalmente con il governo italiano, che avrebbe avuto un ruolo fondamentale nell’evolversi della situazione. La quiete apparente nascondeva un piano da attuare a sorpresa alla mezzanotte del 30 settembre, ovvero quando sarebbero scaduti i mandati degli attuali Capitani Reggenti.

Continua nella seconda e ultima puntata: I Fatti di Rovereta: l’Italia madrina di un colpo di Stato.

L’immagine di copertina è stata pubblicata nel formato originale da Paolo Forcellini nel gruppo Facebook Amici della storia sammarinese. Risulta in pubblico dominio, come la foto del Comunicato dei Capitani Reggenti, ai sensi della L. 8/1991, art. 84.

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