Ufficialmente non esistono ma hanno confini, polizia, moneta, leggi e soprattutto persone che li abitano. Curiosamente molti sono in Europa o nelle immediate vicinanze, e sono quasi tutti figli di crisi politiche recenti, spesso legate alla disgregazione dell’Unione Sovietica. TeverePost nel corso degli ultimi due anni ha raccontato le storie di una parte di queste nazioni a riconoscimento limitato e che costituiscono una spina nel fianco dei Paesi con cui confinano. Attualmente due di queste “nazioni” sono protagoniste del conflitto in atto tra Russia e Ucraina. Una terza, l’Ossezia del sud, lo sarà a breve, data la sua richiesta di entrare a far parte della Federazione Russa. Con questo articolo faremo un rapido viaggio all’interno di quelli che si trovano in Europa o nelle immediate vicinanze. TeverePost vi porta in luoghi di cui non è sempre possibile attraversare le frontiere con facilità.
Repubblica popolare di Doneck e Repubblica popolare di Lugansk
Iniziamo da quelli più nominati in queste settimane. In principio erano due oblast’ (regioni) dell’Ucraina a maggioranza russa e dove il russo era la lingua parlata dall’intera popolazione. In epoca sovietica il confine amministrativo tra Russia e Ucraina era simile a quello tra le regioni italiane, quindi senza complicazioni per attraversarlo. Dopo il 1991 seguirono i destini dell’Ucraina e divennero terre di frontiera con la vicina Russia. Dopo la rivolta di Maidan e l’inizio di politiche di costruzione di una più forte identità ucraina, per esempio con il divieto della lingua russa, Doneck e Lugansk insorsero contro lo Stato ucraino. Per un breve periodo diedero vita allo Stato unitario e federale della Nuova Russia, per poi tornare ad essere due entità separate. Dalla tregua successiva agli Accordi di Minsk a cavallo tra 2014 e 2015 hanno fatto scelte finalizzate ad aumentare il legame con la Russia, come l’introduzione del rublo e la doppia cittadinanza per chi ne facesse richiesta. Dal febbraio 2022 si è riacceso il conflitto con l’Ucraina dopo che la Russia le ha ufficialmente riconosciute come Stati sovrani. Entrambi rivendicano territori che al momento sono sotto il controllo ucraino, poco meno della metà dell’estensione originaria della regione di Doneck e meno del 5% di quella di Lugansk. La situazione è in rapida evoluzione e il destino delle due Repubbliche rimane incerto. Potrebbero diventare Stati sovrani riconosciuti dalla comunità internazionale, entrare a far parte della Russia come regioni o rimanere in Ucraina con una larga autonomia. Senza considerare i territori che fino a febbraio 2022 erano ancora sotto il controllo ucraino, le due entità hanno circa quattro milioni di abitanti; sette milioni comprendendo le due oblast’ per intero.
Transnistria o Prednestrovie
Per la comunità internazionale è la parte più orientale della Moldavia, ma il piccolo Stato con capitale Tiraspol’ si considera una repubblica indipendente da prima che la Moldavia stessa fosse riconosciuta internazionalmente. È una lunga e stretta striscia di terra ad est del fiume Dnestr e fu aggiunta alla Moldavia nel 1940, mentre prima era parte dell’Ucraina sovietica. La popolazione è in prevalenza slava, mentre quella ad ovest del fiume è moldavo-rumena. Era prevedibile che al momento della dichiarazione di indipendenza dall’Urss della Moldavia, l’area in questione volesse a sua volta distaccarsi dallo Stato di cui era parte. Quando Chișinău sostitui la bandiera di epoca sovietica con un tricolore simile a quello della vicina Romania, a Tiraspol’ adottarono la bandiera della Repubblica socialista sovietica di Moldavia, e tuttora oggi la falce e martello è parte dei vessilli di Stato. Tra il 1991 e il 1992 i moldavi cercarono di tornare in possesso della striscia di terra, ma le forze della Transnistria resistettero anche aiutati dall’Armata Rossa, poi diventata esercito russo, che aveva una delle proprie basi sul lato orientale del fiume. Con gli scontri del ‘92 i ribelli presero il controllo anche della città di Bender, unico territorio che posseggono ad ovest del Dnestr. Dopo trent’anni non si vede una fine certa di questa curiosa situazione. Più volte la Transnistria ha chiesto di poter essere riconosciuta e di poter entrare a far parte della Federazione Russa ma senza alcun esito. La base militare russa permane all’interno del territorio. La situazione della popolazione civile è migliorata con la possibilità di attraversare il confine tra Moldavia e Transnistria, con il mezzo milione di abitanti della regione secessionista che prendono parte alle elezioni moldave e con la squadra di calcio di Tiraspol’ che vince quasi sempre il campionato di calcio moldavo. La Transinistria usa una propria moneta, il rublo della Transnistria, ma allo stesso tempo circolano in abbondanza anche euro, dollari, rubli russi e grivnie ucraine.
Abcasia e Ossezia del sud
Per molti aspetti è una situazione spesso richiamata alla mente quando si cerca di interpretare le odierne vicende ucraine. Internazionalmente sono riconosciute dalla maggior parte dei Paesi del mondo come due regioni della Georgia. Per la Russia e un’altra manciata di nazioni sono Stati indipendenti. La situazione è cambiata nell’estate 2008, quando la Georgia ha cercato di riprendersi con la forza l’Ossezia del sud. Anche in questo caso il problema nasce dalla disgregazione dell’Unione Sovietica. Abcasi e osseti non avevano intenzione di continuare a far parte della Georgia indipendente dall’Urss. In Abcasia ci furono scontri interetnici già nel 1989, per poi scoppiare una vera e propria guerra tra il 1991 e il 1993. I fronti si capovolsero più volte ma videro alla fine gli indipendentisti prendere il controllo della regione. Le violenze tra le due principali comunità continuarono e la maggior parte dei georgiani lasciarono l’area. Situazione molto simile nell’Ossezia del sud, che già nel 1989 chiese di potersi riunire all’Ossezia del nord che faceva parte della Russia sovietica. Con la fine dell’Urss scoppiò un conflitto con la Georgia che porto ad una situazione di stallo nel 1992, risolta con l’intervento pacificatore della Russia. La situazione rimase bloccata fino all’estate del 2008, quando il presidente georgiano Saakashvili decise di occupare la regione ribelle. I russi intervennero il giorno successivo con una forte reazione che sembrava voler puntare ad occupare l’intera Georgia. Ristabilito lo status quo la Russia decise di riconoscere l’indipendenza di Abcasia e Ossezia trasformandoli di fatto in due protettorati. L’Abcasia conta 240.000 abitanti e utilizza come valuta il rublo russo e l’apsar abcaso. L’Ossezia ha appena 55.000 cittadini ed utilizza la moneta russa. L’Ossezia del nord, facente parte attualmente della Federazione Russa, ha circa 700.000 abitanti. Un futuro assieme delle due “Ossezie” sarebbe giocoforza all’interno della Russia e proprio in questi giorni il presidente osseto Anatolij Bibilov ha annunciato l’intenzione di tenere il prossimo 10 aprile un referendum su questa possibilità.
Nagorno Karabakh (Artsakh)
Un’ulteriore storia figlia del crollo dell’Unione Sovietica riguarda il Nagorno Karabach (Artsakh) conteso da Armenia ed Azerbaigian. In questo caso la guerra, in un primo tempo civile, scoppiò a livello di violenze interetniche quando Eravan e Baku erano ancora all’interno dello Stato sovietico. In sintesi il Nagorno Karabakh era una regione abitata principalmente da armeni sotto la sovranità della Repubblica socialista sovietica di Azerbaigian. La popolazione rivendicò l’indipendenza con l’obiettivo di passare sotto il controllo armeno. Tra l’altro la regione in questione non aveva confini fisici con l’Armenia essendo separata da una parte di territorio azero. Naturalmente al momento in cui l’Azerbaigian divenne indipendente gli armeni del Nagorno Karabakh insorsero e presero il controllo del territorio. Nel 1992, non esistendo più l’esercito sovietico, che fino a quel momento aveva in modo superficiale cercato di tenere sotto controllo la situazione, scoppiò il caos anche grazie all’enorme quantitativo di armi che l’Armata Rossa lasciò in eredità agli Stati successori. Gli azeri attaccarono la regione ribelle e ne venne fuori una guerra durata tre anni, che vide quasi 40.000 morti e ulteriori perdite territoriali per l’Azerbaigian. Gli accordi di Biskek, dove la Russia ebbe un ruolo di mediazione, congelarono il conflitto sino al 2020. Dopo ventisei anni di trattative inconcludenti per il futuro della regione avvenne una nuova offensiva azera che riportò sotto il proprio controllo tutti i territori azeri persi precedentemente, oltre ad una parte del Nagorno Karabakh. Stavolta garanti della pace sono Russia e Turchia, che saranno parte attiva anche di un accordo di pace definitivo previsto in futuro. Ad oggi l’Artsakh controlla circa due terzi del territorio che aveva in epoca sovietica, è riconosciuto solamente dall’Armenia, usa il dram armeno come moneta e ha circa 150.000 abitanti.
Kosovo
La vicenda dell’indipendenza del Kosovo, riconosciuta da circa la metà dei Paesi del mondo ma ad oggi comunque non membro delle Nazioni Unite, va inquadrata nelle dinamiche che nell’ultimo decennio del XX secolo portarono alla disgregazione della Jugoslavia socialista. Tra il 1991 si concluse l’esperienza federale che sfociò in sanguinose guerre civili. Prima in Slovenia, poi soprattutto in Croazia e Bosnia-Erzegovina. Nel nuovo puzzle balcanico sopravvisse una mini Jugoslavia federale composta da Montenegro e Serbia, con quest’ultima che al proprio interno aveva importanti minoranze, ungherese in Vojvodina e albanese in Kosovo. La Costituzione jugoslava del 1974 assegnava a Vojvodina e Kosovo lo status di province autonome. Non erano quindi repubbliche federali ma godevano comunque di larga autonomia. Con la nuova Jugoslavia del 1992 queste prerogative furono molto ridimensionate, dando vita prima ad una lotta non violenta, poi ad un movimento di guerriglia sostenuto militarmente dalle armi albanesi entrate in circolazione durante il periodo di anarchia che colpì l’Albania. Tra il 1998 e 1999, quando nel frattempo nel resto della ex Jugoslavia la situazione si era tranquillizzata, si susseguirono scontri tra gruppi terroristici, o patriottici secondo gli albanesi, e polizia serba. La Nato decise, senza l’appoggio delle Nazioni Unite, di intervenire cercando prima di mediare un accordo tra le parti e poi schierandosi con gli albanesi. Due mesi e mezzo di bombardamenti portarono la Jugoslavia ad accettare gli Accordi di Kumanovo sanciti dalla risoluzione 1244 del Consiglio di Sicurezza dell’Onu dove si affidava ad un contingente militare a guida Nato la gestione della regione, ribadendo che restava parte integrante della Jugoslavia. Negli anni successivi alla guerra le forze militari servirono principalmente come protezione alla minoranza serba rimasta. Nel 2007 il Kosovo decise di proclamare la propria indipendenza mai riconosciuta dalla Serbia, che lo rivendica tuttora come proprio territorio. Trattative di pace proseguono tuttora senza aver trovato un accordo nonostante numerosi tentativi di mediazione. Attualmente il Kosovo ha poco meno di due milioni di abitanti e usa l’euro come moneta, nonostante non faccia parte dell’Unione Europea.
Cipro Nord
Da quasi cinquanta anni l’isola di Cipro è divisa in due come del resto la sua capitale Nicosia. Tutto ha origine nel 1974 quando la Turchia invase l’isola mediterranea con l’obiettivo di tutelare la minoranza turca messa a rischio dalle politiche nazionaliste filogreche dell’amministrazione cipriota supportata da Atene. Quest’ultima si era insediata con un colpo di stato che portò alla destituzione e relativa fuga del presidente legittimo, l’arcivescovo Makarios III. Quattro giorni dopo, il 20 luglio, i turchi occuparono in sole 72 ore una striscia di terra tra il mare e la capitale. Di fatto la veloce guerra combattuta nel luglio del ‘74 ebbe un effetto talmente dirompente che portò alla caduta del regime greco dei colonnelli. Tornato Makarios emerse una situazione di stallo su cosa fare, alla quale la Turchia rispose prima chiedendo di trasformare Cipro in uno Stato federale composto da due entità e di favorire uno scambio di popolazione per renderle omogenee. Alla mancata risposta dei greco-ciprioti seguì una seconda azione bellica turca nel mese di agosto che portò all’occupazione del 40% dell’isola. Di fatto avvennero episodi di reciproca pulizia etnica che spinsero le popolazioni a spostarsi nelle zone amministrate dai propri connazionali. L’amministrazione militare turca si trasformò nel 1983 nella Repubblica turca di Cipro del nord, riconosciuta dalla sola Turchia. Fino al 2003 non era possibile attraversare la “linea verde”, ovvero la parte di terra di nessuno presidiata dalle Nazioni Unite, con famiglie e conoscenti rimasti così divisi per quasi un trentennio. In quell’anno le due parti raggiunsero un accordo per permettere il passaggio delle persone tra le due entità. Il confine divide tuttora in due la capitale Nicosia e nella strada principale vi è un punto di passaggio pedonale che permette di visitare l’altra parte della città. Dal 2004 solo la Cipro riconosciuta internazionalmente è entrata a far parte dell’Unione Europea. Oggi i rapporti tra le due parti dell’isola sono migliorati ma resta lontano un accordo per la creazione di uno Stato unitario, neppure federale. A Cipro nord vivono circa 300.000 abitanti e la moneta è la lira turca, anche se circola non ufficialmente anche l’euro.
Palestina ed Israele
Forse una delle storie più difficili da raccontare e soprattutto da sintetizzare. A fine 1947 le Nazioni Unite stabilirono che nell’area geografica della Palestina, governata fino ad allora dalla Gran Bretagna, che amministrava la provincia già ottomana, sarebbero sorti uno Stato arabo ed uno ebraico. Entrambe le popolazioni reclamavano il territorio per intero con gli arabi che si consideravano più legittimati in quanto vissuti da sempre su quel territorio. Con il ritiro britannico iniziò la prima guerra arabo-israeliana. Nonostante gli arabi fossero in numero maggiore e potessero contare sul sostegno dei confinanti Egitto, Giordania, Siria, Libano e perfino Iraq la guerra fu vinta dagli israeliani e si concluse dopo un anno e mezzo con la conquista del 78% del territorio, mentre il restante 22% passò sotto il controllo di Egitto nel sud e Giordania ad est e nord. Anche Gerusalemme venne divisa in due con la parte storica sotto controllo giordano. Dalla guerra derivarono un numero enorme di sfollati e profughi arabi che non volevano vivere sotto lo Stato di Israele. La guerra dei sei giorni del 1967 e quella dello Yom Kippur del 1973 portarono l’intero territorio arabo sotto il controllo israeliano, oltre all’occupazione della penisola egiziana del Sinai e delle alture siriane del Golan. Ora sotto il controllo dello Stato ebraico c’erano milioni di arabi, oltre a tutti i luoghi sacri di Gerusalemme. Successivamente Israele occupò anche la parte meridionale del Libano. Negli anni ‘80 Giordania ed Egitto rinunciarono ai territori che controllavano per permettere la nascita dello Stato palestinese, limitato alla Cisgiordania, compresa Gerusalemme est, e alla Striscia di Gaza. Gli accordi di Oslo del 1993 tra Israele e OLP, l’Organizzazione per la liberazione della Palestina, permisero la nascita dell’Autorità Nazionale Palestinese come entità autonoma che avrebbe avuto il compito dell’amministrazione civile della maggior parte dei territori precedentemente occupati da Israele. Rimaneva e rimane tuttora irrisolta la problematica di Gerusalemme est, che i palestinesi rivendicano come propria capitale. Anche il passaggio completo del controllo di tutti i territori palestinesi all’ANP non si è mai completato. Ad oggi nello Stato di Palestina vivono circa cinque milioni di persone, la moneta utilizzata è lo shekel israeliano, è un Paese osservatore delle Nazioni Unite ed è riconosciuto da 135 Stati del mondo. Un aspetto interessante di questa storia è che lo stesso Israele, con oltre otto milioni di abitanti, non è riconosciuto da 23 Paesi membri dell’Onu.
Repubblica democratica araba dei Sahrawi
Riconosciuta da 87 membri della Nazioni unite, è uno Stato che rivendica il territorio coloniale del Sahara spagnolo che dopo il disimpegno di Madrid ad inizio 1976 venne poi occupato militarmente dal Marocco e dalla Mauritania senza tenere conto delle rivendicazioni degli abitanti dell’area, i Sahrawi, che nello stesso anno proclamarono il proprio Stato. Iniziò una lunga guerriglia sostenuta dall’Algeria che vide in un primo momento il disimpegno mauritano e poi un accordo di pace col Marocco nel 1991, con la definizione di un’area di circa il 20% della ex colonia dove i Sahrawi hanno attualmente effettiva giurisdizione. Le due zone sono separate dal “Muro marocchino”, una struttura lunga circa 2.700 chilometri costruita prevalentemente in terra battuta che separa fisicamente i due territori. La mediazione dell’Onu prevedeva un referendum sull’autodeterminazione della popolazione locale che ad oggi non si è svolto per problemi relativi al censimento di chi avrebbe diritto al voto. Secondo l’ultimo rilevamento in epoca spagnola gli abitanti del Sahara occidentale erano circa 80.000. Il Marocco ha portato sul territorio in questione circa 350.000 persone. I Sahrawi oggi sostengono di essere oltre mezzo milione anche se più della metà della popolazione risiede al di fuori della striscia di terra effettivamente amministrata dalla Repubblica democratica. Negli ultimi due anni sono ripresi, nell’indifferenza generale, scontri nella strettissima fascia assegnata ai Sahrawi che divide il confine tra Marocco e Mauritania. Tale corridoio è anche l’unico sbocco al mare della Repubblica dei Sahrawi e che al momento non è più utilizzabile essendo direttamente presidiato dal Marocco. Il territorio dell’ex Sahara spagnolo è completamente arido ed è grande poco meno dell’Italia. Uniche risorse economiche sono delle importanti e vaste miniere di fosforo, un pescoso litorale sull’oceano Atlantico e riserve di gas naturale che sembrerebbe potrebbero esserci. Attualmente tutte le risorse economiche della regione sono gestite dal Marocco.
Taiwan
Ben lontana dall’Europa ma in stretti rapporti commerciali con essa, e quindi degna di essere presa in considerazione in questa panoramica. A molti potrà sembrare strano che l’isola di Formosa al largo della Cina possa essere presente in questo elenco, ma per alcuni il governo che ha sede nel capoluogo Taipei sarebbe il legittimo governo cinese. Non a caso Taiwan si autodefinisce “Repubblica di Cina” ed è l’erede della Cina nazionalista di Chiang-Kai-shek che perse la guerra civile contro i comunisti di Mao Zedong. Questi ultimi diedero vita alla Repubblica popolare cinese che rivendica l’isola di Taiwan come proprio territorio. Taiwan è riconosciuta come Stato indipendente da quattordici Paesi e fino al 1971 era membro dell’Onu dove esercitava il diritto di veto nel Consiglio di Sicurezza. Il cambio di riconoscimento da parte delle Nazioni Unite ebbe un percorso molto travagliato e fu più volte presentato e bocciato dalla maggior parte dei Paesi aderenti. L’Albania di Enver Hoxha, alleata della Cina popolare, fu protagonista di questa lunga battaglia dove nuovi paesi indipendenti dell’Africa e quelli non allineati riuscirono a mettere in minoranza gli Stati Uniti, storici difensori della Cina nazionalista. Oggi Taiwan non può far parte dell’Onu ritenendosi erede di un governo non più riconosciuto dalla comunità internazionale. Potenzialmente se rinunciasse alla rivendicazione della Cina continentale potrebbe presentare domanda formale per rientrare, anche se sarebbe tutto da verificare che tipo di disponibilità darebbe Pechino su questo tema. Ventitré milioni sono i cinesi che vivono a Taiwan, in parte discendenti della popolazione locale e in parte eredi dei nazionalisti in fuga dalla Cina continentale. Importante animatrice del mondo economico, Taiwan teme che la Cina popolare possa prima o poi cercare di riconquistare l’isola ribelle con la forza, dato che finora nessuna trattativa ha visto avvicinare le posizioni delle due realtà politiche. La moneta in uso a Taiwan è il dollaro taiwanese. Da notare che, naturalmente, a sua volta la Repubblica popolare cinese non gode del riconoscimento internazionale dei quattordici Stati che riconoscono Taiwan.
Stati privi di riconoscimento esistenti o recentemente scomparsi
Limitandoci solo agli ultimi decenni di storia e con una lista non esaustiva ne possiamo trovare alcuni nati e scomparsi nel corso delle guerre jugoslave. Tra questi la Repubblica serba di Krajna esistita tra il 1991 e il 1995 che raggruppava le popolazione serbe in Croazia. Storia simile ma con finale diverso quello della Repubblica serba di Bosnia che raggruppa la popolazione serba della Bosnia-Erzegovina a partire dal 1992. Contrariamente alla Krajna continuò ad esistere anche dopo la fine del conflitto e si trasformò in un’entità federale della nuova Repubblica di Bosnia-Erzegovina, controllandone il 49% del territorio. Esistente ma non riconosciuto da nessuno è il Somaliland, che controlla la parte settentrionale della Somalia, è più grande della Grecia e vanta tre milioni e mezzo di abitanti. Esistito, non riconosciuto e ormai senza un controllo reale del territorio è stato il Califfato dell’Isis a cavallo tra Iraq e Siria. Seppure per molti sia stato una mera organizzazione terroristica, in realtà ha controllato anche civilmente un vasto territorio. Storia simile quella del Tamil Eelam, che in Sri Lanka è arrivato a controllare vaste aree del nord e dell’est del Paese per venticinque anni. Il Kurdistan, territorio oggi diviso tra Turchia, Siria, Iraq ed Iran, invece in realtà non è mai esistito se non sotto forma di provincie autonome in Iraq e in Siria.
Tra i casi limite di cui abbiamo parlato in passato possiamo inserire anche l’Isola delle Rose, Sealand, Seborga e, in Valtiberina, la Repubblica di Cospaia.