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Un augurio al nuovo giornale da Roma, risalendo il corso del fiume

Pantheon allagato

Il Pantheon allagato nel dicembre 1870.

Cos’è che ogni giorno, da sempre, unisce la Valtiberina a Roma? Semplice: il fiume Tevere! È come un cordone ombelicale che scende dalle valli in Appennino, si nutre di storie e culture e tutto riversa qui, nella Città Eterna. Comprese le piene del fiume che, per 2700 anni, hanno caratterizzato l’Urbe e probabilmente inculcato nel DNA dei suoi cittadini quello spirito di menefreghismo di chi tutto ha già visto e vissuto.

Quest’anno ci saranno tante celebrazioni per il 150esimo di Porta Pia. Qualcuno forse ricorderà anche ciò che accadde alla fine del 1870. E allora, eccola qua la storia crudele che tuttavia finì per eliminare una delle più ricorrenti disgrazie che martoriavano la città: le piene del Tevere. Può sembrare incredibile, ma già 657 anni prima di Cristo ci si pose il problema delle continue esondazioni del Tevere. Il re Tarquinio Prisco provò a limitare i danni e un po’ tutti i successori tentarono di riuscirvi. Giulio Cesare, Augusto, Claudio. Quest’ultimo fece aprire la foce artificiale di Fiumara Grande, che consentì alle acque di “respirare” verso il mare. Nerone pensò addirittura a una soluzione molto drastica: deviare il Tevere e mandarlo a sfociare in Campania, nel lago d’Averno. Anche Traiano e Aurelio intervennero per limitare i danni, ma poi il problema fu risolto nei modo più semplice e cinico: rassegnarsi a convivere col dramma.

E così, nel corso dei secoli, decine di esondazioni devastarono Roma. I Papi, che la possedevano, si limitavano a tante preghiere e qualche processione. Poi ci furono Garibaldi e la proclamazione del Regno d’Italia. Il 20 settembre 1870, attraverso la breccia di Porta Pia, arrivarono i bersaglieri e finalmente la città si avviò a diventare capitale. Ma nella settimana di Natale piogge torrenziali si abbatterono su tutto il centro Italia. Il Tevere cominciò a gonfiarsi, le acque in Valtiberina si fecero impetuose. Il 26 dicembre il fiume a Roma esondò, allagando prima la zona degli Orti della Farnesina, poi piazza del Popolo, via del Corso, piazza Colonna. Tutto il centro finì sott’acqua e il Tevere al Pantheon (soltanto dodici metri sul livello del mare) giunse ai primi piani delle abitazioni. Il re non era mai stato a Roma in vita sua. Lo convinsero a farlo. Giunse alla stazione alle 4 del 31 dicembre. Cominciò a visitare i quartieri di quella Roma martoriata. Stanziò 200 mila lire per gli alluvionati. Ma le acque cresciute di ben 17 metri fecero capire che serviva un’opera per impedire lo straripamento del fiume. Non più interventi per limitare i danni; ma un’opera che li eliminasse per sempre. I muraglioni. L’unico modo per contenere quelle acque che, già dalla Valtiberina, il Tevere convogliava su Roma.

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