Dopo quinto e sesto e prima del settimo scrutinio per l’elezione del Presidente della Repubblica

Casellati e centrodestra affondati dai franchi tiratori. Al sesto scrutinio 336 voti per Sergio Mattarella. Oggi si riprende alle 9.30 con la settima votazione

Lo scrutinio della quinta votazione. Foto Camera.it

Da ieri il Parlamento in seduta comune integrato dai rappresentanti delle regioni ha iniziato ad effettuare due votazioni al giorno. Al momento la cosa non ha portato ad alcun risultato, vista la doppia fumata nera di venerdì 28 gennaio. Anche per la giornata di oggi sono eventualmente in programma ulteriori due scrutini con inizio anticipato alle 9.30.

Per gli amanti dei numeri si conferma la tradizione secondo cui il quinto scrutinio non ha mai consentito l’elezione del Presidente, mentre il sesto aveva visto eletto Giorgio Napolitano per la seconda volta nel 2013. La storia insegna che proprio la quinta e la sesta votazione servirono per affossare la candidatura di Forlani nel 1992 e che tranne Francesco Cossiga i Presidenti del Senato in carica hanno sempre avuto problemi ad essere eletti a Capo dello Stato, come ben sapevano Cesare Merzagora (1955) e Amintore Fanfani (1971). Mattarella sale a 2.752 giorni di mandato e in ogni caso domenica raggiungerà Carlo Azeglio Ciampi al quinto posto come durata della Presidenza della Repubblica.

Oggi in programma il settimo e l’eventuale ottavo scrutinio che in passato, nelle sole cinque volte nelle quali ci si è dovuti ricorrere, non hanno mai visto l’elezione di un presidente. Era dal 1992, quando l’attentato a Falcone costrinse i grandi elettori a fermarsi dopo 16 scrutini ed eleggere Oscar Luigi Scalfaro, che le votazioni non andavano così per le lunghe.

Il quinto scrutinio ha visto la forzatura del centrodestra con la proposta di candidatura della Presidente del Senato Maria Elisabetta Alberti Casellati. Il centrosinistra e il Movimento Cinque Stelle hanno risposto non ritirando la scheda, che oltre ad essere un importante gesto politico è il meccanismo più sicuro per evitare franchi tiratori. I dissidenti ex grillini hanno sostenuto il magistrato Nino Di Matteo, mentre molti elettori hanno votato Sergio Mattarella.

La Casellati ha raccolto 382 voti, molti di meno delle 441 astensioni che il centrodestra aveva voluto contare nella giornata di giovedì, con evidente presenza di franchi tiratori nelle proprie file. I votanti complessivi sono stati 936 (quasi 50 meno del solito), gli astenuti 406, le schede bianche 11 e le nulle 9. Secondo più votato Sergio Matterella con 46 consensi, ma la fisiologica diminuzione rispetto ai precedenti scrutini è dovuta all’assenza di centrosinistra e Cinquestelle, dal cui serbatoio il Presidente uscente aveva finora attinto. Stesso calo con le stesse motivazioni anche per Nino Di Matteo, appoggiato solo dai propri sostenitori e quindi con un consenso sceso da 56 a 38 voti. Suffragi anche per Silvio Berlusconi (8), Marta Cartabia (7), Antonio Tajani (7), Pierferdinando Casini (6) e Mario Draghi (3) e Elisabetta Belloni (2). Quasi estinti i votanti burloni e tra i voti dispersi oltre al solito Alessandro Barbero troviamo il pilota Mario Andretti, Adriano Galliani, il “No Tav” Emilio Scalzo e Joseph Cesar Perrin, scrittore e punto di riferimento dell’Union Valdotaine. Quest’ultimo è stato probabilmente un doppio voto per affermare che i due grandi elettori della Valle d’Aosta hanno sì votato, ma non per la proposta del centrodestra.

Nel sesto scrutinio un malconcio centrodestra si rifugia nell’astensione onde evitare sorprese, ed infatti risultano 445 schede non ritirate. Il centrosinistra annuncia scheda bianca mentre gli ex grillini continuano a convergere su Di Matteo. In realtà dalla conta dei voti escono moltissime schede per il Presidente uscente Sergio Mattarella, che raccoglie 336 voti, il più alto consenso raccolto per un candidato subito dopo quello della Casellati al quinto scrutinio. I votanti sono stati 976, le schede bianche 106 e quelle nulle 4.

Dietro Mattarella, fortemente distanziato, torna a salire Nino Di Matteo con 41 voti. Poi, come al solito, molti dei possibili papabili tra cui Casini (9), Draghi (5), Cartabia (5), Belloni (4), Amato (3) e Casellati (2). Al quarto posto gli stabili 8 voti per Manconi. Tra i voti dispersi persistono le ormai consolidate preferenze ad Alessandro Barbero e Claudio Sabelli Fioretti. La scheda in più rispetto al numero degli elettori che hanno preso parte alla votazione, probabile frutto di un errore durante la consegna, conferma ancora una volta una certa superficialità che il Parlamento ha nell’affrontare questo solenne impegno.

La giornata di ieri ha avuto sicuramente un forte impatto in casa del centrodestra. Tutti erano consapevoli che la Casellati non sarebbe stata eletta nella quinta votazione, ma l’obiettivo era osservare la tenuta della coalizione e vedere se il numero dei consensi si potesse avvicinare al quantitativo di elettori del centrodestra. Così non è stato e complessivamente sono mancati oltre sessanta voti. La vicenda avrà sicuramente più ripercussioni, oltre ad aver eliminato dalla scena la Presidente del Senato. Nel 2013, dopo il caso dei 101 che affossarono Prodi, si dimise tutto il vertice del Partito Democratico. Questa volta c’è da essere certi che non accadrà nulla e tutti resteranno al proprio posto.

Le dichiarazioni di molti leader sarebbero orientati sulla responsabile dei servizi segreti Elisabetta Belloni, ma sia trasversalmente ai principali gruppi politici che in modo più chiaro da parte di Italia Viva e Forza Italia ci sarebbero perplessità. I risultati sempre più importanti di Sergio Mattarella potrebbero spingere molti elettori a continuare ad insistere sul suo nome, mettendo il Presidente in carica nella situazione di dover scegliere se accettare o meno una nuova elezione, magari anche a tempo determinato come avvenne con Giorgio Napolitano.

Infine restano stabili gli altri possibili candidati che anche nella giornata di ieri hanno raccolto dei simbolici voti. Casini ha il picco del proprio consenso tra Forza Italia ed Italia Viva, rinsaldando l’asse Berlusconi-Renzi. Giuliano Amato sarà eletto oggi presidente della Corte Costituzionale ma resta un’ipotesi percorribile, anche se non la prima e con maggiori radici nel centrosinistra. Mario Draghi intanto vede passare sul fiume i cadaveri dei vari avversari. Uno scenario che si sussurra nei corridoi di Montecitorio è che il Presidente del Consiglio possa salire al Quirinale lasciando Palazzo Chigi al leghista Giancarlo Giorgetti.

Col passare dei giorni e delle votazioni si conferma sempre di più la scarsa consistenza delle forze politiche e l’incapacità di costruire reali percorsi di confronto reciproco. Se un tempo si affermava che la politica era lontana dal Paese, oggi è certo che la politica è ormai distante anche da sé stessa.

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