Jurij Gagarin, il primo uomo nello spazio

Sessant'anni fa uno dei giorni più importanti della storia dell’umanità. Un cammino iniziato sopra i cieli dell’attuale Kazakistan e che presto potrebbe continuare su Marte

"La favola è diventata realtà": poster sovietico che celebra il volo di Gagarin

Oggi i voli spaziali sono diventati quasi una cosa normale, almeno quelli che portano astronauti e cosmonauti oltre i confini del pianeta Terra. Una stazione spaziale orbita costantemente sopra le nostre teste e centinaia di migliaia di satelliti artificiali contribuiscono a rendere comode, controllate e piene di informazioni le nostra vite. Con cadenza regolare veicoli spaziali con equipaggio e navette cargo senza umani a bordo vanno e vengono dal nostro pianeta alla stazione orbitante internazionale. Quello che era fantascienza oggi è diventato realtà e quello che resta fantascienza diventerà probabilmente realtà nel giro di qualche decennio. Ma nella storia dell’umanità c’è un giorno preciso che separa l’immaginazione dalla concretezza e che trasformò le ipotesi in certezze. Quel 12 aprile del 1961 iniziò un cammino fatto di conquiste ma anche di tragedie, che costituisce la versione moderna dei viaggi di Cristoforo Colombo o, ancor prima, dei Vichinghi.

La corsa allo spazio

Dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, raggiunto un macabro equilibrio militare sulla Terra grazie alla presenza delle bombe atomiche, apparve chiaro che il controllo della spazio sarebbe potuto essere un vantaggio strategico molto importante. Sia gli Stati Uniti d’America che l’Unione Sovietica investirono nella ricerca anche con l’aiuto degli scienziati che precedentemente erano al servizio della Germania. Tutto passava attraverso i vettori che avrebbero potuto trasportare oggetti nello spazio e allo stesso tempo avere la gittata per colpire il paese nemico. Su questo tema gli scienziati sovietici arrivarono prima dei colleghi americani riuscendo a realizzare un missile balistico intercontinentale, il “Semërka”, progettato da colui che sarebbe stato il padre del programma spaziale sovietico, Sergej Korolëv. Il missile R-7 aveva una gittata di quasi novemila chilometri ed una precisione di circa cinque. Il primo test avvenne all’interno del territorio sovietico, quando dal Kazakistan gli scienziati riuscirono a colpire un bersaglio posizionato nella penisola della Kamčakta, nell’estremo oriente russo. A causa della segretezza dell’esperimento la cosa non colpì l’opinione pubblica fino a quando, il 4 ottobre del 1957, lo stesso missile portò in orbita il primo satellite artificiale della storia, lo Sputnik 1. Il piccolo satellite, poco più di mezzo metro di diametro per circa ottanta chilogrammi, trasmise un segnale radio per circa tre settimane e fu captato dai radioamatori di tutto il pianeta. Per il mondo prendere atto della nuova potenza spaziale e soprattutto militare sovietica fu un enorme shock. Gli Stati Uniti recuperarono il terreno perduto solo alcuni mesi dopo, ma restarono in scia ai sovietici fino al sorpasso avvenuto in occasione dello sbarco sulla Luna.

I satelliti Sputnik 1 e 2 al Museo della Cosmonautica di Mosca

Dopo il primo satellite artificiale le due nazioni concentrarono la ricerca nel riuscire a mandare un uomo nello spazio. Cani sovietici e scimmie americane furono le cavie che aprirono la strada ai risultati successivi. A bordo dello Sputnik 2, quando ancora il primo satellite a stelle e strisce non orbitava ancora attorno al pianeta, il primo cane partiva per un viaggio di sola andata nel cosmo. Lajka diventerà nota in occidente, ma la sua triste storia è meno conosciuta in Urss dove invece sono popolari Belka e Strelka, a loro volta poco conosciute fuori dal mondo comunista. Le due cagnette, a bordo dello Sputnik 5, furono assieme a topi e insetti i primi esseri viventi ad andare nello spazio e tornare sulla terra vive. Il passaggio successivo fu spedire per due volte nello spazio un manichino assieme ad un cane, in quello che sarebbe diventato il modello della capsula che sarebbe poi stata usata dagli uomini in carne ed ossa. Il cane sopravvisse e il manichino, paracadutato separatamente dal mezzo di trasporto, non ebbe alcun danno. Tutto era pronto per l’importante passo successivo.

Belka (sullo sfondo) e Strelka al Museo della Cosmonautica

La scelta di un simbolo

Il 9 marzo del 1934 nasceva in un villaggio tra Mosca e Smolensk colui che per primo sarebbe uscito dall’atmosfera terrestre. Terzo dei quattro figli di un falegname e una contadina impegnati nel lavoro in una fattoria collettiva. Come la maggioranza dei protagonisti della storia dell’Unione Sovietica Jurij Gagarin ebbe delle umili origini, cosa che giocò a suo favore al momento della scelta di colui che doveva aprire la strada all’esplorazione spaziale. Durante l’invasione tedesca del 1941 il villaggio e la casa dei Gagarin furono occupati dagli invasori. I fratelli più grandi furono deportati mentre Jurij e la sorella restarono con i genitori in una capanna vicino a casa. Solo dopo la fine della guerra Gagarin riuscì a completare gli studi e iniziare a lavorare in un’acciaieria. I buoni risultati scolastici gli permisero di riprendere gli studi in un istituto superiore e si trasferì a Saratov, dove si diplomò come metalmeccanico specializzato in macchine agricole. Proprio durante la permanenza nella città sul Volga iniziò ad interessarsi di volo. Alternando la scuola di aviazione con lavori sulle navi nel Volga riuscì a prendere il brevetto di volo per piccoli aerei. La passione proseguì e fu ammesso alla scuola di volo militare di Orenburg, dove passò dagli aerei da turismo ai temibili Mig. Il passaggio agli aerei militari inizialmente costituì un problema per Gagarin e considerata la sua piccola statura, 157 centimetri, era costretto ad utilizzare cuscini per avere una visuale migliore soprattutto in fase di atterraggio. Ad Orenburg sposò la moglie Valentina, venuta a mancare l’anno scorso.

Come pilota dell’aeronautica militare Gagarin prestò servizio in una base vicino al confine con la Norvegia. Nel 1959 si dichiarò interessato al programma spaziale sovietico, superò le visite mediche e venne selezionato nel gruppo di seicento aspiranti cosmonauti. Dopo le prime selezioni rimasero nel gruppo solo coloro che avevano tra i 25 e i 30 anni, altezza inferiore ai 170 centimetri peso al di sotto dei 72 chilogrammi. Seguirono test fisici e psicologici che ridussero a venti i candidati alle missioni Vostok. La preparazione fisica divenne ossessiva al punto che il futuro primo uomo a compiere una passeggiata spaziale, Aleksej Leonov, disse che prepararsi per le Olimpiadi sarebbe stato meno impegnativo. Oltre a Leonov facevano parte di questo gruppo molti altri personaggi destinati ad essere ricordati nella storia della cosmonautica. Si arrivò quindi alla scelta di sei uomini che cominciarono un’apposita preparazione a contatto con la Vostok. La lista dei sei non fu particolarmente fortunata, dato che ben due si infortunarono e vennero sostituiti da due dei restanti quattordici, che a loro volta erano diventati tredici per la morte di Valentin Bondarenko. I tre prescelti per la missione Vostok 1, titolare e due riserve, furono Jurij Gagarin, German Titov e Grigorij Neljubov. La scelta di Gagarin avvenne quattro giorni prima del 12 aprile e non solo per attitudine, ma anche per le sue origini proletarie e per il fatto che avesse anche lavorato prima di diventare aspirante cosmonauta. Titov diventerà il secondo uomo nello spazio e con i sui venticinque anni ancora oggi è quello più giovane. Drammatica la storia di Neljubov che, più volte riserva, non riuscì mai a volare nello spazio. Finirà suicida sotto un treno vicino a Vladivostok dopo essere stato espulso dal gruppo dei cosmonauti per intemperanze.

La capsula della navicella Vostok che ospitò Gagarin

Il volo

Alcuni dei gesti che fece Gagarin prima di salire a bordo della Vostok 1 hanno lasciato un segno nella storia e vengono ripetuti scaramanticamente ancora oggi. Tra i più curiosi c’è sicuramente il fatto che il pulmino che porta gli equipaggi nei pressi della rampa di lancio fa sempre una sosta imprevista nella quale i cosmonauti di sesso maschile urinano nelle ruote del veicolo. Tutto risale a quel 12 aprile quando Jurij pensò di fare pipì prima di salire a bordo della capsula spaziale. Lo stesso “Поехали!” (andiamo, partiamo) detto da Gagarin al momento del lancio è diventato un rituale non solo per i cosmonauti, ma per tutti coloro che sono chiamati a fare qualcosa di importante. Erano le 9.07 a Mosca quando dal cosmodromo di Bajkonur, nell’attuale Kazakistan, il missile intercontinentale R-7 iniziò uno dei voli più importanti della storia. La Vostok effettuò una sola orbita e l’intero viaggio durò poco meno di due ore. Seppure fossero state effettuate simulazioni di questo volo con manichini e cani, e quindi tutto avvenisse in modo automatizzato, Gagarin avrebbe potuto prendere i comandi della navicella in caso di bisogno. Allo stesso tempo a bordo della Vostok c’erano provviste per circa dieci giorni, cosicché se qualcosa fosse andato storto, in maniera naturale e dopo numerose orbite il veicolo spaziale sarebbe potuto ricadere sulla terra dopo una settimana e mezzo. La traiettoria dell’orbita permise a Gagarin di rimanere in contatto radio con il centro di controllo della missione grazie al fatto che in gran parte del viaggio il sovietico sorvolò la propria immensa nazione. Il rientro avvenne con qualche preoccupazione a causa delle difficoltà che la Vostok e il modulo orbitale ebbero nel separarsi. A circa settemila metri da terra il cosmonauta si eiettò e atterrò con il paracadute separatamente dalla capsula, a sua volta frenata dai paracadute. L’atterraggio avvenne qualche centinaio di chilometri ad ovest rispetto alle previsioni. Il luogo si trova poco a sud della città di Engels, non lontano dal fiume Volga, nell’oblast di Saratov. Sul sito di atterraggio ubicato alle coordinate 51.270682, 45.99727 c’è un monumento commemorativo.

La prima pagina de L’Unità di 60 anni fa

Il successo

Il ritorno sulla Terra corrispose anche ad un deciso cambio della vita della famiglia Gagarin. Jurij divenne un simbolo di successo scientifico, di coraggio umano e naturalmente anche delle conquiste che il sistema comunista sovietico garantiva al proprio popolo. Già poche ore dopo la storica missione del 12 aprile 1961 tutto il mondo imparò a conoscere il sorriso del primo cosmonauta della storia. Due giorni dopo Gagarin fu portato a Mosca dove venne accolto in aeroporto dal leader sovietico Nikita Chruščëv e dalla propria famiglia. Un corteo di auto, salutato per venti chilometri da migliaia di persone, si diresse sulla Piazza Rossa dove nella terrazza del Mausoleo di Lenin Gagarin fu insignito da Chruščëv del titolo di Eroe dell’Unione Sovietica e dell’Ordine di Lenin. Nelle settimane successive Jurij girò il mondo. Non mancarono conferimenti di nuovi riconoscimenti soprattutto dai governi delle nazioni socialiste alleate dell’Unione Sovietica, mentre in occidente, seppure senza medaglie, riceveva comunque un’accoglienza calorosa. Nel 1962 entrò a far parte del Soviet dell’Unione, uno dei due rami del parlamento sovietico per poi passare due anni dopo a far parte del Soviet delle Nazionalità, l’altro ramo. Gagarin non abbandonò mai l’idea di un nuovo viaggio nello spazio e fu selezionato come riserva del volo che causò il primo incidente mortale, quello di Vladimir Komarov a bordo della Soyuz 1. Assieme al sogno di tornare nello spazio Gagarin riprese anche l’attività di pilota di aerei militari e proprio mentre guidava un Mig-15 perse la vita assieme all’istruttore di volo Vladimir Serëgin. L’incidente avvenne nei pressi di Kiržač, ad est di Mosca, il 27 marzo 1968 e le cause sono state oggetto di numerose indagini che hanno riscontrato una perdita di controllo dell’aereo a causa di cattive condizioni atmosferiche o del possibile mancato scontro con un altro velivolo. La commozione fu enorme in tutto il Paese e le ceneri di Gagarin furono portate nella Necropoli del Cremlino assieme a quelle di Komarov e dei principali protagonisti della storia sovietica.

La lettera

Prima di decollare a bordo della Vostok 1 Gagarin, consapevole dei rischi della propria missione, scrisse una lettera d’addio alla propria moglie, da consegnare solo in caso di cattivo esito. Le autorità sovietiche decisero di farla avere a Valentina Gagarina dopo l’incidente mortale del 1968. Le parole erano anche in quel momento di calzante attualità.

«Salve, mie care ed amatissime Valečka, Lenočka e Galočka! Ho deciso di scrivervi qualche riga, per condividere con voi la gioia e la felicità che ho provato oggi. Oggi la commissione governativa ha deciso che sarò io il primo uomo ad andare nello spazio. Sapessi, cara Valjuša, come ne sono felice, e vorrei che anche voi lo foste insieme con me. Hanno affidato ad una persona comune come me un compito di così grande importanza per il nostro Paese: tracciare la prima strada nello spazio! Si può sognare qualcosa di più grande? Questo rappresenta una nuova era!

Devo partire tra un giorno. Durante questo periodo voi starete facendo le vostre cose di sempre. Ho un grosso fardello sulle spalle. Avrei voluto restare prima un po’ con voi, parlare un po’ con te, ma ahimè è tardi. Tuttavia, io vi sento sempre vicini, qui con me.

Ho piena fiducia nella tecnica: la navetta è ben collaudata, sicuramente non succederà nulla. Però capita a volte che l’uomo scivoli su una strada liscia e si rompa l’osso del collo. Può essere che anche nel mio caso possa accadermi qualcosa, ma io non credo che succederà. Se però dovesse accadere, vi chiedo, e soprattutto lo chiedo a te, Valjuša, di non farvi sopraffare dal dolore. Fa parte della vita, e nessuno può essere sicuro che domani non sarà investito per strada da una macchina. Prenditi cura delle nostre bambine, amale come le amo io. Educale in modo che non diventino delle scansafatiche o delle viziate, ma delle persone vere che non abbiano paura di affrontare i momenti duri della vita. Fai di loro delle persone degne di questo nuovo sistema sociale, il comunismo. In questo ti aiuterà lo Stato. Vivi la tua vita secondo coscienza, ed agisci come riterrai opportuno fare.

Non ti lascio alcun obbligo, e non ho il diritto di farlo. La lettera sta assumendo un tono un po’ troppo triste, quasi da lutto… ma no, dai, non andrà così. Spero che non vedrai mai questa lettera, e che mi vergognerò con me stesso per questo momento di debolezza passeggera. Ma se dovesse succedermi qualcosa, tu devi sapere tutto, fino alla fine.

Ho vissuto la mia vita onestamente, sono sempre stato sincero ed ho fatto del bene alle persone, anche se non è stato tanto. Una volta, da piccolo, lessi le parole di V. P. Čkalov: “Se devo esserci, devo essere il primo”. Ecco, cercherò di pensarla come lui, e lo farò fino alla fine. Valečka, voglio dedicare questo volo a tutte le persone che fanno parte di questo nuovo sistema sociale, il comunismo, a cui noi abbiamo già aderito, e voglio dedicarlo anche alla nostra grande Patria ed alla nostra scienza. Spero che tra qualche giorno saremo ancora insieme e saremo felici.

Valečka, non dimenticare i miei genitori; se ne avrai la possibilità, aiutali. Manda loro un grande saluto da parte mia. Che mi perdonino per il fatto che non sanno di tutto questo, non ho potuto farglielo sapere.

Be’, è tutto. Arrivederci, miei cari. Vi abbraccio forte forte e vi mando un bacio.

Un caro saluto.

Il vostro papà,

Jura»

10/04/1961

Gli altri traguardi nella conquista dello spazio

Due anni dopo Gagarin, Valentina Tereškova divenne la prima donna a volare nello spazio, dodicesima persona in assoluto, nel 1963. Il 1964 vide Komarov e altri due cosmonauti fare il primo viaggio con più persone a bordo di una navetta spaziale. L’anno dopo Aleksej Leonov fu il primo a fare una passeggiata spaziale e, come tristemente ricordato, nel 1967 Komarov fu il primo a morire durante il rientro da una missione spaziale. Sempre nel 1967 tre astronauti americani morirono prima della partenza dell’Apollo 1 a causa di un incendio durante la fase di test della navetta. L’incidente che portò alla scomparsa di Gagarin avvenne proprio nella difficile fase di riorganizzazione delle due agenzie spaziali dopo le tragedie della prima Soyuz e del primo Apollo. Nel luglio del 1969 gli americani arrivarono per primi sulla Luna e furono in grado di farvi atterrare sei missioni più altre che sorvolarono il satellite. Per quanto riguarda le sonde atterrate sui corpi celesti, il primato dell’arrivo sulla Luna, su Venere e su Marte è sempre ad appannaggio dei sovietici, mentre gli americani arrivarono sempre secondi ma con un maggior numero di missioni riuscite.

Bambini in gita al Museo della Cosmonautica

Gagarin oggi

Il primo volo nella spazio e la prematura scomparsa hanno contribuito a fare di Jurij Gagarin una persona molto amata in tutte le nazioni che hanno fatto parte dell’Unione Sovietica e del blocco orientale, dove ancora oggi statue, parchi, strade, piazze, stadi, scuole sono intitolate alla sua figura o ai cosmonauti. Il 12 aprile è la giornata dedicata alla cosmonautica e viene celebrata come un momento importante e in occasione delle ricorrenze decennali, come quella di quest’anno, non mancano mai emissioni di francobolli, programmi televisivi e mazzi di fiori sulle tombe dei primi cosmonauti. Per far comprendere la trasversalità storica, geografica e politica del personaggio basti pensare che la Coppa Continentale di Hockey su ghiaccio, un campionato che vede partecipare molti dei paesi ex sovietici, si chiama Coppa Gagarin e ritrae la sua immagine nella parte superiore del trofeo. Tra l’altro lo stesso cosmonauta prese parte al campionato di hockey nel ruolo di portiere. Fino a due anni fa Valentina Gagarina era in vita e continuava ad essere al centro dell’attenzione ogni 12 aprile. Pochi mesi prima della moglie di Jurij era venuto a mancare anche Aleksej Leonov, il primo uomo a passeggiare nello spazio. Viva, da poco ottantaquattrenne ed attiva in politica come deputata e membro del partito di governo, Valentina Tereškova è l’ultima superstite di una generazione di eroi.

Murales a tema in via dei Cosmonauti a Kazan’
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