Scipione Borghese e la Pechino-Parigi del 1907

Un incredibile viaggio che cambiò il modo di concepire spazi e distanze. Protagonisti tre italiani che, su un'auto altrettanto italiana, hanno fatto la storia

Borghese (a sinistra) e Barzini a fianco della loro Itala

Alcuni giorni fa il giornalista Roberto Chiodi fu uno dei pochi a ricordare il centocinquantesimo anniversario della nascita, l’11 febbraio del 1871, del principe Scipione Borghese. Viaggiatore, esploratore, avventuriero e perfino parlamentare del Regno d’Italia, ebbe la massima popolarità in occasione del raid automobilistico Pechino-Parigi nel 1907.

Attorno agli itinerari stradali tra Asia ed Europa è nata la mia amicizia con Roberto Chiodi e sua moglie Rita. Quando ad Andrea Gnaldi e al sottoscritto venne in mente di andare a Pechino e tornare con una vecchia Fiat Marea alimentata a gpl, Roberto e Rita furono i primi con cui parlammo. Loro avevano già vissuto esperienze simili con auto storiche proprio partecipando alle rievocazioni della prima mitica Pechino-Parigi. I loro consigli furono indispensabili per superare indenni il deserto senza strade della Mongolia. Forse le stesse dune e pietraie che centouno anni prima del nostro viaggio del 2008 Scipione Borghese, Ettore Guizzardi e Luigi Barzini percorsero a bordo della loro Itala.

La sfida

Il 31 gennaio 1907 il quotidiano francese Le Matin pubblicò questo annuncio che cambiò la storia dell’automobilismo e del viaggio:

«Quello che dobbiamo dimostrare oggi è che dal momento che l’uomo ha l’automobile, egli può fare qualunque cosa ed andare dovunque. C’è qualcuno che accetti di andare, nell’estate prossima, da Pechino a Parigi in automobile?»

Queste poche righe erano destinate a cambiare per sempre la concezione dell’uso dei mezzi di trasporto su ruote. Sembra che circa quaranta ardimentosi aderirono versando una cospicua caparra, ma di questi solo in cinque si sarebbero presentati a Pechino nel giugno dello stesso anno.

Il mattino del 18 marzo il giornalista Luigi Barzini venne chiamato con la massima urgenza dal proprio direttore. Il giornale in questione era il Corriere della Sera e il direttore era Luigi Albertini. Questi mostrò al Barzini alcune copie de Le Matin, in una delle quali era riportata una lettera del principe Scipione Borghese:

M’inscrivo alla vostra prova Pechino-Parigi con un’automobile Itala. Vi sarò riconoscente se vorrete farmi sapere al più presto ogni particolare perché possa regolarmi nella preparazione”.

Barzini conosceva per fama Scipione Borghese e i suoi viaggi avventurosi. Tra questi uno svolto ad inizio secolo quando via terra, via fiume e via ferrovia raggiunse la Cina passando da Persia, Asia centrale e gran parte della Ferrovia Transiberiana. Albertini chiese a Barzini di partire la sera stessa via nave per gli Stati Uniti e da lì spostarsi in Cina ad inizio giugno. Il raid sarebbe partito il giorno dieci dello stesso mese. Il Corriere della Sera si sarebbe occupato di contattare Borghese per permettere al proprio corrispondente di raccontare quel viaggio. Luigi Barzini si apprestava a fare non solo un viaggio da Cina a Francia, ma il giro del mondo.

La Itala a Pechino

I preparativi

Borghese e il fido autista Ettore Guizzardi erano già in Cina alla fine di maggio. Erano arrivati con un viaggio via nave di quasi due mesi. Il primo approfittò dei giorni di anticipo per esplorare l’inizio del percorso e valutare che tipo di difficoltà vi avrebbero incontrato. Il secondo si occupò della manutenzione del veicolo. Guizzardi era al servizio del principe fin da ragazzino a causa di un tragico incidente. Mentre si trovava a bordo di una locomotiva guidata dal padre, il treno deragliò nei pressi dell’abitazione di Borghese non lontano da Roma. Il padre morì ed Ettore rimase ferito. Il principe lo prese sotto la sua protezione e, valorizzando la passione di Ettore per i motori e la tecnologia, lo facilitò negli studi e lo fece diventare il fido autista e manutentore dei proprio veicoli. All’epoca del viaggio Guizzardi aveva ventisei anni, Borghese dieci di più e Barzini trentatré. Squadre di supporto approntarono rifornimenti di benzina e olio lungo il percorso verso la Mongolia partendo dalla Cina e dall’Europa lungo la ferrovia che attraversava la Russia. Era stato valutato che l’unico percorso possibile per delle auto sarebbe stato quello attraversando la Mongolia da sud a nord per poi proseguire lungo la ferrovia fino a Mosca. La Via della Seta presentava difficoltà altimetriche insuperabili con delle auto, mentre passare dalla Manciuria avrebbe voluto dire allungare notevolmente il tragitto.

La Cina imperiale era negli ultimi anni del proprio regno e guardava con sospetto tutto quello che arrivava dall’Europa. Anche i carri a combustibile, così erano chiamate le automobili, non venivano percepite positivamente perché rumorose e per il fatto che costituivano una invasione culturale. Anche questo evento destava preoccupazione economica e militare. In quegli anni veniva costruita la ferrovia che doveva collegare alla Transiberiana, e pensare ad alternative al treno poteva significare perdere i denari investiti sulla strada ferrata. Allo stesso tempo l’accanimento degli europei nel capire se ci si potesse muovere con veicoli tra i due continenti poteva essere il preludio di una possibile invasione futura.

Il governatore cinese della Mongolia nella Itala

Cinque veicoli e due idee diverse per affrontare l’avventura

Alla fine i cinque equipaggi che il dieci giugno furono pronti a prendere il via furono i seguenti:

Jean du Tallis era un giornalista de Le Matin, mentre l’italiano Edgardo Longoni era l’inviato de Il Secolo. Raramente si ricorda la presenza di questo quarto italiano che partecipò al viaggio.

Una delle due De Dion-Bouton

Sul tipo di veicolo adatto all’attraversata differirono le scuole di pensiero degli italiani e dei franco-olandesi. Questi ultimi ritennero più adatte delle auto leggere e poco potenti, mentre Borghese scelse un’auto molto pesante e anche potente. Allo stesso modo il team italiano pensò ad alcuni dettagli tecnici molto all’avanguardia: le quattro ruote erano di eguali dimensioni per permettere minori pezzi di ricambio; i parafango furono sostituiti da assi di legno utili per superare fango e sabbia; infine, l’auto si riusciva ad adattare ai binari ferroviari russi, non esattamente sopra le rotaie ma a cavallo di esse, cosa importantissima per superare i grandi fiumi siberiani usando i ponti della ferrovia (di contro il peso elevato della Italia avrebbe causato in alcuni casi lo sfondamento di ponti in legno). Il primo scontro tra privati per la fornitura di pneumatici vide Pirelli occuparsi dell’auto italiana e Dunlop delle auto francesi e olandese.

La traversata di un fiume da parte dell’equipaggio italiano

Il viaggio

Il 10 giugno prese il via il viaggio. Tecnicamente non era una gara a chi sarebbe arrivato primo a Parigi, ma le strategie elaborate in precedenza e la volontà di dimostrare quale veicolo fosse il più adatto trasformarono il tutto in una corsa contro il tempo. Oltre alla scelta della migliore auto, il trio italiano aveva in sé tutte le caratteristiche per un’impresa sportiva e tecnica che sarebbe stata celebrata anche ad oltre un secolo di distanza. Borghese aveva risorse economiche a disposizione e attraverso i suoi contatti con la borghesia russa riuscì a facilitare molti aspetti che potevano risultare problematici. Inoltre era un metodico organizzatore e aveva una memoria di ferro. I suoi precedenti viaggi in Russia e Cina furono molto importanti per preparare la Pechino-Parigi. Guizzardi era un esperto autista e soprattutto meccanico e conosceva perfettamente l’auto che gli era stata affidata. Questo si rivelò decisivo in più occasioni per riparare il veicolo dopo incidenti di percorso. Barzini divenne il primo corrispondente di viaggio in tempo quasi reale. Grazie al telegrafo fu in grado di trasmettere molto velocemente i resoconti delle giornate di viaggio, permettendo ad un vasto pubblico di seguire l’impresa nelle pagine del Corriere della Sera e dell’inglese Daily Telegraph.

La prima parte di viaggio fu anche la più difficile per la mancanza di strade. Già per raggiungere e superare la Grande Muraglia non esisteva nulla al di fuori di angusti sentieri percorsi da cammelli. Tutti e cinque gli equipaggi dovettero ricorrere ad aiuti esterni. L’Itala fu in parte smontata e alleggerita di cinquecento chili in modo da poter essere meglio sollevata, spinta in salita e trattenuta in discesa. Il peso in eccesso fu trasportato in casse per essere ricollocato sull’auto una volta conclusa la parte in montagna. Furono necessari trentacinque uomini, un asino, un mulo ed un cavallo di un’impresa di trasporto privata, oltre a cinque marinai italiani in servizio all’ambasciata italiana di Pechino. Questo piccolo esercito si appostò fuori città per aspettare l’Itala. Anche gli altri quattro veicoli dovettero ricorrere a procedure simili.

La Itala in una palude cinese

In Mongolia la situazione era ancora peggiore. Le strade nella parte meridionale del deserto del Gobi sarebbero arrivate sono nel XXI secolo. Nel 2008, quando percorremmo in senso inverso lo stesso viaggio dell’Itala, il tratto tra la città mongola di Choir e il confine cinese, circa 400 km, era ancora privo di qualsiasi cosa somigliasse ad una strada. In Russia la logistica decisamente migliorò e non solo per la presenza, pur saltuaria, di strade, ma soprattutto grazie alla ferrovia che permetteva rifornimenti regolari all’auto. La stessa strada ferrata si rivelò spesso una possibile alternativa laddove c’erano da superare corsi d’acqua. L’Itala riusciva a salire sui binari e poi a percorrere lunghe tratte di ferrovia appoggiando le ruote di un lato dentro la ferrovia e le altre due ruote appena fuori. Il rischio era quello di cadere dai ponti, cosa fortunatamente mai accaduta. Al contrario, come si accennava, più di una volta l’equipaggio italiano ha causato la distruzione di ponti stradali in legno, con il conseguente faticoso recupero e la riparazione dell’auto. Nei tratti ferroviari percorsi a bordo dell’Itala viaggiava anche un addetto del servizio ferroviario e l’auto italiana veniva segnalata negli orari ferroviari russi come se fosse un normale treno. Quando c’era la possibilità i tre italiani venivano ospitati dalla nobiltà locale interessata a conoscere Borghese, altre volte dormirono in locande o situazioni improvvisate. Capitava anche che in alcuni remoti luoghi venissero presi a sassate per la paura o maledetti dagli sciamani. A distanza di oltre cento anni abbiamo avuto modo di verificare come alcune descrizioni dei luoghi siano ancora attuali, sia in città che in campagna. Sono andato di persona a cercare quei posti nei dintorni della città di Kazan’, in Tatarstan, il luogo dove Barzini raccontò di aver trovato la prima strada costruita come quelle conosciute in Europa.

Le operazioni di recupero dell’Itala dopo il crollo di un ponte

Il trio italiano arrivò a Mosca con un cospicuo vantaggio sugli immediati inseguitori, tanto che l’equipaggio si permise il lusso di allungare di mille chilometri il percorso andando ad un importante ballo a San Pietroburgo. Da Mosca in poi numerosi appassionati aspettavano il passaggio dell’Itala sapendo dai mezzi di comunicazione il giorno approssimativo del transito. L’arrivo a Parigi avvenne il 10 agosto, esattamente due mesi dopo la partenza da Pechino e un consumo medio di un litro di carburante ogni tre chilometri. Il premio consistette in una magnum di Champagne e un’enorme visibilità per i protagonisti umani e meccanici dell’impresa compiuta. Le altre auto arrivarono venti giorni più tardi ad esclusione del triciclo Contal, disperso nel deserto della Mongolia, mentre Auguste Pons e il meccanico Octave Foucault si salvarono la vita grazie all’ospitalità di un gruppo di nomadi. La Spyker di Godard arrivò seconda mentre le due auto francesi terza e quarta.

Ragazze in un villaggio siberiano

Il libro e il destino dei protagonisti

Luigi Barzini raccolse tutte le sue memorie e un centinaio di fotografie nel fortunato libro La metà del mondo vista da un automobile. Da Pechino a Parigi in 60 giorni, edito nel 1908 da Hoepli e subito tradotto in undici lingue straniere. Ebbe sei ristampe tra il 1908 e il 1929. Tuttora oggi, a diritti di autore estinti, il libro conosce una discreta fortuna soprattutto tra gli amanti della letteratura di viaggio essendo un vero e proprio manuale etnogeografico. La descrizione dei luoghi e dei popoli incontrati portò molti a scoprire culture e tradizioni fino ad allora poco conosciute nel mondo occidentale. Alcuni dei luoghi descritti da Barzini sono rimasti esattamente uguali a quelli raccontati dall’autore. All’interno delle sei edizioni originali del libro e delle ristampe anastatiche c’è anche una carta geografica pieghevole che indica l’esatto itinerario e tutti luoghi di sosta con relativa data. Sempre nella mappa sono indicati tutti i principali imprevisti capitati agli avventurieri.

Barzini, che già aveva avuto un passato da corrispondente all’estero, divenne l’inviato di punta del Corriere della Sera negli Stati Uniti dal 1923 a 1931. Prima seguì importanti eventi come il terremoto di Messina, la rivoluzione messicana, la guerra tra ottomani e bulgari, e fu inviato in molti fronti caldi della prima guerra mondiale. Tornato in Italia dopo l’esperienza americana divenne il direttore de Il Mattino di Napoli. Nel 1934 fu nominato Senatore del Regno e tornò anche in Russia, nel frattempo diventata Unione Sovietica, scrivendo un reportage e poi libro dal titolo L’impero del lavoro forzato, che criticava il sistema comunista. Non fu sempre in linea con il fascismo, ma nei due anni della Repubblica Sociale Italiana accettò di diventare direttore dell’Agenzia Stefani, la voce del regime che sarebbe diventata l’Ansa nel dopoguerra. Accettò questo incarico per salvare, senza successo, dalla deportazione fascista e poi nazista il suo terzogenito. Nel dopoguerra perse il titolo di Senatore e la propria pensione, e a causa della sua collaborazione con il fascismo venne processato e gli fu impedito di lavorare. Morì indigente nel 1947 a settantatré anni.

Scipione Borghese

Scipione Borghese continuò a viaggiare e raccontare la sua impresa del 1907. Prese parte alla guerra di conquista della Libia e alla prima guerra mondiale. Morì nel 1927 a cinquantasei anni, dopo aver visto tre anni prima sua moglie affogare nel Lago di Garda. Poco prima di morire si sposò una seconda volta. Junio Valerio Borghese, protagonista del mancato golpe nel 1970, era suo nipote, figlio del fratello Livio. Ettore Guizzardi continuò a lavorare per la famiglia Borghese e partecipò come autista alla prima guerra mondiale e successivamente col grado di capitano anche alla seconda. Morì nel 1963 all’età di ottantadue anni. L’auto Itala originale della Pechino-Parigi è ospitata al Museo dell’Automobile di Torino ed è ancora funzionante. La casa automobilistica Itala cessò la propria attività nel 1934, un anno dopo aver donato lo storico esemplare all’istituzione che fece poi nascere il museo torinese.

Il viaggio del centenario e la Pechino-Parigi per auto storiche

In occasione del secolo dallo storico viaggio del 1907, il team di Overland organizzò una ripetizione dell’avventura con la partecipazione dell’auto originale. A partire dal 1997, più volte, seppure con itinerari diversi da quello originale, sono stati organizzati rally per auto storiche da Pechino a Parigi. Roberto e Rita Chiodi e altri temerari piloti e copiloti italiani hanno preso parte parte ad alcune di queste edizioni, svolte nel 1997, 2007, 2010, 2013, 2016 e 2019. L’itinerario originale, seppure al contrario, fu percorso anche dalla nostra Marea nel 2008. A Kirov, in Russia, c’è un monumento dedicato all’Itala che prese parte all’evento del 1907.

Tutte le immagini, tranne quella della De Dion-Bouton, sono tratte dal citato libro di Barzini.

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