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CasermArcheologica: in pausa il contenitore, ma non il contenuto

Il tempo sembra essere sospeso, ma i luoghi non cessano di esistere.

di Ilaria Pernici
01/04/2020
in Cultura
Lettura: 5 min.
CasermArcheologica: in pausa il contenitore, ma non il contenuto

“Quand le temps s’arrête, il devient lieu”: quando il tempo si ferma, diviene luogo, ha affermato Chawki Abdelamir, poeta, giornalista ed ex diplomatico nato a Nassiriya in Iraq, ovvero uno degli scenari di guerra più devastanti degli ultimi decenni. Ed è proprio a una guerra che viene spesso paragonato lo scenario che l’Italia, insieme ad altre numerose nazioni del mondo, sta affrontando oggi con dolore e con coraggio. Ben diverse sono le dinamiche, eppure ci troviamo certamente nel bel mezzo di un’emergenza nazionale, i contatti con l’esterno sono ridotti al minimo e le vite si svolgono in prevalenza all’interno delle proprie abitazioni: il tempo sembra essere sospeso, ma i luoghi non cessano di esistere! Questo avviene perché i luoghi non hanno solo un’anima propria, ma anche una tenuta in vita da chi, nell’anima di questi luoghi, crede: in ogni momento, in ogni contesto e in ogni scenario possibile.

Proprio come accade per CasermArcheologica, Luogo di Utopie Possibili, una realtà aperta e intelligente che ormai da qualche anno è entrata a far parte di quel necessario magma incandescente che anima la vita culturale della Valtiberina. Come può un luogo tale restare vivo e far fronte ad un momento tanto aspro e fuori dall’ordinario? L’abbiamo chiesto a Ilaria Margutti, socio fondatore e anima di ferro del Luogo insieme a Laura Caruso e agli altri componenti del team, che più volte parla di lavoro invisibile: una «diversa gestione del quotidiano» per misurarsi con questa situazione «unica e straordinaria» al fine di superarla nel migliore dei modi possibile. «Dovremmo trovare il modo di alleggerirci di quello che fin ora eravamo abituati a vivere, senza riempire il tempo a tutti i costi, magari passarlo a leggere, scrivere o anche non fare niente se ci si può permettere! Dato che siamo in una situazione così straordinaria», afferma Ilaria, «dovremmo poterla vivere proprio nella sua straordinarietà e non cercare di farla essere uguale all’ordinario: è importante vivere questo momento anche nel suo lato negativo… non uscire è uno stress e una costrizione dolorosa, ma è una forzatura anche il voler per forza mantenere la vita com’era prima, una forzatura che ci potrebbe impedire di avviare il cambiamento che tutti si auspicano. Siamo soli, dobbiamo pensare, ma non dobbiamo mantenere le cose com’erano!».

Non è certo semplice affrontare la solitudine e la lontananza dalla realtà fisica per come eravamo abituati a viverla, dandola forse a volte un po’ per scontata, ma possiamo approfittare e lavorare per cambiare le cose nutrendo quella parte di anima più concreta e razionale che, nel caso di CasermArcheologica, si poggia anche su una rete di rapporti con enti e istituzioni che ne permettono il funzionamento. Quel lavoro invisibile che in questo triste momento può essere svolto si compone infatti anche di un dialogo con le amministrazioni «per poter costruire una realtà futura, una nuova comunità, un dialogo che ci permetta di metterle al corrente delle esigenze e di cosa accade in un territorio come il nostro, ma scoprire allo stesso tempo che esistono in Italia realtà come Caserma, entrare in contatto con esse e costruire una rete». Ilaria ci porta un esempio concreto: «dopo un dialogo con la Regione Toscana, dopo un anno e mezzo di incontri e mappature delle realtà toscane che come noi lavorano sulla rigenerazione urbana, è stato istituito un bando ad esse dedicato: al di là dell’esito e del valore economico stesso è comunque una vittoria, perché dimostrazione di una presenza continua con la regione», che si dimostra a sua volta necessariamente interessata a capire il funzionamento di queste realtà esistenti e può quindi lavorare per finanziarle e permetterne il proseguimento.

Tutto questo gioco in cui si alternano e convivono il visibile e l’invisibile viene paragonato a un iceberg, dove le numerose trame che compongono questa rete vanno a formare un grande, immenso ghiacciaio che sta sotto e regge, permettendone l’esistenza, la punta: forse più piccola, ma necessaria e preziosa. «Siamo una comunità che raduna persone… allo stesso tempo se c’è una pausa non dobbiamo per forza tenerci attivi con qualsiasi modo di visibilità: Caserma è un luogo e quindi esiste, è uno spazio che c’è e non vuole scomparire e quando riaprirà sarà come prima. Continueremo a fare quello che facevamo e anzi di più, perché abbiamo continuato a lavorare dietro le scrivanie!».

Ma non solo lavoro istituzionale: essendo insegnante di Storia dell’Arte presso il Liceo Città di Piero, la Prof.ssa Margutti chiede ai suoi alunni, da sempre coinvolti all’interno di progetti legati alla Caserma, una testimonianza del momento, un racconto delle loro «predisposizioni, affetti, interessi» in quanto studenti e in quanto persone che stanno costruendo il loro essere, al fine di stimolare un pensiero che vada ad arricchire quella struttura umana che ci rende uomini e allo stesso tempo creare una sorta di archivio che, chissà, potrà far parte di un futuro atto artistico da esibire all’interno del luogo Caserma.

Ilaria ricorda infine un momento molto difficile per Sansepolcro e per diverse altre realtà valtiberine: quando il 5 marzo del 2015 un terribile vento si abbatté sulle cittadine creando gravi disagi, economici ed emotivi. «Stavo preparando il catalogo della mostra “Idrophilia” e quando il 5 marzo ci fu l’ondata di vento che buttò giù gli alberi mi trovavo a scrivere il testo: ora mi dico che da quel momento c’è stata una caduta e una resurrezione del progetto. Mi sembra di rivivere quel momento! La fine di un periodo e l’inizio di un altro. Forse, a volte, queste situazioni di emergenza, di paura, di catastrofe, portano a una rinascita nemmeno immaginata… e penso quindi anche alla Resurrezione: ancora, appiglio, stampella che nessuno ci potrà mai togliere dal cuore!».

Impossibile, di fatti, non pensare a quel gioiello pittorico pierfrancescano gelosamente custodito al Museo Civico di Sansepolcro che inneggia alla speranza, che incoraggia a non perdersi d’animo anche quando tutto sembra essere senza via d’uscita, quando la vita stessa sembra venir meno: mentre alcuni ignari cittadini giacciono semi addormentati ai piedi del sepolcro, il Cristo adopera la sua Resurrezione. Così noi, in questo momento storico che ha dell’incredibile, possiamo in parte prendere esempio da quelle guardie e dalle parole di chi, come Ilaria, dell’Arte è guardiano: saper vivere questo tempo fermo, riuscire ad attendere senza lasciarci sopraffare da un apparente stallo generale e, in questa attesa, portare avanti ognuno nel suo piccolo quel lavoro invisibile che un giorno, speriamo quanto più possibile vicino, mostrerà i suoi frutti visibili e fruibili.

Tags: casermarcheologicaculturaSansepolcro
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