Una Vespa ai confini del mondo

Fabio Cofferati ha attraversato l'Eurasia su due ruote e solo la burocrazia legata alla pandemia lo ha costretto a fermarsi alle porte del Giappone. L'intervista di TeverePost al termine di quella che resta una grandissima impresa

A Šiauliai, il Lituania

Domani, 12 agosto, Fabio Cofferati rientrerà in Italia. Esattamente due mesi dopo la partenza da Milano e quattro giorni dopo la fine dei Giochi olimpici, a bordo di un comodo aereo proveniente dalla Siberia. Questo volo di ritorno Cofferati se lo è conquistato sul campo visto che all’Oceano Pacifico c’è arrivato a bordo di una Vespa del 1963, come quella che portò Roberto Patrignani a Tokyo in occasione delle Olimpiadi del 1964. L’impresa del vespista emiliano è destinata a rimanere nella storia dei viaggi e non solo di quelli su due ruote. TeverePost ha avuto il piacere di intervistarlo poco prima del suo rientro in Italia (qui invece l’intervista realizzata ad aprile durante i preparativi).

Com’è andato il viaggio?

Bene. Mi sono stupito di non avere avuto seri problemi meccanici, di salute, incidenti e tutto sommato anche il meteo è stato ok. Il buon esito è stato anche aiutato, almeno nella seconda parte, dai miei compagni di viaggio, uno dei quali mi sta intervistando. La riuscita è frutto anche della preparazione puntigliosa avvenuta prima della partenza.

Com’è andata con le frontiere?

Sono partito senza visti, tamponi o vaccinazioni sperando che la situazione migliorasse strada facendo. Più andavo avanti e più mi rendevo conto che non sarei nemmeno riuscito ad entrare in Russia. A Praga sono stato anche respinto da più di un hotel perché non avevo quello che oggi sarebbe il green pass. Arrivato nelle Repubbliche baltiche la situazione era ancora in stallo quando ecco il colpo di scena: gli amici della Milano-Cortina-Tokyo, anche loro alle prese con difficoltà burocratiche, mi prospettano l’idea di entrare in Russia con il “Fan Id” che però poteva farmi soggiornare solo fino al 12 luglio. Il Fan Id è un documento speciale riservato ai tifosi che vogliono seguire le partite del Campionato europeo di calcio giocate in Russia. Avere un biglietto permette di entrare nel Paese anche senza visto e anche in tempo di pandemia. Domenico ne aveva uno in più ed è bastato sostituire le generalità per mettersi in tasca un lasciapassare per Spagna-Svizzera, che naturalmente non sarei andato a vedere. L’ingresso in Russia si rivelerà fondamentale soprattutto per la mia Vespa, tenuto conto dei fatti inaspettati che seguiranno. Ero consapevole che entro il 12 luglio non sarei potuto arrivare sul Pacifico, ma serviva guadagnare tempo per sperare in un nuovo colpo di scena che puntualmente arriva. Ad inizio luglio il governo russo inserisce l’Italia nella lista dei Paesi per cui è possibile rilasciare il visto turistico, così sono posso tornare in Italia dopo aver lasciato la Vespa a Kazan’, fare un nuovo visto e quindi riprendere il viaggio dal Tatarstan con un visto di un mese in tasca. Se la Vespa non fosse entrata con il Fan Id non sarebbe potuta entrare con il visto turistico. Questo, infatti, è valido solo per voli aerei diretti tra Italia e Russia. Uno solo dei due colpi di fortuna non mi avrebbero permesso di proseguire la mia avventura.

La Piazza Rossa di Mosca

E la frontiera fra Russia e Giappone?

Una volta avuta la certezza di poter arrivare alle porte del Giappone ho continuato a lavorare per cercare di superare, attraverso i miei contatti, le difficoltà per ottenere un visto giapponese. Nonostante abbia messo in piedi contratti di lavoro, inviti ufficiali, ogni tipo di richiesta non sono riuscito ad arrivare a nessun risultato. Arrivati nell’estremo oriente russo ho scelto di puntare al luogo russo più vicino alle coste giapponesi, l’isola di Sachalin, per un estremo tentativo presso il consolato giapponese dell’isola russa.

Cosa pensavi nelle lunghe ore al “manubrio”?

Spaziavo su cose materiali come quando avrei dovuto rifornire, ascoltavo i rumori del motore, ma viaggiavo pure con la fantasia. Pensavo a casa, alle emozioni che ogni momento mi trasmetteva la strada. Bei panorami mi davano impressioni positive, le buche o gli incidenti stradali incontrati negative. Pensavo se fossi rimasto a piedi in alcuni luoghi scarsamente abitati come avrei potuto venirne fuori.

Soccorso a un velivolo appena precipitato nei pressi di Novoburejskij, nell’Oblast’ dell’Amur

Non essere arrivato in Giappone ha tolto qualcosa al viaggio?

Sì, ha tolto la gioia stessa di arrivare in Giappone e la condivisione con i vespisti giapponesi che mi stavano aspettando. Se parlo intimamente mi sento comunque appagato dalla mia avventura. Ho fatto tutto quello che era possibile per arrivare lì e non ho alcun rimpianto.

Cosa hai provato nella spiaggia a sud di Sachalin, a pochi chilometri dal Giappone, dove è finito il tuo viaggio?

Gioia e amarezza. Non tanto per non essere arrivato in Giappone, ma come diceva Giorgio Bettinelli perché la dimensione del viaggio era finita. Il ritorno non è come l’andata, con la fame di curiosità e di vedere cose nuove. Gioia per essere arrivato in fondo fin quasi dove mi ero prefissato. Riavvolgendo il nastro del viaggio non mi sembrava vero di aver percorso tutta quella strada.

Sulle coste dell’isola di Sachalin

Al tuo primo viaggio in Russia sei uno dei pochi che l’ha attraversata da parte a parte. La Russia è come si racconta nei media italiani?

Assolutamente no. In Italia si tende molto a stereotipare la Russia. Tanti pensano che sia rimasta ferma ai tempi dell’Unione Sovietica. Innegabile che sia un Paese grande e pieno di contrasti, di conseguenza ho trovato situazioni di innovazione tecnologica superiore all’Italia e allo stesso tempo scenari di arretratezza e povertà che mi hanno lasciato senza parole. Ho percepito un Paese che sta crescendo rapidamente cercando di colmare le differenze che ci sono tra le realtà al proprio interno. Le persone rispetto a quello che si pensa in Italia sono molto socievoli. Vinta la diffidenza iniziale ho trovato persone aperte, generose e sempre pronte ad aiutarmi. Gente tranquilla dedita al lavoro. Raramente ho visto persone con le mani in mano. Il mio miglior biglietto da visita era la Vespa. Mi vedevano arrivare e suscitavo curiosità, così tutti erano pronti ad aiutarmi. Forse la mia Vespa colorata ha rotto la monotonia di qualche giornata siberiana per la gente che mi incontrava.

Con un operaio tra Lidoga e Vanino, nel territorio di Chabarovsk

Quali sono state le sensazioni positive che hai provato?

La vicinanza della gente. Sia alla partenza che durante il viaggio, tante persone mi hanno preso per mano e rincuorato. Altri lo hanno fatto sui social. Una cosa a cui non ti puoi sottrarre è la multimedialità. Anche lontanissimo da casa, hai modo di comunicare con chiunque. Il viaggio vecchio stile, come lo intendo io, oggi è difficile da ripetere. Il rovescio della medaglia è che non resta un’esperienza personale, ma un’emozione da condividere con tanta gente.

Hai avuto paura durante il viaggio?

Si, le paure sono state tante. Prima di partire le paure erano legate alla preparazione del mezzo, alla mia preparazione fisica e mentale, alla pianificazione del viaggio stesso. Quando è scoppiato il Covid ho dovuto rimandarlo, con la prospettiva di abortirlo definitivamente. Paura di andare incontro a qualcosa di più grande di me, al quale non ero pronto, perché per un viaggio così non si è mai pronti. Ed in corso d’opera, naturalmente, le paure di fare incidenti o addirittura non tornare, perché sulla strada può succedere di tutto. Con calma e dedizione mi sono saputo districare bene in ogni situazione.

Cosa consigli a chi vuole intraprendere un viaggio del genere?

Intanto consiglio di farlo e non rinunciare ad un sogno. Quindi di informarsi bene sugli aspetti burocratici che cambiano spesso. Prendere dimestichezza con la lingua dato che l’inglese è quasi assente e spesso i cartelli stradali sono solo in cirillico. Capire bene il percorso da fare in modo da avere cognizione delle difficoltà come non trovare rifornimenti, cibo o un letto per centinaia di chilometri. Se uno non è mai uscito dall’Europa ci vuole una certa elasticità ed essere pronto a gestire situazioni imprevedibili che possono crearsi durante un viaggio come questo.

Sul passo Spluga al confine tra Italia e Svizzera

Lo rifaresti?

Sì, lo rifarei. Probabilmente perché questo Paese è così grande che ogni volta che ci entri ne vedi una minima parte. C’è il mal d’Africa e anche il mal di Russia. Guardando la cartina della Russia viene da domandarsi come si vive a Magadan, o ai confini con la Mongolia, in Caucaso o nei tantissimi luoghi presenti in questo Paese.

Scriverai un libro?

Sì, ci proverò. Racconterò anche come è nato il viaggio e cercherò di dare il maggior numero di informazioni per chi vorrà fare un viaggio simile. Metterò in risalto i sentimenti provati durante il cammino come fece Patrignani nel suo libro dopo il viaggio del ’64.

Come sarà tornare alla vita “normale”?

Uscire dalla dimensione del viaggio è complicato perché inizia prima di partire e di fatto non finisce mai. Materialmente il viaggio è finito e sto tornando a casa ma resterà come una cicatrice positiva nella mia memoria per sempre.

Nel 2021 ha ancora senso l’esistenza di viaggiatori come te?

Assolutamente sì, in un mondo che va sempre di più verso l’omologazione, rompere gli schemi è l’ultimo baluardo che hanno ancora le persone per sognare.

I numeri della Milano-Tokyo di Fabio Cofferati

I chilometri percorsi sono stati circa 15.000 per un consumo medio di 30 km per ogni litro di benzina. I litri d’olio aggiunti alla benzina sono stati dieci. Le gomme consumate due. Ogni giorno in viaggio venivano percorsi circa 500 chilometri con una massima distanza percorsa di 780 restando in Vespa circa dodici ore. Quotidianamente dalle otto alle dieci ore di media sono state trascorse in viaggio.

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