L’Islanda ai tempi del Covid

Prosegue la rubrica “Oltre il Tevere” in versione guida di viaggio delle località che ospitano il Campionato FIA per auto ad energie alternative. Ecco la quarta tappa

La cascata Skógafoss

La nostra assenza dalla quarta gara del campionato FIA dedicato alle energie alternative non giustifica la rinuncia a raccontare i luoghi dove si svolge la gara più veloce e divertente dell’intero campionato. Useremo le positive esperienze del recente passato per parlare di quella parte di isola che ha visto più volte i veicoli ad energie pulite solcare le sue strade. Una delle prove speciali percorse in passato lambisce il neonato vulcano non lontano dall’aeroporto più importante dell’isola. Non poter essere lì a causa delle normative di ingresso per l’emergenza Covid ci ha impedito di fare visita alla colata lavica che in questi ultimi mesi ha attirato un numero importante di turisti. Tra l’altro, a causa della crisi economica legata alla pandemia, sia nel 2020 che in questa estate i prezzi per visitare l’isola sono molto più accessibili del solito.

L’Islanda tra storia e geografia

Nonostante sia grande circa un terzo dell’Italia, l’intera isola islandese ospita appena 370.000 abitanti, più o meno come il comune di Firenze. Nella sola capitale Reykjavik vive circa la metà dell’intera popolazione. È impressionante pensare che Malta ha più abitanti dell’Islanda nonostante sia come dimensione oltre trecento volte più piccola. Naturalmente la colonizzazione dell’isola mediterranea ebbe una storia molto più semplice di quella avuta da quella nordica. La posizione dell’Islanda a cavallo tra America ed Europa non era considerata strategica nell’antichità, anzi a lungo non era affatto conosciuta. Difficilmente l’uomo si avventurava nei mari del nord, e se lo faceva questo avveniva a piccoli passi di terra in terra. Con ogni probabilità proprio così fu scoperta per la prima volta dai monaci irlandesi che già frequentavano le isole Far Oer quattrocento chilometri più a sud. Non è chiaro se i religiosi furono davvero i primi a raggiungere quest’area, e a confondere le idee si susseguirono nel XX secolo anche degli strani ritrovamenti di monete di epoca romana. Nessuna fonte latina racconta che i soldati dell’impero fossero arrivati fino all’isola vulcanica e gli storici prediligono l’ipotesi che le monete romane siano frutto del commercio dei vichinghi o al massimo che una nave romana possa essersi persa a nord delle isole britanniche. Per un certo periodo i coloni si autoamministrarono con una sorta di democrazia diretta riunendosi annualmente a Þingvellir dove fu fondato l’Alþing, uno dei primi parlamenti del mondo.

Reykjavik

Successivamente il primo regno che affermò la propria dominazione sull’Islanda fu quello norvegese. La presenza degli scandinavi fu accettata per le difficoltà che la nuova popolazione aveva nel contenere le scorribande di pirati o eserciti stranieri. Nello stesso periodo l’isola godette di una certa prosperità nonostante le difficoltà ambientali e di approvvigionamento alimentare. Una serie di eruzioni nel corso del XIV secolo accompagnate dai problemi di rifornimento portarono allo spopolamento dell’isola e ad una forte carestia. Nel frattempo, approfittando della debolezza della Norvegia, la Danimarca prese il controllo delle isole del nord che di fatto ha poi mantenuto nei secoli se si considera che ancora la corona danese regna su Groenlandia e Fær Øer. Il XVIII secolo fu un altro periodo difficile dovuto a nuove eruzioni, terremoti, diminuzione delle temperature a causa della cosiddetta “piccola era glaciale” e conseguenti carestie. Si narra che in alcuni anni il mare attorno all’isola si congelò completamente rendendo impossibile avvicinarsi alla terra. Ci volle testardaggine e determinazione perché la popolazione continuasse a presidiare l’isola e va riconosciuto alla Danimarca un ruolo fondamentale nel cercare di migliorare la situazione alla popolazione nel periodo successivo. Contemporaneamente crebbe la voglia di autonomia dell’Islanda al punto che amministrativamente durante la seconda guerra mondiale, quando la Germania nazista invase la Danimarca, di fatto si autogovernò. Contemporaneamente la Gran Bretagna occupò l’isola con lo scopo di prevenire una possibile invasione tedesca, e nel 1941 gli Stati Uniti prendono il posto dei britannici. Nessuna delle due occupazioni trovò il favore della popolazione locale alla quale fu comunque permesso di autogovernarsi al punto che nel 1944 Reykjavik proclamò la propria indipendenza dalla Danimarca che continuava ad essere sotto occupazione nazista. Dopo la fine della guerra gli americani rimasero con una propria base nei pressi dell’aeroporto di Keflavik fino al 2006, quando furono invitati a lasciare l’area al governo locale. Formalmente l’Islanda fa parte della Nato seppure senza avere un esercito e non prendendo parte a nessuna attività dell’Alleanza Atlantica.

La “casa bianca” di Reykjavik (ne avevamo parlato qui)

Non solo vulcani

Tutti coloro che hanno messo piede in Islanda restano sorpresi dal costo della vita molto elevato. Il benessere è figlio di politiche economiche e sociali simili a quelle dei paesi scandinavi con la differenza che in passato le banche islandesi si indebitarono enormemente per poi essere nazionalizzate e poi alcune lasciate fallire in conseguenza di una crisi economica senza precedenti. Infatti tra il 2008 e il 2011 la Corona islandese ebbe un importante crollo e a seguito di proteste e un conseguente referendum di fatto l’Islanda andò in bancarotta e pagò solo parte dei propri debiti. Ne risentirono in particolare alcune banche britanniche e la comunità internazionale chiuse più di un occhio in questa situazione data l’esiguità della popolazione dell’isola. La Grecia non ebbe la stessa fortuna qualche anno dopo. Pesca e turismo sono i due settori economici più importanti dell’Islanda. La prima è colonna portante della sopravvivenza alimentare ed economica della popolazione ormai da secoli. Il turismo è arrivato molto dopo e ha trasformato l’isola in un paese di servizi. Se mettiamo a confronto il 2010 e il 2019, ultimo anno prima dell’inizio della pandemia, sono arrivati all’aeroporto di Reykjavik rispettivamente mezzo milione di turisti e successivamente oltre due milioni. L’Islanda ogni anno riceve un numero di turisti pari a sei volte la propria popolazione. Chiunque visiti l’isola non può fare a meno di spendere cifre importanti e quindi contribuire all’economica locale. I vulcani e i fenomeni geotermici sono con ogni probabilità il primo biglietto da visita che questa realtà presenta ai turisti, ma in realtà sono davvero molte le attrattive che offre al visitatore. Rimanendo su quello che offre la natura oltre alle colate laviche, ai geyser o alle acque termali un posto importante spetta alle incredibili cascate e alla possibilità di osservare uccelli e balene. Su queste ultime negli ultimi venti anni è avvenuto un interessante capovolgimento di attenzioni. Se prima costituivano un interessante test gastronomico oggi sempre meno ristoranti offrono nei propri menù il grande mammifero. Piuttosto i cetacei sono coccolati per permettere al turista di fare whale watching, soprattutto dalle parti di Husavik (di cui abbiamo già parlato dettagliatamente qui). Non manca la fantasia anche nell’allestire musei tra i quali sicuramente il più singolare è quello fallologico dedicato a centinaia di peni di ogni tipo di animale, uomo incluso. Valore viene data anche anche alla faglia che divide la piattaforma continentale europea da quella americana, con percorsi che permettono di tenere due piedi in entrambi i continenti, anche se l’interpretazione di confine continentale appare decisamente forzata.

La strada numero 1

Quasi del tutto finito di asfaltare è il Hringvegur, ovvero l’anello stradale che fa il giro dell’isola e curiosamente passa sempre piuttosto vicino ad ogni attrazione che questa terra offre. Tutte le località abitate principali sono raggiunte da questa strada o al massimo da alcuni suoi raccordi. Percorrerla è una scelta obbligata sia per coloro che noleggiano un’auto all’aeroporto di Keflavik che per i coraggiosi che arrivano con la propria auto in nave al porto di Seyðisfjörður, collegato settimanalmente con la Danimarca dopo tre giorni di navigazione con scalo alle isole Fær Øer. Esclusa l’area nord orientale dell’isola, la strada non è mai particolarmente lontana da centri abitati e da punti di rifornimento. È percorribile interamente per i suoi 1.339 chilometri in modalità elettrica, grazie alle colonnine disseminate ovunque, e quasi del tutto anche utilizzando il gas naturale che sta avendo una rapida espansione non solamente a Reykjavik. Il Hringvegur è con ogni probabilità l’unica strada al mondo che attraversa colate laviche, deserti di pietra, brughiere, ghiacciai e grazie ad un tunnel sottomarino poco a nord della capitale attraversa anche il mare. Uno dei primi dubbi che colpiscono il turista è se avventurarsi su questa strada in senso orario o antiorario. Naturalmente a livello di distanze e tempi di percorrenza è indifferente anche se abbiamo notato che la maggior parte dei turisti opta per il giorno contrario rispetto alle lancette dell’orologio. Le giornate in estate possono regalare, a seconda della latitudine, anche venti ore di luce, elemento utile a sfruttare nel modo migliore il tempo da dedicare alle visite.

Una cucina estrema

Secondo le nostre esperienze è la cucina il punto debole dell’Islanda. Non mancano i ristoranti che si dedicano alla cucina internazionale per tutte le tasche, ma scarseggiano quelli che propongono piatti tipici locali. La tradizione gastronomica islandese risente delle precarie condizioni di vita che il passato riservava all’isolata terra. È naturale che degli animali di allevamento venissero mangiate tutte le parti e quindi non ci si deve stupire davanti a teste intere di pecora, testicoli di montone o qualsiasi tipo di interiora. Con sorpresa di molti anche le simpatiche pulcinelle di mare fanno parte dei menù locali. Per quanto riguarda il pesce è davvero terribile l’esperienza di assaggiare lo squalo. Di solito viene reso digeribile grazie ad una lunga fermentazione (o putrefazione) sotto terra. Mantiene un forte odore di ammoniaca e spesso viene accompagnato con bevande ad altissima gradazione per rendere più sostenibile il supplizio. Un tempo costituiva una riserva alimentare estrema per la popolazione, oggi è più un antipasto da affrontare con senso di sfida, soprattutto se si è turisti. Come già accennato in precedenza, se pensate di andare in Islanda per provare la balena siete ormai fuori tempo massimo essendo davvero pochi i locali che propongono ancora questo cibo. In crescita e anche di buona qualità i piccoli birrifici sparsi in varie località dell’isola.

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