Corata d’agnello al tegame (o fricò)

Le Centopelli questa settimana presentano un piatto povero tipico del centro Italia. I segreti della preparazione, i vini di abbinare e i consigli del gastronomo Augusto Tocci

a cura di Meri Torelli

La coratella di agnello o corata, è il termine con il quale si indicano le interiora dell’animale, in genere di piccola taglia, come appunto l’agnello, il coniglio o il pollo. La corata è un antico piatto tradizionale della cucina povera, figlio del centro Italia e nello specifico della Toscana, Umbria, Lazio e Marche.

Nata come pietanza pasquale, la Coratella è oggi consumata in tutte le stagioni ed è apprezzata sia per il sapore inconfondibile che per le numerose varianti elaborate nel corso dei decenni. Nei tempi andati difatti, il periodo pasquale coincideva con quello del ritorno dei greggi ovini dalla transumanza in Puglia; le parti interiori degli agnelli costituivano dunque la base dei pasti tipici dello strato più povero della popolazione. Ci ripropone la ricetta tradizionale, da noi più grandicelli conosciuta anche come Fricò, la nostra amica Michela Guerrini, che è stata capace di farmi tornare alla mente i profumi della cucina di mia nonna e tutto quello che può accompagnare un ricordo così pungente

Ingredienti

Preparazione

Tagliare le interiora  in pezzetti di 3 o 4 cm. Metterli in un tegame senza condimento e fare uscire  l’acqua in eccesso.

Una volta scolate preparare un soffritto con l’olio,  la cipolla l’aglio e aggiungere la carne  con il sale e pepe.

Fare cuocere fino che non prende colore e sfumare con un bicchiere di vino bianco.

Aggiungere la passata di pomodoro e le foglie di alloro

Ais Delegazione di Arezzo – Gruppo operativo Valtiberina Toscana consigliano:

a cura di Antonella Greco

Le coratelle di agnello riportano ancora una volta alla tradizione delle cose fatte in casa “alla buona”. Ma possiamo definire questo piatto “semplice”? Cosa è la semplicità? 

Pensate agli ingredienti: cuore, polmoni e intestini, tutti organi vitali di un animale e non “semplice” ciccia. I profumi e i sapori, vi sentireste di definirli semplici? 

E se oggi parlassimo di un ossimoro, cioè la “semplicità complessa” dei piatti della tradizione, introducendo un nuovo concetto di cucina? E al cospetto di una ricetta così apparentemente semplice, che ne dite di abbinarci un vino che sembra semplice, ma non lo è affatto?

Siamo nel 1200 circa, quando un nobile Eugubino, Messere Grifoleto (forse artefice del toponimo), approda in territorio marchigiano portando con sé un vitigno, la Vernaccia Nera, chiamata in seguito Vernaccia di Pergola (forse di provenienza toscana). Dopo qualche secolo un suo diretto discendente che faceva l’agricoltore, si mise in testa di farlo conoscere ovunque, ma l’arrivo della fillossera in tempi più moderni, azzerò tutto il suo operato persino a Grifoleto, dove il vitigno era ormai radicato. Ignorato per molto tempo, verso la metà del 1800 furono ritrovati dei tralci allevati a vite maritata all’acero e altri in un convento di Pergola. La bravura dei vivaisti fece il resto. Studi approfonditi svelarono anche il mistero sulle origini del vitigno: non si trattava di una varietà a sé stante, ma di un clone dell’Aleatico toscano. Oggi viene allevato in controspalliera con potatura lunga a doppio archetto, nella zona di Fratte Rosa, Frontone, Pergola, S. Lorenzo in Campo e Serra S. Abbondio ad un minimo di 100 mt s.l.m. fino ad un massimo di 1600mt s.l.m.

Vi abbiamo raccontato questa bella favola per sommi capi, giusto per farvi capire che sotto la Doc Pergola, Aleatico Superiore ( 85% Aleatico), che semanticamente ci porta a pensare ad un vino semplice, si nasconde un vino che ha secoli di storia e semplice non lo è affatto.

Vinificato in tini d’acciaio a temperatura controllata, il Pergola Doc ha un colore rosso rubino talvolta con riflessi violacei, profumi di ciliegia, marasca, ribes, rosa, viola appassita e sottobosco. Un leggero sentore di spezie e vinoso. E’ un vino caldo (termine che indica l’alcol), persistente, e armonico, elementi necessari per sposare l’untuosità e la “decisa delicatezza” della Corata che ci viene proposta questa settimana.

Nunc est bibendum!

I consigli di Augusto Tocci

Con il termine corata si intende in genere l’insieme delle interiora dei grossi animali come le vacche o i vitelli mentre il diminutivo coratella si usa per definire quelle degli animali più piccoli ed in particolare gli agnelli. Per il pollame poi questo prodotto si identifica con il termine fegatini.

La coratella comprende dunque diverse parti delle interiora dal fegato, al cuore, ai polmoni ma spesso può risultare più complessa essendo composta anche dai reni, la milza e addirittura le animelle. E’ quindi facilmente comprensibile che sia composta da  parti più tenaci e di parti più tenere per cui, nella cottura, conviene tener conto di questo particolare dando più tempo alle cose più dure.

La cottura di questi componenti deve avvenire sempre dopo accurato lavaggio e dopo la riduzione in piccoli cubetti delle dimensioni di una nocciola-noce.

I piatti che ne derivano sono di sicuro gusto selvatico, molto comuni in centro Italia, specialmente durante il periodo pasquale quando di norma si macellano in abbondanza gli agnelli.

Questa carne tuttavia è molto delicata e va trattata con le cautele dovute: si può conservare in frigo nella parte destinata alla carne riponendola in appropriati contenitori, ma non a lungo ed anche la surgelazione va fatta per un breve periodo di tempo. Come pietanza può essere considerata una carne magra o semigrassa ma il suo uso non dovrebbe essere superiore ad una due volte alla settimana. Un aspetto che la caratterizza è l’elevato contenuto di vitamine B12 e A per cui è consigliabile per chi soffre di anemia.

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