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Francesco Cangi si racconta: dagli esordi alla Serie B fino al nuovo ruolo di direttore tecnico

Oggi su TeverePost la storia calcistica di Francesco Cangi che nei suoi venti anni di carriera si è tolto tante soddisfazioni, vincendo ad esempio da protagonista i campionati di Serie C1 con Gallipoli e Verona

di Daniele Gigli
15/11/2020
in Sport
10 min. lettura
Francesco Cangi si racconta: dagli esordi alla Serie B fino al nuovo ruolo di direttore tecnico

Francesco Cangi con la maglia dell'Hellas Verona. Tutte le immagini sono gentilmente concesse da Francesco Grigolini (Fotoexpress)

Una lunga e prestigiosa carriera caratterizzata da tante presenze nel calcio dei professionisti, dalle vittorie dei campionati di Serie C1 conquistate da assoluto protagonista prima con il Gallipoli e poi con il Verona e da una bella stagione in Serie B con la squadra scaligera. Stiamo parlando di Francesco Cangi, ex giocatore classe 1982 che “ha tirato i primi calci al pallone” nella sua Citerna con la Polisportiva Pistrino, iniziando poi la sua avventura nel “calcio dei grandi” a Sansepolcro in Serie D nel 1999 e chiudendola dopo 20 anni esatti vincendo con il Tiferno il campionato di Eccellenza Umbra. Una carriera ricca di soddisfazioni che tra le due esperienze in Valtiberina lo ha visto protagonista in molti stadi d’Italia. Francesco ha appeso le “scarpette al chiodo” da pochi mesi, ma è rimasto nel mondo del calcio e questa estate ha cominciato un nuovo percorso diventando direttore tecnico del Tiferno, team che sul campo ha contribuito a portare in Serie D. In questa intervista abbiamo ripercorso i momenti più significativi della sua avventura partendo proprio dagli esordi. 

Francesco quando è iniziata la tua vita da calciatore?

Ho cominciato da ragazzo nella Polisportiva Pistrino del presidente Massimo Bevignani e lì ho giocato fino ai giovanissimi, poi sono passato al Sansepolcro. In bianconero ho militato due anni nella categoria allievi, poi il doppio salto che mi ha portato in prima squadra senza giocare nella juniores. Paolo Valori, che era stato il mio allenatore il secondo anno tra gli allievi, è diventato tecnico della prima squadra e ha portato me e altri ragazzi nella rosa maggiore. Era la stagione 1999-2000 con il Sansepolcro in Serie D.

Cosa hai provato ad esordire con la squadra bianconera?

Tanta emozione e un pizzico di sana incoscienza che accompagna tutti i giovani. Avevo solo voglia di giocare e di mettermi in mostra, ma non mi rendevo bene conto della responsabilità che avevo nel militare in prima squadra. Andavo a scuola e il calcio non era ancora un lavoro. Era per me un mondo completamente nuovo comunque e io non ero molto spavaldo. Mi sono inserito con grande rispetto, voglia di imparare e di capire come funzionava. È stato un periodo importante e costruttivo in cui mi sono levato le prime soddisfazioni. Ricordo bene il giorno dell’esordio al Buitoni, uno stadio che ha sempre avuto grande fascino soprattutto in chi come me sognava di giocarci da protagonista. Già scendere i gradini del tunnel ti faceva vivere il clima e l’atmosfera del calcio vero. Era un giorno in cui pioveva ed in cui la tribuna era gremita. Ero in panchina, poi il mister mi disse di scaldarmi e mi fece entrare. È stato davvero emozionante.

Come descriveresti i due anni a Sansepolcro?

Due anni bellissimi vissuti in una realtà importante del nostro territorio e in una squadra molto forte. Sono cresciuto tanto grazie ai consigli di mister Valori che aveva idee giuste e che con noi giovani ci sapeva fare e ho cercato di imparare qualcosa da tutti i miei compagni, giocatori di spessore come Consorte, Testamigna, Gaggioli tanto per citarne alcuni. Tra i giovani c’eravamo io, Giovagnoli e Bricca e sono riuscito a ritagliarmi il mio spazio mettendomi in bella mostra.

Non a caso infatti arrivò la chiamata dell’Arezzo con il conseguente passaggio tra i professionisti. Come prendesti la notizia?

Il direttore sportivo Ivano Becci aveva portato più volte a fare dei provini con squadre di professionisti me e Andrea Bricca, poi avevamo vinto con la Nazionale di Serie D l’Europeo a Stresa e quindi c’era la percezione che qualcosa potesse concretizzarsi. Tra l’altro era il periodo in cui avevo gli esami di maturità e ricordo che due giorni prima della prova orale mi chiamò Becci dicendomi che ci voleva l’Arezzo. Così andammo e sia io che Andrea firmammo un contratto di 3 anni con gli amaranto. Ero felice e mi presentai agli orali con tanto entusiasmo. L’esame poi andò bene e fu un’altra soddisfazione.

Gli anni in amaranto non sono stati fortunatissimi per te… 

L’Arezzo del presidente Mancini stava vivendo un periodo particolare in cui si susseguirono tanti allenatori e diversi direttori sportivi, tra cui anche il grande Sabatini. Per me non fu facile, ma proprio lì ho capito che volevo fare il calciatore e che grazie alla mia passione potevo superare ogni difficoltà. All’inizio collezionai tante tribune così a novembre fui girato in prestito al Castel di Sangro. Fui contento di scoprire una nuova realtà e di potermi mettere in gioco. Il mister Specchia mi fece esordire in C1 e non dimenticherò mai quel giorno. Giocavamo a Nocera e pochi minuti dopo essere entrato in campo segnai il gol del nostro vantaggio con un colpo di testa al primo palo sugli sviluppi di un corner. Purtroppo la gara terminò in parità, ma per me fu una soddisfazione enorme, con la gioia per il primo gol e le telefonate dei miei genitori e degli amici che si complimentavano. A gennaio quell’esperienza si concluse e tornai ad Arezzo.

L’anno dopo in amaranto giocasti con maggiore continuità… 

Ebbi la fortuna di trovare Paolo Beruatto che mi cambiò ruolo arretrandomi da esterno d’attacco a terzino, a destra ma anche a sinistra. Fu una giusta intuizione, anche se mi dovetti adattare soprattutto a difendere. In fase di possesso però viste le mie caratteristiche avevo vantaggi da sfruttare e spingevo molto. Il cambio di ruolo è stato decisivo per il proseguo della mia carriera. L’anno successivo con Mario Somma in panchina e una rosa formidabile vincemmo il campionato di Serie C. Io giocai pochissimo, ma provai comunque una grande emozione. Ricordo con piacere la festa promozione e la felicità dei tifosi, anche se per me era giunto il momento di cambiare aria e di provare nuove esperienze. 

Prima di arrivare al Verona altre tappe importanti nel tuo percorso, compresa la vittoria del campionato di Serie C1 con il Gallipoli. 

Mi chiamò la Spal di Beruatto che è stato un allenatore fondamentale nella mia carriera e fu una stagione di livello tanto che l’anno dopo approdai in C1 alla Massese. Trovai l’ambiente giusto e sotto la guida di mister Angelo Alessio tirai fuori il meglio di me, giocando 28 partite e siglando 5 gol da terzino. Fu la consacrazione e iniziai a pretender sempre più da me stesso per crescere ancora. L’anno dopo pensavo di poter effettuare un ulteriore salto di categoria, invece rimasi a Massa con in panchina il “principe” Giuseppe Giannini. Nella prima parte di campionato facemmo grandi cose, ma la società era in difficoltà e il presidente onestamente disse che chi voleva poteva andare, così a gennaio passai alla Lucchese. Trovai Braglia, un altro allenatore di grande valore che mi ha insegnato tanto, poi in estate mi trasferì al Gallipoli chiamato da Giannini e fu una nuova importante svolta per la mia carriera. Giocavamo un ottimo calcio e pur non avendo la vittoria finale come priorità centrammo il successo del campionato. Io realizzai 4 gol e fui protagonista della promozione. Una gioia immensa al termine di una grande stagione che mi fece diventare una prima scelta in Serie C.

Infatti arrivò la chiamata del Verona. Con gli scaligeri 3 anni meravigliosi per te, con un altro campionato vinto e una bella stagione in Serie B. 

Appena arrivai a Verona realizzai di essere in una piazza da Serie A: una società meravigliosa e organizzata, un pubblico formidabile e una squadra super. Ricordo la gara del mio esordio al Bentegodi contro il Foggia in cui sfiorai il gol colpendo la traversa con il boato degli oltre 15000 spettatori. Dominammo gran parte del campionato, ma nel finale ci fu un calo e la promozione in Serie B svanì a causa del ko interno nel decisivo scontro diretto con il Portogruaro. Ai play off dopo aver battuto il Rimini in semifinale perdemmo la finale con il Pescara. A fine stagione al posto di Remondina arrivò Giannini, ma dopo 10 giornate fu esonerato. In panchina fu chiamato Mandorlini e per noi iniziò la risalita, con il 5° posto finale e la qualificazione ai play off. Per salire in Serie B serviva l’impresa e così fu, dopo aver battuto prima il Sorrento e poi la Salernitana, certificando la promozione con il successo all’Arechi. I tifosi cantavano “non ci proviamo, dobbiamo” e fu festa grande al nostro ritorno, in aeroporto e in Piazza Bra. Rimasi anche l’anno dopo in Serie B e giocare tra i cadetti è stato il punto più alto della mia carriera, anche se ho un piccolo rammarico. 

Quale?

Il palo colpito con il Torino. Avessi segnato in Serie B sarebbe stato il top, però va bene lo stesso. E’ stata una bella carriera e sono contento di quanto fatto. I sacrifici sono stati ripagati dalle soddisfazioni e dalle meravigliose esperienze vissute che mi hanno fatto crescere come calciatore e come uomo. 

  • Francesco Cangi in anticipo su Eder (Sampdoria)
  • Francesco Cangi e Nicola Pozzi (Sampdoria)
  • Sullo sfondo, il tecnico Andrea Mandorlini

Come mai non rimanesti a Verona?

Purtroppo la società, con l’arrivo del ds Sogliano, rivoluzionò la rosa e visto che non rientravo nel progetto andai alla Cremonese con l’obiettivo di vincere un altro campionato. Invece purtroppo non fu una parentesi felice, così quando mi chiamò Goretti a Perugia non ci pensai neanche un istante. Altra piazza superlativa e altra squadra formidabile con Politano, Ciofani, Fabinho e con Camplone in panchina. Arrivammo a 2 punti dall’Avellino, ma purtroppo ai play off perdemmo in semifinale con il Pisa. Un grande dispiacere, ma per me comunque 6 mesi stupendi. 

Arriviamo agli ultimi anni della tua carriera terminata tra l’altro in Valtiberina, quasi a chiudere il cerchio. 

Rimasi ancora in Serie C al Castel Rigone e all’Ancona, poi la scelta di vita fu di spostarmi vicino a casa e così tornai in D al Sansepolcro per due stagioni. Poi Villabiagio e Flaminia Civitacastellana fino ad arrivare alla chiamata di Maurizio Falcinelli e Diego Giorni per il passaggio al Tiferno in Eccellenza con cui in una stagione anomala causa coronavirus abbiamo vinto il campionato. È stato bello chiudere il percorso con un successo, anche se purtroppo per il calcio e per tutti noi questo è un anno molto complicato. 

Hai avuto come allenatori tra gli altri Giannini e Mandorlini, ex giocatori che avevano lasciato un segno importante nel nostro calcio. Chissà quanti aneddoti… 

Ce ne sarebbero molti in effetti. Giannini a Roma è stato il “principe”, un idolo assoluto e raccontava spesso di aver preso per mano Francesco Totti all’interno dello Stadio Olimpico dicendogli “questa è casa nostra”. Di Mandorlini invece mi ricordo un aneddoto particolare a Verona: ero reduce da una buona prestazione da titolare, ma a Bari mi ritrovai in tribuna. Al mio posto giocò Matteo Abate che tra l’altro segnò il gol vittoria. Non sono mai stato uno di quelli che chiede spiegazioni agli allenatori in caso di esclusione, ma quella volta lo feci e Mandorlini mi rispose “avevo sognato che andava così”. Entrambi avevano il carisma di chi aveva calcato campi importanti e mi hanno insegnato tanto. 

Il compagno di squadra più forte con cui hai giocato?

Ce ne sono stati tanti, ma il più forte è stato Jorginho con cui ho giocato al Verona. Si vedeva che aveva la stoffa del campione. 

Cosa ti ha insegnato la tua carriera da calciatore?

Tantissimo e soprattutto a livello umano. Mi ha fatto capire che nella vita non bisogna mai mollare anche se si trovano difficoltà e che dai momenti che sembrano più complicati si deve trarre la forza per migliorarsi ed andare avanti. Il mio carattere e la mia determinazione sono stati in ogni momento la mia arma migliore. Il calcio mi ha insegnato anche valori importanti come il rispetto, il sacrificio, lo spirito di gruppo e l’amicizia. Con tanti ex compagni ci sentiamo spesso e sono legatissimo ad esempio a Gennaro Esposito ed Emanuele Berrettoni. 

Ultima domanda visto che ora sei il direttore tecnico del Tiferno. Come ti trovi nel nuovo ruolo, in questo che è tra l’altro un momento così difficile anche per il calcio?

Nella mia carriera ho avuto tanti bravi direttori sportivi e questo ruolo mi ha sempre affascinato, quindi mi sono iscritto al corso a Coverciano, tra l’altro assieme ad ex campioni come ad esempio Cassano e Pellissier, ed ho preso l’attestato. In estate Maurizio Falcinelli e Diego Giorni mi hanno chiesto se volevo entrare a far parte dello staff del Tiferno e dopo aver parlato con il presidente Bianchi ho accettato con entusiasmo. Per me è la prima esperienza e so che devo crescere, ma ho passione e determinazione, così mi sono messo a disposizione della società. La stagione attuale è anomala con tutte le problematiche dovute al coronavirus. Noi non possiamo far altro che essere prudenti e rispettare le regole, sperando che tutto vada per il meglio.

Tags: calcioFrancesco Cangivecchie glorie
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