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La storia di Federica Rossi, da Selci a Ginevra per insegnare all’università

Docente di didattica dell’italiano, Federica ci racconta i suoi successi professionali

di Desyrè Baldacci
04/05/2021
in Valtiberini nel mondo
Lettura: 7 min.
La storia di Federica Rossi, da Selci a Ginevra per insegnare all’università

Federica Rossi a Ginevra

Originaria della piccola frazione di Selci, nel comune di San Giustino, Federica Rossi è un’affermata docente universitaria a Ginevra. Dopo la laurea in lettere a Perugia è partita alla volta della Svizzera per inseguire il sogno di diventare ricercatrice. Oggi insegna didattica della lingua italiana presso l’Istituto universitario di formazione degli insegnanti. Abbiamo avuto il piacere di conversare con lei in merito alla sua professione e alla sua vita fuori dall’Italia.

Federica, raccontaci come e quando è iniziata la tua esperienza in Svizzera

Sono originaria di Selci e ho frequentato il Liceo Scientifico a Sansepolcro:ho sempre amato sia le materie scientifiche che letterarie, con una propensione maggiore per l’ambito scientifico. Ad un passo dalla scelta della facoltà universitaria, ho vinto una borsa di studio gestita da un istituto a Roma che offriva anche un orientamento universitario. C’è stato un cambiamento drastico dalle mie idee iniziali, tanto che mi sono iscritta a lettere a Perugia, anche se poi non è stato così strano dato che ho sempre amato la scrittura, la letteratura e la critica letteraria. Mi sono orientata verso la linguistica applicata alla letteratura e, in seguito, ho ottenuto un’altra borsa di studio dal Ministero, una borsa di scambio fra Confederazione svizzera e Ministero degli affari esteri: sono stata selezionata per il progetto in quanto costruito attorno alle teorie di Ferdinand De Saussure, famoso linguista che proprio a Ginevra aveva insegnato. È così che sono partita per la Svizzera. L’idea era quella di rimanere un anno, ma così non è stato.

Ginevra

Come è iniziata la tua carriera universitaria?

Sono arrivata a Ginevra subito dopo la laurea grazie a due borse di studio diverse: una la utilizzai per seguire un corso di lingua, l’altra per un corso estivo. Successivamente, ho deviato la mia scelta iscrivendomi ad un master biennale presso l’Istituto europeo a Ginevra, per avere una formazione un po’ più internazionale. Al tempo stesso lavoravo sia nelle traduzioni, sia in un’agenzia che organizzava viaggi per persone che andavano ad ascoltare l’opera in Italia. L’opportunità grande è arrivata quando sono stata scelta come assistente di lingua e letteratura italiana presso l’Università di Neuchatel ed ho iniziato facendo ricerca all’università per 5 anni. Grazie agli importanti contatti con il mondo accademico, sono stata “recuperata” dall’Università di Ginevra per un lavoro di ricerca sulla “formation continue”. Mi è stata affidata la ricerca in tecniche della comunicazione scritta e, successivamente, mi si sono aperte due possibilità: lavorare in corsi di lingua e cultura italiana per adulti e, insieme, un posto al 50% per la cattedra di didattica dell’italiano che, tuttora, è il mio incarico principale.

Che rapporto hanno, all’estero, con la lingua italiana?

Si nota un calo di interesse nei giovani che spesso preferiscono l’inglese e, se devono scegliere una lingua nazionale, la scelta ricade nel tedesco perché potrebbe essergli più utile a livello professionale, o almeno così pensano. Al di fuori dell’ambiente scolastico, invece, negli adulti c’è grande interesse verso la lingua e cultura italiana. A Ginevra ci sono tanti figli e nipoti di migranti italiani, la seconda e terza generazione, e anche loro si avvicinano alla lingua e alla cultura italiana. Sentono di essere attaccati in qualche modo alla cultura dei loro genitori o nonni, anche se sono nati e cresciuti qua. Nei corsi di didattica che gestisco spesso vengono figli e nipoti dei migranti che, alla fine del corso, arrivano addirittura ad essere loro stessi insegnanti di lingua italiana. Ho notato che più proponi cose legate alla cultura italiana, più c’è interesse. C’è sia il pubblico di seconda, terza generazione sia il pubblico che non ha legami diretti con l’Italia, se non per passione. Molti studenti, per esempio, vogliono imparare l’italiano perché hanno colleghi che lo parlano o perché sono appassionati dell’opera, di cinema o di arte. Dal punto di vista numerico, negli ultimi 7 anni abbiamo avuto circa 100 studenti all’anno e 80 che hanno sostenuto l’esame di lingua.

Com’è lavorare e vivere all’estero?

Per vivere all’estero, la motivazione è tutto. È difficile appena si arriva, forse per me è stato più semplice perché ero molto giovane. Per chi arriva nell’ambiente universitario è sicuramente più facile perché qui trovi tutto quello di cui hai bisogno. Ero molto motivata perché ho sempre amato il mondo della ricerca universitaria. Dico sempre, però, che mi piacerebbe molto avere un appartamento in qualche bella città italiana e a Ginevra ho scelto proprio di vivere a Carouge che, come tipologia di abitanti e stile architettonico, è molto simile all’Italia. È un villaggio molto carino pieno di boutique, piazze con il panettiere e dove non esistono le grandi catene di supermercati. Quando sono arrivata io, c’erano le vecchie associazioni regionali che però facevano parte della precedente generazione che non mi rappresentava. Oggi, grazie ad internet e ai social, è molto più facile entrare in contatto con italiani all’estero e questo ti permette di mantenere sempre forte il legame con il paese d’origine.

  • Carouge
  • Carouge
  • Carouge
  • Bastions
  • Bastions

Come ti sei riorganizzata, a livello lavorativo, durante il primo lockdown nel 2020?

Tutto si è spostato a distanza e la nostra università ha pianificato i corsi via Zoom. Nel giro di un week end ho creato, insieme ad una collega, un modulo da presentare a distanza agli studenti, per non perdere l’interesse che c’era. Abbiamo dovuto rinunciare ad un viaggio d’istruzione in Italia programmato per maggio, con grande dispiacere. Inoltre, il modulo che ho creato “Bellezza e mistero chez vous” è stato pensato come ciclo di 5 proiezioni cinematografiche in collaborazione con un’associazione. Abbiamo fatto vedere film su Michelangelo, Raffaello, opere d’arte salvate durante la seconda guerra mondiale e a questi film sono state associate 4 presentazioni di opere d’arte. Gli studenti si connettevano alle 18 del venerdì per l’opera d’arte e la domenica seguivano il film. “Bellezza e mistero chez vous” ha avuto un grande successo. In generale, credo che questa sia stata un’occasione per gli insegnanti per affinare l’utilizzo degli strumenti digitali che, altrimenti, sarebbero stati poco utilizzati. Nel giro di una settimana, abbiamo riadattato tutto e ci siamo lanciati in questa nuova avventura. Durante il periodo del lockdown, inoltre, nel mio canale YouTube “Effelingua” ho caricato video su lezioni e conferenze tenute da me per renderle fruibili anche online. 

Com’è la situazione oggi?

Rispetto al lockdown italiano, qui è stato più semplice: c’erano alcune accortezze da seguire, ma si poteva uscire, per esempio, per fare sport o spesa. Occorreva non creare assembramenti di persone e tenere sempre la mascherina, ma non era vietato uscire. Per quanto riguarda la vaccinazione, la campagna è iniziata a gennaio per i soggetti a rischio, è proseguita poi per fasce di età ed ora hanno aperto al gruppo dai 45 ai 54 anni. Fin dall’inizio, si è saputo che gli unici due vaccini sarebbero stati Pfizer e Moderna. Anche io il mese prossimo riceverò la prima dose del vaccino. Devo dire che durante il lockdown, essendo lontana da casa e non potendo tornare, ero comunque sollevata perché mia sorella abita non lontano dai miei genitori ed ha potuto interagire più facilmente con loro.

Ti manca l’Italia?

Mi mancano molte cose dell’Italia. Quando fai un lavoro come il mio, tutti i giorni sei presa da mille impegni e tanti progetti sono legati all’Italia, per questo sono fortunata perché soffro sicuramente meno rispetto ad altri. Una cosa che mi manca molto è la tipica vegetazione umbra, tanto che ho scritto proprio una raccolta di racconti sugli alberi. In generale, mi manca l’architettura e la storia delle nostre città, potersene stare in qualche bella piazza a bere un caffè e sentire parlare italiano.

Hai qualche sogno nel cassetto?

Nel mio lavoro faccio cose che mi piacciono e, per questo, mi ritengo soddisfatta. Ho dovuto, però, accantonare la scrittura, altra mia grande passione e quando scrivo lo faccio esclusivamente per la ricerca. Il mio sogno sarebbe scrivere un libro in una casa della bella campagna umbra, un posto idilliaco in cui rilassarsi e farsi ispirare. Fra gli altri sogni, sicuramente portare i miei studenti in Italia e riprendere i viaggi che facevamo un tempo. Ho una figlia di 17 anni che fin da piccola è venuta in estate dai nonni e anche questo è un bel modo per coltivare le proprie radici. In quella famosa casa di campagna umbra che tanto sogno, mi piacerebbe essere con lei e con il mio compagno.

Tags: Federica RossiGinevraSvizzeravaltiberini nel mondo
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