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La Cappuccia d’Anghiari, fasti e scomparsa di una razza pregiata

Grazie a uno studio di Mirco Draghi ripercorriamo la storia di un suino autoctono rimasto vittima del progresso e della modernità

di Emanuele Calchetti
26/12/2021
in Attualità
Lettura: 4 min.
La Cappuccia d’Anghiari, fasti e scomparsa di una razza pregiata

Fine XIX secolo, bambini con una famiglia di suini in un'aia nell'Alta Valle del Tevere (Archivio Alvaro Tacchini)

Si intitola giustamente Dalle stelle alle stalle la ricerca (scaricabile qui in formato pdf) realizzata dall’appassionato di storia locale Mirco Draghi e dedicata a una pregiata razza suina, la Cappuccia d’Anghiari. Parente stretta della Cinta senese, oggi avrebbe avuto tutte le carte in regola per diventare un simbolo gastronomico della Toscana. Ma la storia è andata diversamente, e la razza anghiarese non esiste più dagli anni settanta del secolo scorso.

La Cappuccia, detta anche Casentinese o Chianina, deve il suo nome al contrasto tra lo scuro mantello color ardesia e la colorazione bianca del muso. Oppure, secondo un’altra versione, a ricordare un cappuccio sarebbero le lunghe orecchie penzolanti davanti agli occhi. Allevata soprattutto in Toscana e Alta Umbria, quella anghiarese era “una razza rustica, pascolatrice, di facile ingrasso e che produceva una carne sapida, del lardo spesso ma di buona qualità”. I suoi prosciutti erano pregiati ed esportati anche all’estero, in particolare dal Casentino verso Germania e Inghilterra. Le scrofe erano molto prolifiche, mentre i verri si trovavano nella gran parte dei casi a subire l’asportazione di un testicolo perché si riteneva così di calmarne spiriti troppo bollenti.

Nel ricostruire la storia della Cappuccia d’Anghiari, Draghi parte dalla citata somiglianza morfologica e organolettica con la Cinta per ipotizzare che ne fosse “una ‘variazione’ col tempo adattata al luogo e forse incrociata con altri suini locali, come era comunemente in uso nell’800”. Ad ogni modo, la prima attestazione rintracciata dall’autore risale ad un resoconto ministeriale del 1875 secondo il quale “nella Valle Tiberina si alleva una razza locale di porci di corporatura vantaggiosa e facile da ingrassare”.

Agraria.org

Fu proprio negli stessi anni che dalla contea inglese dello Yorkshire arrivò in Italia il suino che nel corso del tempo avrebbe fatto scomparire la Cappuccia e messo in secondo piano le altre razze locali: il maiale Large White, quello rosa oggi di gran lunga più diffuso, che nel 1873 venne introdotto dal “Deposito di animali miglioratori di Reggio Emilia”. In questa prima fase l’approccio era quello di incrociare razze estere e autoctone cercando di unire le più grandi dimensioni e il più rapido sviluppo delle prime con la maggiore sapidità delle seconde. Nonostante i risultati tendessero a non essere quelli attesi, soprattutto dal punto di vista della qualità, tuttavia la pratica prese sempre più piede, in particolare in Emilia e Lombardia dove l’allevamento si praticava già su scala quasi industriale.

Molto più diffidente verso le razze estere era invece l’approccio nel nostro territorio e in generale in Toscana. “Questa mentalità ‘autarchica’ – sottolinea Draghi – permise alla Cappuccia e alle razze toscane di continuare le loro discendenze in purezza almeno per qualche altro decennio”. I primi del Novecento segnarono una fase di prosperità per la razza anghiarese, che nel 1903 era tra le tre più diffuse e pregiate in Toscana e si espanse poi ampiamente, soprattutto nel Casentino. Dopo una breve flessione all’inizio della Prima guerra mondiale, per lo più a causa della circolazione del tifo petecchiale dei suini, la produzione di Cappuccia si rilanciò già prima della fine conflitto e proseguì negli anni successivi, che però coincisero con una crescita nell’importazione di suini anglo-americani e una maggiore diffusione della pratica dell’incrocio. La Nuova enciclopedia agraria italiana, nel 1927, cominciava a lanciare i primi allarmi sui pericoli corsi dalla Cappuccia.

Agraria.org

Nonostante ciò, ancora negli anni trenta se ne registrò una diffusione importante, anche in Umbria e nel Senese, e nel 1941 il Ministero dell’agricoltura la inserì nell’elenco delle 10 “razze pregiate”. È però nel secondo dopoguerra che la situazione peggiorò drasticamente, perché l’obiettivo di ricostruire e modernizzare il Paese e gli albori del consumismo portarono a badare più alla quantità che alla qualità, favorendo “la sostituzione delle vecchie razze locali con quelle estere più grandi di dimensioni e più rapide nell’ingrasso”. Ormai non si parlava più di incroci, ma della diffusione sempre maggiore del Large White in quanto tale.

La Cappuccia ancora resistette, ottenendo nel 1950 anche il “Premio di primo grado” alla prestigiosa “Rassegna nazionale dell’allevamento suini” di Reggio Emilia, ma i numeri parlavano chiaro: nel 1949 nell’Italia centrale quelli di razza anghiarese erano rimasti il 6,4% di tutti i maiali, contro il 45,2% dei Large White. Nel 1958 la Cappuccia venne inserita dalla Fao nell’elenco dei suini più importanti allevati in Italia, ma un censimento dell’anno dopo ne attestava in Toscana solo 12.570 esemplari, a fronte degli oltre centomila maiali inglesi, di cui nel frattempo stava aumentando anche la qualità.

Il colpo di grazia negli anni sessanta arrivò da un lato dallo spopolamento della campagna che riduceva il numero di piccoli allevatori, più tradizionalisti; dall’altro dalla diffusione di stili di vita che richiedevano un minor apporto calorico. Le leggi del mercato guidarono nella direzione di suini giovani e magri e per le razze antiche non ci fu più spazio. Secondo il World Dictionary of Livestock Breeds la Cappuccia risulta estinta nel 1976.

Di una storia durata quindi esattamente un secolo resta soprattutto un rimpianto: se infatti la Cappuccia d’Anghiari avesse resistito qualche altro anno avrebbe avuto l’occasione di raggiungere una fase di rinnovata attenzione verso le razze autoctone e le specificità locali: a titolo di esempio basti di nuovo citare la vicina Cinta senese che, ridotta a pochi esemplari per dinamiche analoghe a quella della “cugina” anghiarese, è stata recuperata da alcuni piccoli allevatori negli anni novanta per diventare oggi una razza particolarmente apprezzata.

Tags: allevamentoCappuccia d'AnghiariMirco Draghistoria
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La nostra proposta informativa si evolve in un nuovo progetto web unitario assieme alla storica emittente locale TTV Teveretv: da oggi potrete leggerci sulla sezione “#TTVPost” di ttv.it

Un arrivederci, non un addio: tra i nostri obiettivi futuri c
  • La pioggia battente di oggi, un grande classico della manifestazione, non ha frenato l’entusiasmo per il ritorno delle Fiere di Mezzaquaresima a Sansepolcro. L’evento ha preso ufficialmente il via questa mattina ed accompagnerà l’intero weekend biturgense con i tradizionali banchi degli ambulanti, le esposizioni e gli stand gastronomici. L’amministrazione comunale, che anche nei periodi di maggiore impatto dell’epidemia ha espresso fiducia nella possibilità di riproporre la rassegna dopo due anni di stop, ha voluto celebrare questo appuntamento con una simbolica cerimonia in piazza Torre di Berta alla presenza degli organizzatori e delle autorità locali.

Al taglio del nastro, accanto al sindaco Fabrizio Innocenti, era presente anche il cavaliere Valentino Mercati, patron di Aboca. Grazie alla collaborazione tra il Comune e la locale azienda del settore healthcare è stato possibile inaugurare al meglio la Fiera 2022 con l’installazione al centro della piazza cittadina del grande Dodecaedro di Leonardo. La struttura, caratterizzata al suo interno da una pianta di gelso e già protagonista nel centro di Firenze in occasione delle celebrazioni dedicate al genio rinascimentale, è stata messa a disposizione dalla famiglia Mercati per tutta la bella stagione.
L’articolo completo al link in bio
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  • 𝗙𝗼𝘁𝗼𝗻𝗼𝘁𝗶𝘇𝗶𝗮 - In attesa del ritorno delle Fiere di Mezzaquaresima, a Sansepolcro è stato installato il grande dodecaedro di proprietà dell’azienda Aboca, già protagonista a Firenze in occasione delle celebrazioni Leonardiane. La struttura, alta circa sei metri e messa a disposizione dalla famiglia Mercati, resterà collocata al centro della Piazza Torre di Berta per tutta la bella stagione. Pochi minuti fa il sindaco biturgense Fabrizio Innocenti ha condiviso una suggestiva immagine che mostra il risultato delle operazioni di installazione, in attesa che cittadini e visitatori possano ammirare di persona l’opera.

Foto: @fabrizio_innocenti_
  • È stato inaugurato questa mattina, al termine dei lavori di restauro, il prezioso affresco di #GerinoDaPistoia che si trova in piazza della Repubblica a Sansepolcro, la “Madonna di Fontesecca”.

L
  • La commemorazione dell
  • L
  • 𝗥𝗲𝗻𝗶𝗰𝗰𝗶, 𝗶 𝗰𝗼𝗺𝘂𝗻𝗶 𝗱𝗲𝗹𝗹𝗮 𝗩𝗮𝗹𝘁𝗶𝗯𝗲𝗿𝗶𝗻𝗮 𝗶𝗻𝘀𝗶𝗲𝗺𝗲 𝗽𝗲𝗿 𝗶𝗹 𝗚𝗶𝗼𝗿𝗻𝗼 𝗱𝗲𝗹𝗹𝗮 𝗠𝗲𝗺𝗼𝗿𝗶𝗮
𝘓𝘢 𝘤𝘦𝘳𝘪𝘮𝘰𝘯𝘪𝘢 𝘢𝘭𝘭𝘢 𝘱𝘳𝘦𝘴𝘦𝘯𝘻𝘢 𝘥𝘪 𝘵𝘶𝘵𝘵𝘦 𝘭𝘦 𝘴𝘦𝘵𝘵𝘦 𝘮𝘶𝘯𝘪𝘤𝘪𝘱𝘢𝘭𝘪𝘵à 𝘥𝘦𝘭 𝘵𝘦𝘳𝘳𝘪𝘵𝘰𝘳𝘪𝘰. 𝘗𝘰𝘭𝘤𝘳𝘪: “𝘐𝘯 𝘱𝘳𝘰𝘨𝘦𝘵𝘵𝘰 𝘶𝘯𝘰 𝘴𝘱𝘢𝘻𝘪𝘰 𝘮𝘶𝘴𝘦𝘢𝘭𝘦 𝘮𝘶𝘭𝘵𝘪𝘮𝘦𝘥𝘪𝘢𝘭𝘦 𝘥𝘦𝘥𝘪𝘤𝘢𝘵𝘰 𝘢𝘭𝘭
  • 𝗦𝗰𝗼𝗺𝗽𝗮𝗿𝘀𝗮 𝗱𝗶 𝗦𝗮𝘀𝘀𝗼𝗹𝗶, 𝗶𝗹 𝗰𝗼𝗿𝗱𝗼𝗴𝗹𝗶𝗼 𝗱𝗶 𝗦𝗮𝗻𝘀𝗲𝗽𝗼𝗹𝗰𝗿𝗼 - La scomparsa del presidente del Parlamento europeo David Sassoli ha generato commozione anche a Sansepolcro, città a cui l’ex giornalista Rai era molto legato. In particolare, Sassoli era attivo da molti anni nell’Associazione Cultura della Pace, con cui era entrato in contatto grazie allo stretto rapporto con monsignor Luigi Di Liegro, che aveva seguito il percorso del fratello nell’obiezione di coscienza. Dell’associazione Sassoli era socio onorario ed era membro del comitato scientifico dell’omonimo Premio nazionale.
👉 L’articolo completo al link in bio
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