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Mario Musella e Demetrio Stratos: dialogo immaginario a due voci

Un incontro “impossibile” ma avvenuto nella realtà. fra le due più belle voci della musica italiana del secondo novecento, coetanei di nascita, scomparsi nello stesso anno, entrambi antesignani della musica a venire

di Moreno Metozzi
10/12/2020
in Oltre il Tevere
Lettura: 13 min.
Mario Musella e Demetrio Stratos: dialogo immaginario a due voci

Mario Musella e Demetrio Stratos

Strano destino parallelo quello di Mario Musella e Demetrio Stratos. A parte lo stesso anno di nascita, 1945, e di morte, 1979, le coincidenze che li accomunano sono diverse altre: uno, Mario, figlio della guerra mezzo napoletano e mezzo americano, anzi pellerossa, l’altro greco nato in Africa, ad Alessandria d’Egitto. Scopertisi entrambi cantanti “per caso”, dotati tutti e due di una voce straordinaria, entrambi iniziatori di un cambiamento epocale della musica italiana, coscienti della propria “diversità” sia l’uno che l’altro alla ricerca musicale delle proprie radici, ricerca straziante per Mario, perso nella propria fragilità d’animo ma capace di toccanti prove vocali, mentre Demetrio ha fatto di questa ricerca un punto di forza sia musicalmente che come impegno politico e culturale.

Quello che segue è un colloquio fra i due; certamente immaginario, probabilmente verosimile, sicuramente basato su fatti e testimonianze.

Mario: Uè! Demetrio! Chi non muore….

Demetrio: Non scherzare che da vivi ci siamo incontrati una volta sola

Mario: E chi se lo scorda quell’incontro, era nel 1969, io e gli Showmen eravamo in gara al Festival di Sanremo

Demetrio: Ricordo bene, presentavate una canzone in coppia con Mal

Mario: “Tu Sei Bella Come Sei”, un pezzo melodico che noi stravolgemmo arrangiandolo a Rhythm & Blues. Ancora ricordo la faccia della gente in sala quando attaccammo il ritornello con James Senese che nel finale suonava due sax contemporaneamente.

The Showmen – Tu sei bella come sei

Demetrio: Io a quel Sanremo accompagnavo  al pianoforte e all’organo Lucio Battisti

Mario: Già, c’era anche lui a quel festival, andò peggio che a noi come classifica finale: noi settimi, lui nono

Demetrio: Lascia perdere, Lucio da quel momento è stato il fenomeno che è stato, piuttosto il bello di quel Sanremo c’è stato dopo, in quel locale della città.  

Mario: Un momento indimenticabile, ci siamo trovati noi Showmen, tu, Wilson Pickett e Stevie Wonder, anche loro presenti al festival, ad improvvisare una jam session. Stevie, cieco,  ha suonato tutti gli strumenti, batteria compresa, con Franco Del Prete, il nostro batterista che gli aveva fatto toccare la posizione di tamburi e piatti. E ad assistere c’era un ammirato Fabrizio De André. Lì mi sono sentito come se fossi a casa, tornato alle mie radici  Peccato non ci siano foto o filmati di quell’esibizione; è tutto lasciato al ricordo di chi c’era.

Demetrio: Fu quel contatto con l’”altra” America, quella dei neri che attraverso la musica riscattavano le ingiustizie e i soprusi a cui erano sottoposti loro e la propria gente, a far crescere in me la consapevolezza che con la voce si poteva far altro che cantare canzonette.

Mario: Tu eri con i Ribelli in quel periodo.

Demetrio: C’ero entrato nel 1966 dopo che mi avevano ascoltato suonare le tastiere e  cantare al Santa Tecla con il mio gruppo di allora, e dire che ho iniziato ad usare la voce perché il cantante di quel complesso aveva avuto un incidente stradale e non si era potuto presentare alla serata. Con i Ribelli sono rimasto fino al 1970 ma sinceramente mi ero stancato di incidere insulse versioni italiane di successi stranieri; passi ancora per “Obladì Obladà” dei Beatles ma “Yummy Yummy Yummy”degli Ohio Express, definita bubble gum music, non l’ho mai digerita anche perché in ogni caso si trattava di operazioni puramente commerciali che facevano far soldi soltanto al paroliere della cover italiana, il quale guadagnava non solo sulla vendita della nostra versione ma anche sulle copie vendute in Italia di quella originale in inglese. Mi sentivo sfruttato economicamente e castrato  musicalmente.

  • Mario Musella e James Senese
  • The Showmen

Mario:  Pensa che pure io ho iniziato a cantare per caso; insieme a James, mio compagno di vita fin dall’infanzia, entrammo nella formazione “Gigi e gli Aster” dove già c’era Franco del Prete, io come bassista e lui al sax. Il cantante di allora, Rino di Sisto, sentendo la mia voce mi disse:“Guagliò, devi cantare pure tu” e così sono diventato cantante. Abbiamo formato gli Showmen  e con loro ho sempre scelto di reinterpretare pezzi di altri senza cambiare una virgola dei testi, inglesi italiani o napoletani che fossero. Li riarrangiavamo a gusto nostro come abbiamo fatto col pezzo sanremese e prima con “Un’ora sola ti vorrei”, una canzone che inizialmente non volevamo incidere. Il nostro manager ci convinse con  due argomenti:  il primo è che l’avevano proibita quando uscì per la prima volta nel 1938 perché la gente la cantava così: ”Un’ora sola ti vorrei/ per dirtene quattro cinque o sei”, riferita al capoccione che allora comandava in Italia, il secondo che l’avremmo suonata a Rhythm & Blues; io la cantai a modo mio e al resto pensarono il sax di James e il resto del gruppo. Quell’anno, era il 1968, andammo al Cantagiro e vincemmo tutte le tappe.

The Showmen – Un’ora sola ti vorrei

Demetrio: Io al Cantagiro c’ero stato con i Ribelli l’anno prima, nel 1967, con “Pugni chiusi” il brano migliore che ho interpretato con loro, scritto da Ricky Gianco con musica del nostro batterista Gianni Dall’Aglio. I maligni dicevano che somigliasse a “When a Man Loves a Woman” di Percy Sledge ma Gianni giurò di essersi ispirato a “Georgia On My Mind” di Ray Charles; fu un grande successo anche se a me non importava molto. della popolarità, a me piaceva cantarla così come in seguito l’hanno ripresa i Pooh, Piero Pelù e Francesco Renga penso per il gusto di interpretarla, ma senza falsa modestia la mia versione resta la migliore con tutto il rispetto per quelle degli altri interpreti.

I Ribelli – Pugni Chiusi

Mario: Georgia On My Mind per me è stata un’illuminazione, ho ascoltai il disco nel 1960 speditomi dai miei parenti americani. Io sono figlio di una napoletana e di un soldato americano di origine pellerossa Cherokee, Russel B. Locklear, che era in Italia durante la seconda guerra mondiale. Per 10 anni ho pensato che lui avesse abbandonato me e mia madre finché nel 1955 fui rintracciato dai parenti di mio padre i quali mi dissero che lui era morto in guerra in Giappone due mesi dopo la mia nascita ma che aveva fatto in tempo ad avvertirli della mia esistenza. Da quel momento in poi ci siamo scritti spesso e spesso ricevevo da loro registrazioni di musica soul blues jazz. Prima di allora volevo farmi prete ma sentendo quella musica capii qual’era la mia vera vocazione. La Georgia è il territorio d’origine delle genti Cherokee dalla quale furono deportati alla metà dell’ottocento, Il fatto che il pezzo mi avesse così colpito credo sia dipeso, oltre che dall’interpretazione di Ray Charles, anche da una questione di sangue. Sono riuscito ad incidere la mia versione solo nel 1975 accompagnato da un giovanissimo Pino Daniele, che poi mi avrebbe dedicato un intero 33 giri. Il “Nero a Metà” del suo terzo album sono io.

Mario Musella – Georgia on my mind

Demetrio: Io sono un greco d’Africa, sono nato ad Alessandria d’Egitto e il mio nome vero è Efstratious Demetriou ma per un italiano era troppo difficile da pronunciare così, scambiano parte del nome col cognome sono diventato Demetrio Stratos, vivendo qui da voi sono arrivato alla consapevolezza che la pronuncia corretta e la lingua siano grosse castrazioni per il cantante Ho questa pronuncia perché sono greco, non sento le doppie, poi ho abitato diverso tempo in Romagna.

Fin da piccolo ho assorbito sia la musica araba che quella che si cantava nelle chiese bizantine di Alessandria, ho studiato musica al conservatorio greco della città poi, a causa di disordini ho lasciato Alessandria per Cipro e all’età di 17 anni sono venuto in Italia, a Milano per studiare Architettura, ho sposato una romagnola; sai quanti linguaggi, quante inflessioni, ho dovuto imparare, mi sono, diciamo così, allenato .a modificare la modulazione della voce a seconda della lingua che via via apprendevo ma mi mancava sempre qualcosa per poterla afferrare fino in fondo, finché sentendo i primi vagiti di mia figlia Anastassia ho capito: la voce è libera finché non viene educata alla parola. Il canto, soprattutto quello occidentale, risente di questa ipertrofia vocale isolandosi all’interno di strutture linguistiche preordinate, così mi sono interessato di vocalità provenienti un po’ da ogni parte del mondo soprattutto dai paesi asiatici. Ho piantato il gruppo e l’etichetta di Battisti per la quale nel 1971 avevo inciso un solo pezzo “Daddy’s Dream” e da quel momento ho chiuso con la musica commerciale.

Mario: il 1971 è stato pure per me un anno di svolta…in peggio! Pochi mesi prima avevo lasciato gli Showmen perché sai come siamo fatti noi musicisti napoletani: pensiamo tutti che il successo dell’uno escluda il successo dell’altro come se il successo fosse una pizza e se tu ne mangi un pezzo gli altri non possono più neppure toccarla. Avevo ricevuto lusinghe sulla partecipazione al Festival Di Sanremo di quell’anno. Avrei  dovuto cantarla io “4 marzo 43” insieme a Dalla, circolano ancora i provini che avevo fatto, era un testo che sembrava cucito sulla mia pelle, era la “mia” storia, pensavo che presentandola a tutti avrei contribuito ad esorcizzare i fantasmi che mi portavo dentro dall’infanzia, non mi interessava se il brano avrebbe avuto o no successo, ma il destino mi fece lo sgambetto: mi venne un attacco d’ulcera e dovetti operarmi, così niente Sanremo e soprattutto niente canzone. E tutti i miei fantasmi, tutto il dolore, il disagio della mia diversità si sono ripresentati nella mia mente e hanno continuato a condizionarmi per il resto della mia esistenza.

Area

Demetrio: In quel periodo tento di formare un gruppo mio ma l’esperimento dura poco poi faccio l’incontro decisivo con Giulio Capiozzo, provenienza Borello, Romagna profonda ma origini turche della famiglia, cognome originale Capioz. Ma ci pensi? Un greco d’Egitto e un turco di Romagna, entrambi fuori dal proprio contesto sociale ma tutti e due con una concezione della musica che andava oltre quel che si produceva e ascoltava allora. Lui. batterista, era innamorato del jazz e trattava i tempi dispari con una personalità e liberta derivante sia dagli studi di percussione fatti al conservatorio del Cairo che dalle composizioni musicali della terra d’origine della sua famiglia. Era il complemento naturale del mio modo di usare la voce con accenti derivati dal medio oriente innestati sulla lingua italiana, in definitiva volevo far suonare la voce come uno strumento musicale. Nacquero così gli Area, il cui obbiettivo dichiarato era  il superamento dell’individualismo artistico per creare una “musica totale, di fusione e internazionalità”.  Dopo i primi assestamenti di formazione, insieme a Paolo Tofani un chitarrista toscano che proveniva da beat e che diventerà poi un monaco Hare Krishna , con Ares Tavolazzi un bassista jazz di Ferrara, turnista in sale d’incisione e Patrizio Fariselli un tastierista di Cesenatico proveniente da una famiglia di musicisti, ho assaporato la libertà di fare musica dando sfogo alla mia vocalità e nel contempo impegnandomi socialmente e politicamente. Non c’è bisogno di spiegare questo tipo di musica: c’erano solo cinque musicisti che avevano una rabbia repressa perché avevano suonato per tanti anni quello che volevano i padroni. Noi riuscivamo a tradurre in musica la cultura del movimento giovanile proletario dell’epoca, la colonna sonora delle proteste e delle rivendicazioni sociali e di libertà. Abbiamo preso parte a tutti i festival organizzati dai movimenti di lotta e di protesta ma in fondo, come ho detto,  eravamo solo musicisti.

Luglio Agosto Settembre nero – Area

Mario  in quel periodo,nel 1973 esce il mio primo album solista, sono per lo più cover ma tra queste c’è “Marzo/Catarì” che è il mio omaggio alla grande canzone napoletana, realizzato alla mia maniera, metà in inglese e metà in napoletano, rivisitato con l’animo di chi era e sarà per sempre nero a metà, poi nel 1975, registro dei brani, alcuni inediti, altri cover di pezzi che piacevano a me, con Pino Daniele e Enzo Avitabile fra gli altri musicisti e finalmente, come ti ho detto, incido la mia versione di Georgia On My Mind oltre ad Arrivederci di Umberto Bindi, ma le case discografiche non prendono in considerazione le lacche perché dicono: “Ma che ce ne facimme del pianto do canto che fann’ ‘o nire”. Sarà pubblicato solo 27 anni dopo nel 2012. La verità è che a metà degli anni 70 io non ero più di moda, quella era l’epoca del progressive e dei cantautori.  

Demetrio: Bella esperienza quella con gli Area ma io non vedevo solo l’aspetto creativo della ricerca e lo studio delle nuove possibilità,  m’interessava sapere che cos’è la voce, conoscere da dove nasce, così in parallelo col gruppo inizia la mia collaborazione di ricerca con John Cage. Nel 1974 alla “Festa del Proletariato Giovanile”, nel Parco Lambro di Milano, presento i Mesostics di Cage davanti a oltre 15.000 spettatori. Bello, no? E poi studio canto armonico con il maestro Tran Quang Hai che mi introduce alla diafonia dei popoli mongoli.

Mario: Non sempre la mia produzione discografica è stata all’altezza ma io ci ho messo tanto impegno nell’interpretare ogni pezzo, lo stesso impegno che mettevo quando suonavo dal vivo; dopo ogni concerto uscivo così spossato che mi ci voleva diverso tempo per riprendere fiato. Ho dato sempre tutto me stesso sul palco come nella vita con generosità verso il pubblico e verso chi mi chiedeva consigli, mi ricordo un giorno alle prove del gruppo di Enzo Avitabile vedendo che il bassista aveva un Hofner, che allora andava di moda perché lo suonava Paul Mc Cartney, gli consigliai di acquistare un Fender dicendogli: “ Chiste le ‘a piglà a mazzate” spiegandogli come dovevano essere percosse le corde; penso gli sia rimasto qualcosa di quel che gli ho insegnato.

Ho sempre avuto il senso del ritmo e anche se non ho mai studiato canto e non conosco le note, riuscivo a trovare il feeling giusto per ogni strumento, preso come sono sempre stato dall’estro creativo.  Forse è per questo che vengo considerato l’iniziatore di quello che verrà poi definito “Neapolitan Power” ovviamente in compagnia degli amici di sempre: James Senese e Franco Del Prete; loro, dopo la mia uscita dal gruppo, avevano continuato l’attività insieme e avevano trasformato il germe degli Showmen nel nuovo gruppo “Napoli Centrale” sviluppando la formula originalissima del canto in napoletano inserito in quel rock-jazz degli anni 70 che in fondo, semplificando, era anche la cifra musicale dei tuoi Area  

Demetrio: Non mi piaceva essere inserito in una qualche formula, per questo nel 1977 ho lasciato il gruppo e mi sono dedicato unicamente alla ricerca vocale; il CNR di Padova ha voluto testare le mie possibilità, riuscivo ad emettere due/tre suoni contemporaneamente con frequenze fuori di quelle normalmente emesse dalla voce umana. Con John Cage ho tenuto una serie di concerti in tutto il mondo, per quello di New York si sono scomodati a collaborare coreografi come Merce Cunnigham,e artisti come Andy Warhol e Jasper Johns. Ho pubblicato album come “Cantare la voce” per condividere le mie esperienze, poi è arrivata la diagnosi: anemia aplastica ed è finito tutto. Dopo mi hanno dedicato canzoni, istituito serate a mio ricordo ma io avrei voluto continuare le mie ricerche, vivere, cantare, sentivo di essere solo all’inizio, che dovevo ancora esplorare tante possibilità nascoste della voce

Mario: Io dopo il 1975 ho passato gran parte del mio tempo preda della “cattiva medicina” , la stessa che aveva sterminato i miei antenati Chrokee, per cercare inutilmente di curare la sofferenza del mio vivere. Avevo ricevuto una proposta da Paul Buckmaster, l’arrangiatore di Elton John, che aveva sentito alcune mie registrazioni, dovevo recarmi a Londra per incidere con lui ma mi sono messo paura e poi quel che volevo in fondo era tornare a fare musica insieme a James e Franco ma non osavo chiederglielo perché ero stato io a far sciogliere gli Showmen. Finché un giorno, venendomi a trovare, è stato lo stesso James a chiedermi di tornare a cantare e suonare con lui e Franco. Abbiamo provato per un mese il repertorio di Napoli Centrale poi è arrivato il letale effetto della “cattiva medicina”: cirrosi fulminante. Dopo si sono accorti tutti di me grazie anche al tributo di amici come Pino Daniele e Enzo Avitabile che ha scritto Dolce Sweet M, a ricordo dei momenti vissuti assieme, nonché all’istituzione di un premio a mio nome. Addirittura a Marano, dove abitavo, mi hanno intitolato una strada e a Piscinola, il quartiere di Napoli dove sono nato, un parco.

Demetrio: Strano destino per entrambi, sono stati altri a raccogliere i frutti di quello che tu avevi iniziato e per quel che riguarda me le ricerche delle possibilità della voce si sono fermate con le mia scomparsa.

Mario: Già, ci vediamo alla prossima jam session Demetrio, ”stamme bbuono”

Tags: Demetrio StratosMario MusellamusicaOltre il Tevere
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Al taglio del nastro, accanto al sindaco Fabrizio Innocenti, era presente anche il cavaliere Valentino Mercati, patron di Aboca. Grazie alla collaborazione tra il Comune e la locale azienda del settore healthcare è stato possibile inaugurare al meglio la Fiera 2022 con l’installazione al centro della piazza cittadina del grande Dodecaedro di Leonardo. La struttura, caratterizzata al suo interno da una pianta di gelso e già protagonista nel centro di Firenze in occasione delle celebrazioni dedicate al genio rinascimentale, è stata messa a disposizione dalla famiglia Mercati per tutta la bella stagione.
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