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Strage della Caserma di Anghiari, una lettura antirevisionista

Domani il 76º anniversario della terribile esplosione in cui morirono 15 persone. Proviamo a fare chiarezza su quello che accadde davvero

di Emanuele Calchetti
17/08/2020
in Cultura
Lettura: 5 min.
Strage della Caserma di Anghiari, una lettura antirevisionista

A sin., particolare del monumento alle vittime. A destra il timer tedesco J-Feder 504. Foto M. Draghi e M. Perrier (link a fine articolo)

Il 18 agosto 1944 gli abitanti di Anghiari stavano tornando a nuova vita dopo la liberazione dall’occupazione tedesca, avvenuta una ventina di giorni prima. Alle 10.30, però, una terribile esplosione fece ripiombare il paese nella disperazione. La deflagrazione fece crollare la Caserma dei Carabinieri Reali e provocò 15 vittime e decine di feriti. Senza guardare in faccia nessuno: morirono civili e militari, bambini ed anziani, uomini e donne, fascisti e comunisti.

L’ordigno era stato lasciato dai tedeschi in ritirata in un edificio attiguo alla Caserma e per decenni non ci sono stati dubbi sul fatto che si trattasse di una strage nazista a tutti gli effetti. Ma in tempi più recenti qualcosa è cambiato e si sono fatte strada interpretazioni diverse, contro le quali prende posizione Mirco Draghi, anghiarese appassionato di storia locale: “Queste letture revisioniste”, ci spiega, “hanno insinuato dei dubbi basati su ricostruzioni fantasiose e notizie assolutamente inesatte”.

Il punto chiave su cui si fondano queste interpretazioni è uno: all’epoca non sarebbero esistiti timer con una durata di circa 20 giorni, compatibile cioè con il periodo intercorso tra l’evacuazione da Anghiari dei tedeschi, avvenuta tra il 28 e il 29 luglio 1944, e lo scoppio del 18 agosto. Da qui una conclusione apparentemente logica: per quanto l’esplosivo fosse tedesco, a provocare la detonazione sarebbe stato qualcun altro, intervenuto ben più tardi della ritirata nazista. Ma Draghi smentisce questa tesi con forza: “Nonostante la negazione di sedicenti esperti di armi”, argomenta, “quel timer c’era eccome! Si chiamava J-Feder 504 ed era in uso ai tedeschi già da alcuni anni. La sigla 504 non è casuale ma indica il numero di ore massime per cui poteva essere dilazionato: 504 ore corrispondono a 21 giorni esatti”.

  • Il contenitore del J-Feder 504, largo circa 25 cm. Foto M. Perrier
  • Il kit completo all’interno dell’apposito contenitore. Foto M. Perrier

Del J-Feder 504, una spoletta a orologeria lunga poco meno di 20 cm, parlano fin dall’epoca della Seconda guerra mondiale numerosi testi. Per esempio già War Department Technical Manual, vol. 30 (cap. VIII, p. 91), datato 1º marzo 1945, riporta la fotografia del kit e spiega che “may be set to function at any desired time from 10 minutes to 21 days” (può essere impostato per funzionare in qualsiasi tempo desiderato da 10 minuti a 21 giorni). Giorni e ore potevano essere combinati attraverso due ruote dentate, come spiegano tantissime altre fonti che illustrano il funzionamento del pezzo. Tra queste German Mine Warfare Equipment (parte 2, cap. 5.57), pubblicato nel 1952 dal Department of the Army statunitense, che è eloquente quando parla dell’utilizzo del J-Feder 504: “This device is used for the delayed detonation of large charges in areas abandoned to an opposing force” (Questo dispositivo è utilizzato per la detonazione ritardata di grosse cariche in aree abbandonate ad una forza nemica). Proprio quello che è accaduto ad Anghiari, e naturalmente non solo. Ian Jones in Malice Aforethought: A History of Booby Traps from the First World War to Vietnam (2016) – insieme a informazioni tecniche e a considerazioni sui limitati margini di errore di uno strumento di grande precisione per l’epoca – ricorda il suo ripetuto utilizzo durante la Seconda guerra mondiale proprio in Italia. Come del resto già faceva D. C. Bailey nel 1945 in Engineers in the Italian Campaign, 1943-1945 (p. 21).

  • Particolare del quadrante che mostra giorni (in rosso) e ore (in nero) dopo i quali è programmato lo scoppio. Foto M. Perrier
  • Le ruote che consentono di impostare il ritardo desiderato in giorni (fino a 21) e ore (o frazioni da 10 minuti). Foto M. Perrier
  • La spoletta a orologeria J-Feder 504. Foto M. Perrier

“La pratica di provocare esplosioni fortemente ritardate era diffusa”, conferma Mirco Draghi, “e restando nei dintorni venne attuata anche a Citerna e a Villa Sterpeto. A Citerna, che i tedeschi avevano lasciato tra il 25 e il 26 luglio, l’ordigno fu disinnescato in tempo dagli inglesi l’11 agosto”. Ne parlano loro stessi nel 12th Royal Lancers War Diary, citato anche da Alvaro Tacchini in Guerra e Resistenza nell’Alta Valle del Tevere (p. 256) a sostegno della tesi dell’esistenza di timer a lunga durata. Della bomba il diario del 12º Lancieri ricorda anche il ticchettio, e questo per Draghi è “un elemento non trascurabile: il ticchettio, che il J-Feder 504 emetteva allo spostamento delle ruote dentate, ritorna a Citerna come ad Anghiari, dove molti dicono di averlo sentito nei giorni precedenti alla strage. A ulteriore conferma del fatto che il timer era regolarmente in funzione”. Altro caso eloquente è quello di Villa Sterpeto: “I tedeschi vi si erano rifugiati dopo aver abbandonato Anghiari, tra il 29 e il 31 luglio, e la bomba esplose all’una di notte del 16 agosto: anche in questo caso dopo oltre 15 giorni”, fa presente il nostro interlocutore. In quella circostanza non ci furono vittime, e Giuseppe Bartolomei ne I sentieri della guerra (1994) fa un’ipotesi sul perché rafforzando la tesi dell’azione deliberata dei soldati in ritirata: “Pare che un ufficiale tedesco, prima di partire, avesse lasciato intendere qualche cosa ad una delle donne di casa, altrimenti sarebbe stata una carneficina”.

Insomma, l’esistenza già all’epoca di un timer in grado di provocare una detonazione a distanza di 21 giorni risulta ampiamente documentata. Ciò sembra sgomberare il campo da quella che poteva apparire la più solida e sostanzialmente l’unica argomentazione a sostegno della tesi della “mano non tedesca” dietro la strage della Caserma. “Chiarire come andarono veramente i fatti”, commenta in merito Mirco Draghi, “serve anche a evitare che si gettino fango e sospetti sui ragazzi della FSS (Field Security Section, la Polizia britannica), a cui erano aggregati numerosi anghiaresi tra i 17 e i 25 anni. Sicuramente vivaci, sicuramente inesperti, sicuramente non impeccabili come tutti gli esseri umani, comprensibilmente orgogliosi dei lunghi mesi alla macchia prima e della collaborazione con l’esercito inglese poi”, dice Draghi, “ma che certo non meritano di essere discreditati sulla base di interpretazioni infondate”.

Tutte le foto del J-Feder 504 sono state gentilmente concesse da Michel Perrier.

Tags: AnghiariguerraMirco Draghistoriastrage della Caserma
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