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Anni ’60: la Gran Bretagna invade l’Italia, in musica

Ci invasero, armati di chitarre elettriche, facendo molto rumore e cantando in un italiano a tratti incomprensibile a causa del loro accento. Sono i complessi anglosassoni che negli anni 60 vennero in Italia in cerca di successo. Dopo di che la nostra musica non fu più la stessa

di Moreno Metozzi
14/01/2021
in Oltre il Tevere
Lettura: 13 min.
Anni ’60: la Gran Bretagna invade l’Italia, in musica

Prima dell’arrivo dei gruppi e dei solisti anglosassoni in carne ossa e chitarre, arrivarono da noi le radio pirata. In maniera “carbonara”, roba non per grande pubblico ma per addetti ai lavori, le trasmissioni di Radio Carolina, emittente che agiva da una nave ancorata fuori dalle acque territoriali inglesi e radio Luxembourg, che aveva sede nell’omonimo principato, fecero giungere anche in Italia le canzoni dei rappresentanti del “beat”, musica che la Rai trasmetteva solo in minima parte e controvoglia. La nostra radio nazionale attraverso i suoi programmatori aveva l’abitudine di accompagnare ogni disco da trasmettere con una sommaria descrizione; per il primo grande successo dei Beatles, “I Want To Hold Your Hand”  l’appunto d’accompagnamento recitava così: ”Gruppo vocale/strumentale non molto intonato”. Il 45 giri in questione aveva venduto oltre 15 milioni di copie!

Con tali premesse gli appassionati, gli autori di canzoni, i musicisti dei primi complessi beat di casa nostra, muniti di apparecchi di ricezione potenti dal momento che Radio Luxembourg, la più ascoltata da noi, trasmetteva in onde medie, nonché di registratori a nastro, i mitici “Geloso”, seguivano le nuove tendenze musicali prendendo spunto  dalle canzoni più interessanti o da quelle che erano in classifica, per scegliere quali riproporre in italiano, trascrivendo la musica e traducendo il testo, o inventandolo daccapo, quando non era facilmente decifrabile. Un esempio eloquente è rappresentato da “Papà e Mammà” uno dei primi successi dell’Equipe 84, cover di un brano nonsense, “Papa-Oom-Mow-Mow”, dei Rivingstons, un gruppo nero di stile doo-wop, (quello sul quale si faceva agitare il cerchio dell’Hula Hoop tanto per intenderci)  genere antenato del Surf, pezzo usato fra gli altri da Stanley Kubrick nel film “Full Metal Jacket”, ma che il complesso italiano aveva ascoltato in radio nella versione dei Beach Boys e aveva poi riadattato in modo “apocrifo”.modificandone l’armonia delle prime due strofe e lasciato inalterato il caratteristico accompagnamento vocale. Per questo come per altri pezzi “piratati” del periodo gli autori originali non sono citati nei crediti, un vero e proprio “furto” musicale..

Equipe 84 – Papà e mamma
The Rivingtons

Infine anche la Rai, sulla spinta di questa nuova cultura decise di dedicare spazio alle nuove tendenze musicali. Così iniziarono le due trasmissioni storiche, prototipo per molte di quelle successive, vale a dire Bandiera Gialla nel 1965 e Per Voi Giovani,  nell’anno successivo, entrambe uscite dalla fantasia di Gianni Boncompagni e Renzo Arbore, diventate fin da subito fenomeno di costume.

Il mondo giovanile italiano era quindi pronto ad accogliere i suoi nuovi idoli musicali dal vivo e non più solo su disco. Il terreno per l’invasione di complessi e artisti d’oltremanica era particolarmente favorevole anche dal punto di vista del mercato discografico che negli anni 60 era decisamente ricco; era presente una grande domanda di musica, in sintonia con il boom economico, ed era in corso la diffusione di massa del giradischi, non più oggetto di lusso ma elettrodomestico di consumo, fino all’economico ma micidiale (per i dischi) mangiadischi a 45 giri. In Gran Bretagna la domanda di musica era altrettanto forte ma c’era un eccesso di offerta a causa del gran numero di gruppi di media e discreta professionalità che non riuscivano a sfondare nel mercato discografico. Lo sbocco primario era la Germania, dove c’era un grande contingente di militari americani. Gli stessi Beatles agli inizi si esibivano in un locale del quartiere a luci rosse di Amburgo alternandosi sul palco con… Mino Reitano e avevano inciso in tedesco cover dei loro primi successi.

La buona predisposizione del mercato musicale di casa nostra fece venire l’idea a molti complessi di trasferirsi in Italia, e nel contempo ad alcuni discografici nostrani di trovare gruppi, e potenziali successi, in UK, e quindi di affidare canzoni, soprattutto cover, da cantare in italiano (con forte accento inglese, gradito, dava un tono di autenticità) a complessi che venivano presentati come già noti internazionalmente.

Oltre a quelli che si sono stabiliti e hanno avuto successo in Italia (e in molti casi solo qui) di cui parliamo nel seguito di questo articolo, molti altri complessi  e solisti hanno fatto incursioni in Italia, proponendo versioni in italiano di loro successi o partecipando al Festival di Sanremo e incidendo le loro canzoni in italiano. Così è stato per gli Yardbirds di Eric Clapton, Jeff Beck e Jimmy Page e gli Hollies di Graham Nash (entrambi i gruppi presenti a Sanremo), per i Los Bravos, per i Rascals e addirittura per i Rolling Stones che hanno inciso “Con Le Mie Lacrime” cover della loro “As Tears Go By” e per David Bowie la cui “Space Oddity” divenne “Ragazzo Solo Ragazza Sola”, con (sciagurato) testo italiano di Mogol

The Rokes: i Beatles italiani (anche se erano inglesi)

L’importazione massiccia di gruppi dalla Gran Bretagna prese il via nel 1963 con l’arrivo Iin Italia dei Rokes che col nome di “Shel Carson Combo” avevano già una discreta esperienza musicale in patria. Durante una serata a Roma vengono ingaggiati da Teddy Reno come gruppo accompagnatore di Rita Pavone e decidono di cambiare nome, scelto, dicono in una intervista dell’epoca, come pronuncia sbagliata di “rakes” (rastrello). Dal loro primo 45 giri del 1964 è un crescendo di successi, spesso cover ma anche brani originali scritti da loro stessi, che va da “Un’Anima Pura” passando per “C’è Una Strana Espressione Nei Tuoi Occhi” fino alle hit del 1966 “Che Colpa Abbiamo Noi” (l’originale era Cheryl’s Going Home di Bob Lind) brano che, col testo italiano di Mogol, divenne il simbolo del beat in Italia e col quale si classificarono secondi al Cantagiro del 1966 dietro gli amici-rivali dell’Equipe 84, successo immediatamente bissato da “È La Pioggia Che Va” cover anch’essa di un brano di Bob Lind, “Remenber The Rain” e pure quella per la versione italiana  di Mogol, che arriva al primo posto della classifica di vendita dei 45 giri.

Che colpa abbiamo noi

A questo punto i Rokes vengono definiti dalla stampa nostrana “I Beatles italiani” ma Shel Shapiro, il cantante e compositore della band e Mike Shepstone batterista, discendente del poeta britannico John Keats, non si accontentarono e intuite le potenzialità del brano “Piangi con Me” musica di Shapiro, testo del solito Mogol, blandamente “protestatario”, ne prepararono una versione in inglese, con testo totalmente diverso, elaborato dallo staff di parolieri della loro casa discografica inglese. “Let’s Live For Today”, questo il titolo, è un inno all’amore e anche all’individualismo, ma prende di mira pure il carrierismo e i miti della società dei consumi. In una parola, ne era venuta fuori una canzone molto più efficace e più coerente con la struttura musicale a domanda risposta e a forte contrasto (pianissimo e quasi parlato contro esplosione a squarciagola, due voci diverse, quelle di Shel e Mike, per il canto e il controcanto) Il brano ha venduto oltre due milioni e mezzo di copie ma le cose non sono andate come i Rokes speravano. perché ad avere così tanto successo in UK, ma soprattutto in USA dove divenne una specie di inno per i reduci dal Vietnam, non fu la loro versione ma quella degli americani Grass Roots. Un curioso caso di cover “a rovescio” diventata una hit planetaria. E pensare che in Italia il pezzo originale era solo il retro del loro 45 giri di maggior successo “Che Colpa Abbiamo Noi”. A proposito del testo inglese si possono fare due considerazioni entrambe piuttosto amare: il fatto che risulti ancora attuale dimostra che a quasi 60 anni dalla sua stesura le cose non sono umanamente  molto cambiate e che per scrivere parole così efficacemente significative ci si sia dovuti rivolgere ai professionisti che lo hanno fatto per altri fini, meramente commerciali.

The Grass Roots

Ai Rokes toccò il compito ingrato di aprire la serata finale del festival di Sanremo 1967 il giorno dopo il suicidio di Luigi Tenco con un brano dal titolo emblematico “Bisogna Saper Perdere” col quale erano in gara quell’anno. Strana coincidenza. ma fu un loro ulteriore successo di vendite.

I Rokes hanno partecipato al “musicarello” Rita la Figlia Americana del 1965 esibendosi in coppia con…Totò.

Rita la Figlia Americana

Una leggenda da sfatare è la rivalità fra Rokes ed Equipe 84 sicuramente montata e alimentata dai discografici. I due complessi erano molto amici al punto che il testo italiano di “Papà e Mammà” dell’Equipe è di Shapiro e che, Mike Shepstone sostituì nel gruppo modenese Alfio Cantarella alla batteria, quando quest’ultimo rimase per lungo tempo ai domiciliari per possesso di droga.

Il gruppo si scioglie nel 1970. Shapiro ha intrapreso, sempre in Italia, una fortunata carriera come produttore musicale, attore e scrittore.

The Primitives: c’è Mal

Ingaggiati per una stagione da Alberigo Crocetta, proprietario del Piper di Roma che li aveva visti e ascoltati a Londra in compagnia di Gianni Boncompagni, perché trascinanti e coinvolgenti (ai tempi si ballava con musica eseguita dal vivo, dovevano ancora prendere piede le discoteche) i Primitives in un solo anno, tra la fine del1966 e la metà dell’anno successivo, inanellano un paio di hit nella classifica italiana nonché la partecipazione al “musicarello” intitolato “I Ragazzi Del bandiera Gialla” dove portano il loro più grande successo:” Yeeeeeeh!” Versione italiana di  “I Ain’t Gonna Eat My Heart Anymore” dei Young Rascals, per il cui testo nella nostra lingua si erano scomodati Luigi Tenco e Sergio Bardotti. Dopo la pubblicazione di un 33 giri dal titolo “Blow Up” zeppo di cover cantate sia in italiano che in inglese, i discografici pretesero il cambio del nome in Mal & the Primitives dal momento che il cantante Mal (al secolo Paul Bradley Couling) riscuoteva molto successo personale, specialmente presso il pubblico femminile, e facendo virare il suono della band verso lidi melodici. Per lui fu l’inizio di una fortunata carriera solistica svolta tutta nel nostro paese. Il batterista Pick Withers tornò in Inghilterra dove anni dopo fonderà i Dire Straits insieme a Marc Knopfler

The Primitives – Yeeeeeeh

Rocky Roberts & The Airedales: il saltinbanco del R&B e il suo gruppo

Rimanendo in tema di “Bandiera Gialla” fu la scelta di un brano di Rocky Roberts & The Airedales: “T Bird”, come sigla iniziale del programma radiofonico, a portare in Italia dall’America questa formazione di Rhythm & Blues con scarso seguito negli Usa, anche se i maligni insinuano, forse non a torto, che fu il servizio militare che Rocky doveva svolgere in una base Nato di casa nostra a farli “emigrare” da noi. Ballerino acrobatico oltre che cantante Rocky divenne presto un divo della TV, della musica (e anche del cinema musicale) proponendo i celebri brani R&B all’italiana “Stasera Mi Butto” e “Sono Tremendo“. Gli Airedales, orchestra di tutti neri che lo accompagnava aveva tra i suoi componenti Wess (Wess Johnson), il bassista, che sostituirà prima Roberts al canto e alla guida del gruppo, presentando canzoni in italiano come “Wess & The Airedales” (“I miei giorni felici“) e poi facendo coppia con la futura compagna di Fabrizio De Andrè nel duo “Wess e Dori Ghezzi”.

Stasera mi butto

The Motowns: piccolo (e capellone) è bello

Avevano tutte le carte in regola: erano un gruppo inglese e per di più provenivano da Liverpool, la culla del beat, con un cantante carismatico e capellone Lally Scott (vero nome Larry Marchelle). I Motowns spopolarono al Cantagiro del 1967 con “Prendi la Chitarra e Vai” ovviamente una cover, esattamente di “Lovers Of The World Unite”, del duo David & Jonathan, testo italiano nel filone di protesta di Sergio Bardotti. Dopo tale exploit, una partecipazione al film musicale “Soldati e Capelloni” e una non infame cover di “New York Mining Disaster 1941” dei Bee Gees, proposta in italiano abbastanza fedelmente con il titolo “Mr. Jones”, il gruppo si scioglie e il solo Lally continua una carriera solista prima in Italia poi all’estero. Tra i suoi successi da solista si ricorda il brano “.Chirpy Chirpy Cheep Cheep”; è autore del testo della colonna sonora del film: “Lo Chiamavano Trinità”.

Motowns

Gli altri “invasori” britannici

Insieme ai sopracitati gruppi molti altri complessi stranieri soprattutto inglesi, ma non solo fecero tappa più o meno lunga, con più o meno successo nel nostro paese negli anni 60. The Bad Boys, arrivati in Italia in un primo tempo per serate nei locali ebbero il loro quarto d’ora di popolarità grazie al al fatto che il loro brano “Shaly n°1” (Shaly con l’accento sulla y, pezzo a mio parere ignobile che invitava ad imparare questo misterioso ballo) fu per una edizione nel 1967 la sigla del programma TV Settevoci condotta da un esordiente Pippo Baudo con una gara regolata dal celebre “applausometro”, palestra per molti gruppi beat.

Da Liverpool arrivarono The Casuals grazie a Gino Paoli. 45 giri: “Il sole non tramonterà”, “L’amore dura un solo attimo”, “Massachusetts” versione italiana del successo internazionale dei Bee Gees.  Parteciparono a Sanremo 1969 con il brano di Pace e Panzeri “Alla fine della strada”. Pubblicarono anche diversi dischi in UK tra i quali il loro grande, e unico, successo internazionale, “Jesamine” del 1968.del quale fecero ovviamente anche la versione nella nostra lingua.

I Beatles vennero “coverizzati” da diversi gruppi anglosassoni presenti nel nostro paese: The Ingoes  ripresero “Help!”, che in italiano diventava, con testo dell’ ubiquo  Mogol, “Se Non Mi Aiuti Tu”; Chriss & The Stroke rifecero Golden Slumbers (Per Niente al Mondo) e Back In The USSR (Torno in Russia). La sezione fiati del gruppo ha partecipato alla registrazioni di due importanti brani di Lucio Battisti: Acqua Azzurra, Acqua Chiara (marzo 1969) e Mi Ritorni in Mente (ottobre 1969). Mike Liddell (cantante inglese) e gli Atomi (complesso italiano) con il pezzo dei quattro baronetti  We Can Work It Out (Nelle Mani Tue) e con il brano di Simon e Garfunkel The Sound Of Silence (La Tua Immagine in italiano).

Un discorso a parte meritano due gruppi: The Renegades e The Sorrows.               I Renegades  vestiti come l’esercito nordista americano ai tempi della guerra di secessione, dopo aver inciso nel 1966 la versione italiana della loro “Cadillac”, grande successo di due anni prima in lingua originale , tennero fede al loro nome disposti com’erano a qualsiasi compromesso musicale; rinnegando i loro esordi rock incisero brani melodici come L’amore è Blu parteciparono a Sanremo con Io Tu e le Rose e toccarono il fondo con Vino e Campagna (…Io verso il vino a teiiiii…) prima di risorgere fra la fine dei 70 e i primi 80 come Kim & The Cadillacs (si vede che erano affezionati a quella marca di auto).

I Sorrows, musicalmente notevoli, parteciparono con grande successo al Cantagiro del 1966, presentando Take A Heart, ovviamente tradotto in italiano come Mi si spezza il cuore (che però era pronunciato “cuor”, loro erano “hard-beat”, ma i parolieri erano italiani e la mania di troncare le parole come nelle poesie dell’ottocento, per tentare di adattare l’italiano ai tempi del rock, ancora non se l’erano tolta); nel brano come “effetto speciale” il batterista suonava i tamburi coperti da uno spesso panno. Ma il loro genere era troppo “avanti” per il gusto del pubblico italiano e malgrado i loro sforzi e soprattutto quelli del loro leader Don Fardon, dopo il ritorno nel 1967 al Cantagiro con Verde, rosso, giallo e blu (brano italiano tradotto anche per il mercato inglese) e la partecipazione a vari “musicarelli”, saranno presto dimenticati.

Sorrows

Cos’é rimasto dei gruppi musicali inglesi trapiantati in Italia nell’era beat? Innanzitutto la professionalità, e poi l’accelerazione nella sprovincializzazione della musica di casa nostra anche se molti passi da allora dovranno ancora essere fatti prima di far perdere il senso d’ingessamento dei discografici italiani per quel che riguarda l’ apertura mentale nei riguardi delle nuove tendenze musicali. Diciamo loro grazie per averci mostrato la strada tra ingenuità e mistificazioni, inevitabili all’inizio di ogni nuovo percorso.

Tags: musicaOltre il Tevere
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  • Alle 5 di mattina circa del 1° aprile 2020, dopo una nottata intera trascorsa davanti al PC a limare gli ultimi dettagli in un clima di attesa surreale, lo spazio web di #TeverePost vedeva la luce. Un parto più complesso del previsto, avvenuto nel cuore del primo lockdown, con la redazione pressoché costretta a coordinare interamente da remoto le varie operazioni di messa online e produzione dei contenuti attraverso quelle modalità di comunicazione al tempo ancora poco rodate (leggasi Skype, Zoom, Meet, ecc.) che oggi in ambito lavorativo rappresentano la quotidianità.

Non staremo ad annoiarvi con il classico malloppo di considerazioni abbastanza ovvie e scontate del tipo “anno più difficile del previsto”, “progetti bloccati dal Covid”, “nonostante tutto #celafaremo” e via dicendo. Sappiamo tutti perfettamente che questi dodici mesi sono stati uno strazio. Piuttosto vogliamo soffermarci per qualche momento su ciò che fin qui abbiamo cercato di creare, ossia uno spazio di informazione alternativo dove ogni giorno, nel nostro piccolo, ci poniamo l’obiettivo non solo di aggiornare correttamente i cittadini sui fatti di attualità, ma anche di far comprendere loro quali importanti sacrifici si celano dietro la produzione di contenuti originali e il rigetto di copia-incolla, titoloni acchiappa click ed altre pratiche tipiche del giornalismo contemporaneo. Ci auguriamo pertanto di essere stati in grado di trasmettere il nostro approccio qualitativo e ‘slow’, mettendovi nelle condizioni di percepire anche solo una minima parte di questi sforzi.

Detto questo, vogliamo ringraziare ancora una volta i magnifici supporter commerciali, i partner operativi e tutti coloro che hanno scelto di credere nel progetto TeverePost, a cominciare dai nostri attentissimi lettori. A tutti loro saranno dedicate le nostre prossime attività in cantiere. See you soon!
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  • #AccaddeOggi: il 10 marzo 2019 i passeggeri e l’equipaggio del volo di linea internazionale Ethiopian Airlines 302 morirono in un tragico schianto nei pressi di Addis Abeba. Tra le 157 persone che persero la vita, anche i coniugi Carlo Spini e Gabriella Vigiani.

Rispettivamente medico ed infermiera, Carlo e Gabriella vivevano da anni assieme ai figli a Sansepolcro, dove erano conosciuti e stimati per la loro professionalità, ma anche per l’impegno nel volontariato. Una volta in pensione, la coppia ha iniziato a dedicarsi a tempo pieno a progetti umanitari con l’associazione onlus Africa Tremila, di cui il dottor Spini era presidente.

Carlo e Gabriella erano partiti dall’Italia per andare a verificare, insieme ad un terzo volontario, il commercialista bergamasco Matteo Ravasio, tesoriere della onlus, come stavano andando avanti le attività di due progetti particolari, uno in Kenia e uno in Sudan.

L’episodio scosse l’intera comunità biturgense, dove vivono e lavorano i quattro figli. I funerali si svolsero il 17 ottobre con una cerimonia toccante in cattedrale alla quale presero parte le istituzioni locali assieme a tantissimi concittadini.
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  • Sono trascorsi sei anni dalla tempesta di vento che mise in ginocchio la città di Sansepolcro. Tetti scoperchiati, decine di piante abbattute dalle forti raffiche e danneggiamenti di ogni genere furono solo alcuni degli effetti di quell’evento atmosferico straordinario che sconvolse un’intera comunità. Le prime pesanti criticità furono riscontrate già prima dell’alba, con le folate che proseguirono implacabili fino al primo pomeriggio. L’episodio ottenne risalto nazionale, con vari politici e personalità che giunsero al Borgo per comprendere l’effettiva gravità dell’accaduto.
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  • La prima edizione del Rally Valle del Tevere – promo event del Tour European Rally Series e seconda prova del Challenge Raceday Rally Terra – va in archivio con il successo di Nicolò Marchioro e Marco Marchetti su Škoda Fabia. L’evento ha visto al via di Sansepolcro ben 112 equipaggi internazionali e, come nelle intenzioni degli organizzatori di Valtiberina Motorsport, ha costituito un’importante vetrina promozionale per il territorio ed ha avuto il supporto delle amministrazioni comunali, presenti alla premiazione finale con il sindaco di Anghiari Alessandro Polcri e gli assessori di Pieve Santo Stefano e Sansepolcro Federico Cavalli e Riccardo Marzi.
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  • La Asl Toscana Sud Est ha reso noti i dati definitivi dello screening di massa che si è svolto da martedì a sabato della scorsa settimana a Sansepolcro. In totale si sono sottoposte al test molecolare 5.775 persone tra residenti a Sansepolcro, lavoratori provenienti dai comuni toscani limitrofi e studenti delle scuole cittadine. I positivi al coronavirus sono stati complessivamente 22, di cui 16 residenti nel capoluogo biturgense.
👉 L’articolo completo al link in bio.
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  • #Fotonotizia: il Comune di Sansepolcro ha diffuso alcune immagini del cantiere del nuovo ponte sul Tevere. I lavori per la realizzazione della nuova infrastruttura sono ripartiti lunedì scorso dopo che un sopralluogo dei Carabinieri Forestali dello scorso 30 novembre aveva fatto emergere una serie di irregolarità, oggi risolte.
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