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Referendum, le ragioni del sì. Mauro Gallorini: “Primo passo perché le Istituzioni democratiche gravino meno sul bilancio statale”

“Rappresentanza territoriale garantita anche dalle Regioni. La riduzione faciliterà il taglio degli assenteisti”

di Emanuele Calchetti
16/09/2020
in Politica
Lettura: 4 min.
Referendum, le ragioni del sì. Mauro Gallorini: “Primo passo perché le Istituzioni democratiche gravino meno sul bilancio statale”

Mauro Gallorini

Per quanto riguarda le ragioni del sì, la serie di interviste condotta da TeverePost relativamente al referendum costituzionale sul taglio dei parlamentari in programma domenica e lunedì si chiude con Mauro Gallorini, operaio Buitoni e attivista del Movimento 5 Stelle. Che tiene tuttavia a precisare di parlare a titolo personale e non a nome della forza politica pentastellata.

Perché votare sì?

Il funzionamento delle Istituzioni democratiche in Italia è il più caro a livello europeo, e questo è un passo importante per far sì che inizino a gravare meno sul bilancio statale. Non so se fosse il primo da fare, ma da qualche parte sicuramente bisognava iniziare a muoversi. È stato detto che bisognava iniziare dagli stipendi, ma noi come Movimento 5 Stelle siamo gli unici a dimezzarli e restituirli alle Istituzioni. Anche per quanto riguarda i rimborsi elettorali ci siamo già mossi: ci sono partiti che non esistono più e ancora li prendono, mentre noi siamo solo alla seconda legislatura in Parlamento e ci abbiamo già rinunciato. Per ridurre i costi serve una volontà politica, e le Camere si sono espresse a larghissima maggioranza per ridurre il numero dei parlamentari appoggiando questa riforma costituzionale.

I sostenitori del no sottolineano che si riduce la rappresentanza dei cittadini e dei territori.

Bisogna fare uno sforzo di memoria: i padri costituenti hanno voluto dare una rappresentanza proporzionale alla popolazione, poi la popolazione italiana è aumentata, è cambiata anche la distribuzione nel territorio, perché i cittadini si sono spostati nelle città, ed è cambiata la struttura sociale della nostra nazione. Nel 1963 col governo Fanfani si è stabilito il numero attuale, che poi non è più cambiato. Sul tema della rappresentanza bisogna ricordarsi che esistono anche istituzioni intermedie: nel 1970 c’è stato il primo voto per le Regioni a statuto ordinario, sicché la rappresentanza nelle Istituzioni da parte dei territori è garantita già nei Consigli regionali, visto che in Italia abbiamo in totale 884 consiglieri regionali. Anche quella è rappresentanza del territorio, quindi rispetto all’impostazione decisa dai padri costituenti nel frattempo sono subentrate altre istituzioni. Esistono poi gli enti provinciali, ma è stata tolta la possibilità di sceglierne i membri, visto che non li votano più i cittadini ma i consiglieri comunali, e questo allontana ulteriormente le Istituzioni dalle persone.

In questa fase pre-elettorale molti partiti appaiono in difficoltà nel dare un’indicazione di voto certa al referendum.

Il fatto di essere in difficoltà su questo referendum è una cosa che mi lascia un po’ interdetto, perché prima tutti i partiti politici si sono espressi a favore, mentre adesso molte persone in alcuni partiti si stanno rimangiando la parola e vengono fuori comitati del no. Lo trovo veramente squallido, perché ricordiamoci che questo non è un referendum abrogativo ma è un referendum confermativo di ciò che le Camere avevano già votato come legge; un referendum che c’è grazie ad alcuni senatori che hanno firmato perché venisse fatto, mentre anche i soldi per organizzarlo secondo me si potevano sicuramente risparmiare.

La diminuzione dei parlamentari aumenterà la qualità del Parlamento?

Io penso che questa sia un’occasione per il popolo italiano, anche perché non scordiamoci che quei vecchi politicanti che sono lì da trent’anni, e me ne vengono tanti in mente, sono lì proprio grazie a questo grosso numero, perché riescono grazie alle leggi elettorali a essere candidati in varie circoscrizioni e con questi meccanismi ad essere eletti. Due esempi che un pochino mi disturbano: uno è l’avvocato Ghedini, che è presente da varie legislature all’interno del Parlamento italiano e ha il 99% di assenze. È l’avvocato di Berlusconi ed è entrato in aula praticamente solo per votare le fiducie al Governo Berlusconi; un’altra è la Brambilla, che anche lei ha il 98% di assenze. Se i partiti devono mettere queste persone a rappresentarci nel Parlamento devono avere il coraggio di farlo direttamente, e riducendo il numero delle persone il rischio che queste persone si ripresentino è minore.

Perché?

Perché per un grande partito è un rischio su circoscrizioni più grandi mettere tutti nullafacenti, perché altrimenti chi è che partecipa alle commissioni, chi è che fa andare avanti il Parlamento? In Parlamento c’è anche gente che lavora, mentre gli altri dopo il taglio avranno più difficoltà a entrarci. O almeno me lo auguro.

Spesso si fa riferimento ai parlamentari parlando di “casta”. Non c’è il rischio che, essendo meno, diventino ancora più “casta”?

La casta diventa tale nel momento in cui all’interno del partito ci sono delle dinamiche che lo permettono, per esempio dando la possibilità di riproporre sempre le stesse persone. Secondo me il vincolo dei due mandati del Movimento 5 Stelle – che per i parlamentari è stato mantenuto, perché il mandato zero vale solo per i consiglieri comunali – è una garanzia. Posso fare anche autocritica: nel momento in cui nel Movimento 5 Stelle ci si ritrova a fare casta si sbaglia. C’è l’esempio della nostra circoscrizione con la candidatura di De Falco calata dall’alto. È vero che poi è stata votata dagli iscritti, ma è stata votata per dare corpo a questa scelta. Era una persona che non aveva nulla a che fare con il nostro gruppo politico e infatti poi ha fatto altro. Questo secondo me è stato deleterio, ha impoverito l’azione del Movimento 5 Stelle nel territorio: è stato eletto anche con i voti di Sansepolcro, ma qua non è mai venuto. Se si vanno a cercare gli uomini forti, gli uomini che dettano legge, ogni partito diventa casta, ogni movimento politico. Anche perché – e questa è una cosa che sento – il grosso handicap del Movimento è la richiesta di partecipazione. Partecipare è faticoso, mentre purtroppo quello che sta venendo fuori ultimamente è una grossa voglia di delega: “Voto lui, ci pensa lui”. Questa è una riflessione che faccio anche all’interno del M5S. Manca cultura politica, perché non si cerca la libera partecipazione, e questo delegare a una persona che risolve tutti i problemi è molto rischioso

Come andrà il voto referendario?

Io mi auguro che vinca il sì con distacco, perché vorrà dire che il popolo italiano ha recepito il messaggio.

Tags: Mauro Gallorinireferendumreferendum 2020
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