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Torcoletti calabresi, le tradizioni di Pasqua

Con l'avvicinarsi delle festività pasquali, l'associazione Le Centopelli propone una serie di ricette tipiche del periodo. La prima è presentata dalla signora Maria Iantorno assieme ai consigli di AIS e Augusto Tocci

di Le Centopelli
06/03/2021
in Gastronomia consapevole
Lettura: 5 min.
Torcoletti calabresi, le tradizioni di Pasqua

Ci stiamo avvicinando a Pasqua, e in queste settimane cercheremo di proporre pietanze tipiche della tradizione. Iniziamo con i torcoletti calabresi, una ricetta antica e ovviamente non legata alla nostra zona. Detta: “dolce dei poveri” in quanto contiene i beni primari di una volta, e la scarsa quantità di zucchero (perché non c’era), li rende molto appetitosi e digeribili. Veniva eseguita nel periodo di Pasqua al sud Italia, e particolar modo in Calabria. Nelle treccine veniva messo per i bambini un uovo che veniva cotto nel forno assieme all’impasto. Ora si usa farli tutto l’anno.

Ad illustrarci la procedura di preparazione è la signora Maria Iantorno, le cui figlie gestiscono uno dei ristoranti più noti di Sansepolcro. È chiaro che essere figlie d’arte non è solo un modo di dire.

Ingredienti

Per 6 torcoletti medie dimensioni:

  • 850 gr farina 0
  • 4 uova medie
  • 150 ml olio di semi
  • 180 ml latte
  • 150 gr zucchero
  • 1 cartina di lievito per dolci
  • 1 cucchiaino di scorza grattugiata di limone

Procedimento

Mettere in una ciotola le uova e lo zucchero, iniziare a lavorarle con lo sbattitore elettrico, aggiungere l’olio sempre continuando a frullare, poi il latte e la scorza di limone grattugiata, un po’ alla volta aggiungere la farina setacciata, e la cartina di lievito.

Spegnere il frullatore e girare con un cucchiaio il composto, dopodiché mettere il composto in una spianatoia, iniziate a lavorare con le mani fino a formare un panetto bello liscio ed omogeneo.

Tagliare con un coltello una parte di composto e formare dei serpenti di pasta, intrecciare fra di loro e chiudere a torcoletto. Adagiare i torcoletti in una teglia ricoperta da carta forno.

Infornare su forno statico preriscaldato a 200 gradi per 10 minuti, dopo di chè abbassare la temperatura a 150 gradi e lasciarli cuocere per altri 25 minuti sempre nella parte centrale del forno.

Torcoletti e Malvasia di Candia

Ais Delegazione di Arezzo – Gruppo operativo Valtiberina Toscana consigliano:

a cura di Antonella Greco

Questa settimana in abbinamento ai Torcoletti Calabresi, vi presentiamo la Malvasia di Candia Aromatica dei Colli Piacentini (secco). In origine la malvasia si produceva principalmente a Creta o a Rodi (vini Cretici), e dava vita ad un vino tendenzialmente dolce, molto apprezzato.

Nel medioevo trovò il suo punto di principale smercio a Monemvasia, a sud Del Peloponneso. I veneziani, famosi in Europa per i loro commerci, fecero il resto. Diventò ben presto una voce importante del loro bilancio tanto che molte delle osterie veneziane vennero chiamate Malvase (storpiando il nome del vino in momvasia, malvagìa, fino ad arrivare a malvasìa) così come alcuni dei vicoli.

Ad oggi esistono numerose varietà di Malvasia, tanto da creare talvolta un po’ di confusione. Esistono ad esempio la Malvasia Lunga, di Lipari o di Casorzo, di Schierano, di Lecce, del Lazio (Puntinata), della Basilicata, Istriana, del Chianti e di Candia.

Questa ultima ha generalmente un colore giallo paglierino con riflessi dorati (un giallo carico per intendersi), e un profumo di muschio accompagnato ad una accentuata albicocca. In bocca è fresco e sapido, abbastanza persitente. Ha un residuo zuccherino più alto rispetto ai vini bianchi nn aromatici ed è il motivo per cui l’abbiniamo al Torcoletto Calabrese che al palato risulta leggermente più dolce che salato.

Nunc est bibendum!

I consigli di Augusto Tocci

Olio di semi – È un ingrediente essenziale della nostra cucina. A differenza dell’olio d’oliva, che viene  estratto meccanicamente (mediante frangitura dei frutti), si ricava impiegando sostanze chimiche appropriate. Tuttavia è molto indicato per la alimentazione umana, specialmente crudo.

Scegliamo bene – Tante sono le specie di olio di semi in commercio, che si distinguono in base al seme da cui vengono estratti. Quello di arachide dal caratteristico gusto neutro, contiene acidi monoinsaturi e, fra tutti, è il più adatto per friggere. Quello di mais, inadatto per questo metodo di cottura, è appropriato per condire a crudo piatti delicati e per la preparazione della maionese. Quello di girasole ha un aroma leggero, va bene per le salse ed è preferibile consumarlo sempre crudo, perché ricco di acidi polinsaturi. Quello di soia è meno pregiato dei precedenti, anche perché facilmente ossidabile e molto ricco di acidi polinsaturi. Oltre quelli descritti, ne esistono altri, meno comuni ma con caratteristiche simili, come quelli di sesamo o di lino. Altri ancora sono quelli modificati in laboratorio per resistere al calore, utili per friggere ma privati di ogni sapore. La scelta degli oli di semi, dunque, dovrà basarsi essenzialmente sulle informazioni riportate sulle confezioni. In ogni caso, acquistiamo oli itali ni, indipendentemente dai costi, che per questi prodotti sono sempre contenuti.

Proprietà – Nello scaldare l’olio di semi per cuocere pietanze, bisogna fare molta attenzione a non raggiungere il così detto “punto di fumo”, cioè la temperatura che determina la formazione di sostanze volatili nocive per il fegato. È questo il motivo per cui è sempre meglio friggere con l’olio d’oliva o lo strutto di maiale, che hanno punti di fumo dai 220 ai 260 gradi.

Tags: Augusto Toccigastronomia consapevoleLe Centopelli
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