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19 marzo, il giorno dell’insurrezione

Nel 1944 la popolazione di Sansepolcro si ribellò al regime. Ecco come andarono le cose

di Emanuele Calchetti
19/03/2021
in Attualità, Cultura
Lettura: 3 min.
19 marzo, il giorno dell’insurrezione

Il monumento che ricorda l'insurrezione del 19 marzo, inaugurato nel 2014 nella strada intitolata a tale data (foto originale Anpi Sansepolcro)

Sono passati 77 anni da quel 19 marzo 1944 nel quale la popolazione di Sansepolcro si ribellò alle autorità fasciste. La scintilla fu l’anticipazione del coprifuoco alle 18, decretata dopo l’aggressione subita da un sostenitore della Repubblica sociale. L’episodio è raccontato da Giovanni Ugolini nel suo libro del 1945 È passata la rovina a Sansepolcro, dove si parla del “caso Cirignoni”, con riferimento a uno “squadrista e invalido di guerra” che lavorava come sorvegliante notturno alla Buitoni: “La notte del 18 marzo 1944 mentre il Cirignoni claudicando va dalla sua abitazione al luogo di lavoro viene aggredito da due sconosciuti che lo atterrano con alcune percosse. L’assalito è armato e, nonostante sia stato atterrato, riesce ad esplodere due colpi di rivoltella contro gli assalitori che si dileguano”. Ugolini commenta che “le lesioni non sono gravi come vorrebbe fare apparire il partito fascista, il quale, per dare una dura lezione a tutta la popolazione, sfruttando un caso privato per fini politici, impone improvvisamente, quale rappresaglia, il coprifuoco alle ore diciotto”.

La voce dell’adozione del provvedimento si sparse dalla mattina, ma il relativo manifesto fu affisso solo nel pomeriggio. In molti restarono fuori dopo le 18, pronti a giustificare la disobbedienza “asserendo di non aver conosciuto il provvedimento perché rientrati dalla campagna”. Furono in molti però ad avere lo stesso pensiero, cosicché allo scoccare del coprifuoco “le strade formicolavano di gente”. Alle 18.30 i carabinieri tentarono di disperdere la folla lanciando petardi, ma la reazione non fu quella sperata: “Urla minacciose e invettive vennero lanciate all’indirizzo dei rappresentanti dell’ordine ed in modo speciale contro il maresciallo Tronci, attorno al quale di formava un cerchio minaccioso. I fascisti repubblicani che hanno provocato l’incidente, – ricorda Ugolini – fedeli al loro consueto modo di agire, sono assenti ed hanno lasciato nelle peste i carabinieri”. “La manifestazione – scrive Alvaro Tacchini nel volume La battaglia di Villa Santinelli e la fucilazione dei partigiani – nella quale si udirono canti social-comunisti, colpi d’arma da fuoco e scoppi di petardi, si esaurì senza gravi conseguenze”, ma solo dopo che i carabinieri si furono ritirati in caserma.

Dopo circa un’ora la gente cominciò a rientrare a casa. Verso le 20 o le 20.30 arrivò a Sansepolcro un gruppo di partigiani, probabilmente una trentina, scesi dall’Alpe della Luna, che le autorità fasciste descrissero come “una forte banda ribelle, evidentemente in connivenza con i dimostranti”. I partigiani occuparono il telefono pubblico, ma l’addetto riuscì a chiedere soccorso a Città di Castello. Nel frattempo i ribelli tentarono di catturare alcuni fascisti e presero d’assedio senza esito la caserma dei carabinieri. Sequestrarono poi un autobus costringendo a guidarlo il figlio del proprietario. Poco dopo si imbatterono nelle pattuglie nemiche che erano arrivate da Città di Castello. Tacchini qui evidenzia “la prontezza di spirito dell’autista Luigi Baschetti, che puntò i fari del torpedone verso le mitragliatrici, impedendo un tiro accurato” e permettendo ai partigiani di sfuggire all’agguato. Alcuni di loro si sarebbero diretti in Umbria: la gran parte del gruppo guidato da Eduino Francini avrebbe trovato la morte per fucilazione otto giorni dopo, in seguito alla battaglia di Villa Santinelli. Nel frattempo erano sopraggiunti anche motociclisti delle SS tedesche e altri militi da Arezzo e da Perugia. La notte e il giorno successivo vennero fermati e interrogati numerosi cittadini, vennero effettuate perquisizioni e si ebbe “uno strascico di violenze e intimidazioni”.

“In termini di vittime – riassume Tacchini – le conseguenze degli scontri furono tutto sommato limitate: si contarono tre feriti tra carabinieri e militi fascisti e uno o due tra i partigiani; inoltre fu assassinato un uomo, in circostanze rimaste oscure”. Ma nonostante la limitata valenza militare dell’episodio e l’inconsistenza dei risultati ottenuti, “gli eventi di Sansepolcro del 19 marzo – come scrive sempre Alvaro Tacchini – suscitarono vasta eco, soprattutto per il significato politico della spontanea protesta di massa contro il regime fascista”. Un significato che è rimasto impresso nella popolazione di Sansepolcro, che ancora oggi ogni 19 marzo ricorda questa data di 77 anni fa. Negli ultimi due anni, per ovvi motivi, senza pubblico nelle consuete cerimonie presso il monumento nella via denominata proprio “XIX Marzo”, ma continuando doverosamente a celebrare un episodio importante della storia collettiva della città.

Tags: 19 marzopartigianiResistenzaseconda guerra mondialestoria
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