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Uova in trippa, la versione valtiberina

Un secondo economico, rustico e proveniente dal mondo contadino. Ce lo presenta l'associazione Le Centopelli nel nostro consueto appuntamento gastronomico

di Le Centopelli
08/05/2021
in Gastronomia consapevole
Lettura: 5 min.

a cura di Meri Torelli
Le uova trippate o finta trippa è un piatto di origine romana, diffusasi col tempo nel resto del centro Italia, e in ogni regione viene personalizzata con le variazioni locali.

È  un secondo economico, rustico e proveniente dal mondo contadino. Nutriente e sostanzioso ma semplice nella sua preparazione e negli ingredienti usati.

Le uova trippate non sono altro che delle semplici frittate tagliate a striscioline e condite con della passata di pomodoro. La particolarità di questo piatto come tanti piatti  così detti poveri, è che serviva per riciclare gli avanzi, come il sugo della domenica. Era inoltre un classico piatto della quaresima, che sostituiva, almeno nell’aspetto, la classica trippa di carne.

Ci ha inviato la sua versione la nostra amica  Norma Bardossi che ringraziamo per la sua affezionata collaborazione.

Ingredienti

  • 4 uova
  • 50gr. di pan grattato
  • 50gr. di latte
  • 50gr. di grana
  • Passata di pomodoro
  • Olio, pepe e sale
  • Aglio e prezzemolo

Procedimento

Fare 4 frittatine poi tagliarle a strisce.

Condirle con pomodoro precedentemente cotto con olio e aglio.

Alla fine aggiungere il prezzemolo.

Ais Delegazione di Arezzo – Gruppo operativo Valtiberina Toscana consigliano

a cura di Antonella Greco

Anche questa settimana ci troviamo al cospetto di una ricetta a dir poco “geniale”: semplice ma infinitamente gustosa. Che sembra, ma nn è, e che gioca nel creare l’illusione sia agli occhi che al palato. Sarà trippa? Sarà Frittata? Mettiamo insieme questi elementi, genuinità, illusione e genialità e salta fuori un vino che si sposa anche perfettamente con la grassezza dell’uovo, l’untuosità della frittata, la tendenza dolce ed acida del pomodoro, la speziatura dell’aglio e del prezzemolo. E’un vino bianco? No, no! E’ forse nero? Nonono! E se davanti a questa pietanza ci rimbocchiamo le maniche per degustarla al meglio, viene fuori un solo nome: il Cerasuolo d’Abruzzo Doc, un vino rustico e vivace proprio come la sua terra di origine. Chiamato per anni Roscioletto, perché considerato di poco valore in quanto scarico di colore, o Ciliegiuolo tanto da confonderlo con il Ciliegiolo toscano, finalmente nel 2010 ha ottenuto la sua meritatissima Doc. Prodotto con uve Montepulciano d’Abruzzo ha fatto parte per 40 anni della sua Doc. E grazie a questo vitigno che contiene un alto numero di antiossidanti, vanta di essere il vino rosato più longevo. Sempre sul filo dell’illusione, nn ha però mai mentito su come venga prodotto. Nn si assembla vino bianco e vino nero come fanno in altre parti del mondo per garantire con poco sforzo un risultato finale di rilievo, bensì come tutti i rosati in Italia, nel Cerasuolo d’Abruzzo si vinificano in bianco, uve a bacca nera, con temperatura controllata e con una macerazione sulle bucce di poche ore. Questo perchè il vino rosato, la colorazione la prende dagli antociani contenuti proprio nelle bucce.

Il Cerasuolo d’Abruzzo Doc, ha un colore rosa cerasuolo con sfumature ramate, fresco, sapido, profuma di geranio, di garofano, ciliegia e lampone. Si riconosce anche una bella fragola, il mirtillo o il ribes. Leggermente minerale, ha un finale ammandorlato.

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Nunc est bibendum!

I consigli di Augusto Tocci

Prezzemolo – “Sei come il prezzemolo”, si dice, in senso figurato, a chi suole intromettersi in ogni affare. L’allusione è dovuta al fatto che questa pianta viene generalmente utilizzata nella quasi totalità delle preparazioni gastronomiche. Era conosciuta anche al tempo dei “vecchi” medici, che la impiegavano per guarire i problemi più disparati. E anche maghi e streghe la tenevano in particolare considerazione.

Scegliamo bene – Generalmente il fruttivendolo lo regala con il mazzetto degli odori. Al supermercato lo si trova confezionato nel banco frigo. L’importante è che le foglie e i gambi siano turgidi e di un verde intenso. È una pianta di facile coltivazione, che si può produrre anche da soli, se­ minandolo nell’orto di casa ma anche nei vasi o nelle cassette poste sul balcone. Calcolando bene i tempi di semina, lo si può avere sempre a di­ sposizione.

Pulizia e conservazione – Prima di essere consumato, va lavato abbon­dantemente sotto l’acqua corrente. In frigorifero si mantiene per qualche giorno.

Le proprietà – Più che come alimento, è sempre stato usato come medica­ mento: il principio attivo contenuto nella sua radice, una sostanza che si chiama apiolo, provoca contrazioni dell’intestino, della vescica, e dell’ute­ro, stimolandone le funzioni. La pianta è anche diuretica e carminativa (elimina l’aria dallo stomaco), specialmente i semi. Sfregata sulla parte interessata, lenisce il dolore provocato dalle punture di insetti. Mentre la medicina rurale lo ricorda come toccasana contro il mal d’orecchio e di denti.

Tags: Augusto Toccigastronomia consapevoleLe Centopelli
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